Per tre mesi l’attivista testimoniò sui social network la cattiva gestione dell'epidemia a Wuhan. Poi il 14 maggio 2020 sparì nel nulla e dal 28 dicembre 2020 sta scontando una condanna a quattro anni di carcere per aver diffuso "informazioni false". Da allora rifiuta di assumere cibo, venendo alimentata a forza attraverso una cannula nasale che le ha provocato ferite alla gola e allo stomaco. Ormai scesa sotto i 40 chili, potrebbe non farcela a superare l'inverno, come ha spiegato alcuni giorni fa il fratello su Twitter.
Febbraio 2020, Wuhan. La corsia dell’ospedale n°7 è intasata di
barelle, malati tra la vita e la morte e medici accasciati a terra
per il troppo lavoro. La telecamera procede storta; la mano
tremolante punta ora a destra ora a sinistra. Poi l’inquadratura
si sposta: un agente della sicurezza si avvicina, cerca di coprire
l’obiettivo con la mano. Urla minacce.
Sono
alcune delle immagini riprese a Wuhan da Zhang Zhan,
ex avvocato per la difesa dei diritti umani convertita al giornalismo
partecipativo, durante le fasi iniziale dell’epidemia; quando il
Covid-19 veniva ancora considerato una “misteriosa polmonite” con
epicentro in Cina. All’epoca le notizie circolavano a singhiozzo
sul web. Ma qualche richiesta d’aiuto è riuscita a bucare la
censura insieme alla testimonianza di chi, inerme, vedeva morire i
propri parenti prima dell’arrivo dei soccorsi.
Zhang
lascia Shanghai all'inizio di febbraio per fare luce sul dramma di
Wuhan, l’unica città cinese ad aver sperimentato veramente
l’orrore del Covid-19. Per tre mesi l’attivista pubblica quanto
vede con i suoi occhi sui social network (122 video solo su You
Tube), alternando la testimonianza diretta alla denuncia vera e
propria. In un articolo pubblicato online accusa il governo di aver
insabbiato la reale portata del contagio. Il controllo delle
informazioni ha rivestito un ruolo cruciale nella maldestra gestione
dell’emergenza che ha visto il governo intervenire con 25 giorni di
ritardo rispetto alle prime segnalazioni dei medici.
Poi
il 14 maggio Zhang sparisce nel nulla. Dal 28 dicembre 2020 sta
scontando una condanna a quattro anni di carcere, emessa al termine
di un processo durato appena tre ore. L’accusa è di aver fomentato
dispute e provocato problemi, diffondendo “contenuti
deliberatamente inventati e informazioni false".
Da
maggio dello scorso anno, la 38enne rifiuta di assumere cibo, venendo
alimentata a forza attraverso una cannula nasale che le ha provocato
ferite alla gola e allo stomaco. Troppo debole per camminare, si è
presentata alla sbarra su una sedia a rotelle, ma da allora ha
continuato lo sciopero della fame per protestare contro quella che ha
definito una "detenzione illegale e un atto d'accusa". Lo
scorso agosto è stata ricoverata per 11 giorni in ospedale per poi
essere riportata in carcere, nonostante le precarie condizioni di
salute. Il suo stato fisico è ulteriormente peggiorato. Ormai scesa
sotto i 40 chili, potrebbe non farcela a superare l'inverno, spiegava
alcuni giorni fa il fratello su Twitter.
Anche prima della
pandemia, Zhang era già incappata nelle maglie della giustizia "con
caratteristiche cinesi". Dopo una laurea in economia e finanza
presso la South West University of Economics and Finance di Chengdu,
l’attivista ha studiato legge a Shanghai. Cattolica praticante, per
un periodo ha esercitato la professione di avvocato prima di venire
licenziata a causa delle sue battaglie politiche. Dopo essere stata
ammonita dalla polizia per presunto “incitamento alla sovversione
dello Stato” nel 2018, l’anno successivo è stata trattenuta con
l’accusa di "disturbo dell'ordine pubblico" per aver
sostenuto le proteste pro-democrazia di Hong Kong. In una
video-intervista realizzata prima dell’ultimo arresto e diffusa
dall’organizzazione China Change la ragazza racconta le pressioni
subite in questi anni, le perizie psichiatriche e il tentativo di
farla credere instabile.
In passato, Pechino ha dimostrato
scarsa compassione per i dissidenti in fin di vita. Oltre al caso di
Liu Xiaobo, condannato nel 2009 a 11 anni per "incitamento al
sovvertimento dello stato", stroncato dal cancro quattro anni fa
dopo aver chiesto - invano - di potersi curare all'estero, va
ricordata la triste fine dell’avvocato Cao Shunli, gravemente
ammalata di tubercolosi, cirrosi epatica e fibromi uterini, a cui
sono state negate cure e assistenza medica: è morta dopo sei mesi di
prigionia nel più completo abbandono. Le pressioni esterne e la
visibilità internazionale raramente favoriscono il rilascio dei
condannati. Al contrario, rappresentano un'ingerenza che la
leadership comunista tende a respingere col pugno di ferro.
È
quindi improbabile che l’attenzione prestata dai media occidentali
faciliterà la liberazione di Zhang, accusata tra le altre cose di
aver rilasciato interviste a testate straniere, come Radio Free Asia
ed Epoch Times. Il rammarico più grande - racconta il fratello – è
che “la maggior parte dei cinesi non sa nulla di lei”. Il suo
lavoro è censurato, la sua storia ignorata dalle cronache locali.
“Ma ciò non significa che in futuro non sarà lodata o
riconosciuta dal mondo." Reporter Without Borders - che
classifica la Cina prima al mondo per numero di giornalisti
incarcerati – l’ha candidata ai Press Freedom Awards 2021.
Secondo l’ambasciata britannica, almeno 47 giornalisti
cinesi sono stati arrestati per aver diffuso informazioni
sull’epidemia. Alcuni, proprio come Zhang, sono citizen journalist:
Li Zehua è riapparso nell’aprile 2020 dopo due mesi di quarantena
forzata e arresti domiciliari. Chen Qiushi, in stato di fermo da
oltre un anno, è ricomparso brevemente su Twitter a inizio ottobre.
Di Fang Bin, invece, non si hanno notizie dal febbraio 2020.
Alessandra Colarizi, direttrice editoriale China Files