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Che cosa succede in Kosovo?

di Tatjana Dordevic

Mentre lo scorso 26 maggio il presidente serbo Aleksandar Vučić manifestava con i suoi sostenitori nel centro di Belgrado, organizzando, come da egli riportato “una delle più grandi proteste che la Serbia abbia mai visto”, contemporaneamente, in Kosovo, la tensione che covava da settimane è esplosa.

Quel giorno, infatti, migliaia di persone provenienti dalla parte settentrionale del Kosovo, dove risiede la minoranza serba, sono andate a Belgrado per manifestare. Nel frattempo, il primo ministro kosovaro Albin Kurti ha approfittato dell'occasione per insediare i sindaci di etnia albanese nei comuni a maggioranza serba. I sindaci vincitori delle elezioni municipali tenutesi il 23 aprile nell'area non sono infatti riconosciuti da Belgrado e dalla comunità serba, che ha deliberatamente boicottato il processo elettorale, fermatosi quindi ad una mesta affluenza del 3,4%. Nel corso della giornata, alcuni rappresentanti della comunità serba hanno quindi cercato di impedire l'ingresso dei sindaci nei comuni, mentre la polizia del Kosovo è intervenuta utilizzando la forza quando si sono verificati disordini che hanno causato circa una decina di feriti, oltre a diverse auto date alle fiamme.

Ad invitare i cittadini serbi - che sono circa 120 mila e vivono prevalentemente nei quattro comuni a maggioranza serba - a boicottare le elezioni che si sono tenute lo scorso aprile in Kosovo è stato il presidente serbo Aleksandar Vučić. Lo stesso premier serbo si era distinto a marzo per aver accettato, senza tuttavia firmare, un accordo franco- tedesco proposto per normalizzare i rapporti tra i due Stati e sottoscritto a Bruxelles insieme al premier kosovaro Albin Kurti. È noto che molti cittadini serbi vengano ricattati o pagati per partecipare alle manifestazioni del presidente Aleksandar Vučić. Mentre parlava, il 26 maggio, a migliaia di cittadini che erano arrivati da tutte le parti della Serbia per sostenerlo, il presidente serbo ha utilizzato l'occasione per accusare il premier Albin Kurti di voler provocare un conflitto tra i serbi e le forze NATO.

Tre giorni dopo, il 29 maggio, le truppe della KFOR, la Forza NATO di stanza in Kosovo, sono intervenute a Zvečan, un centro urbano nel nord del paese, con lo scopo di disperdere i dimostranti serbi che stavano protestando davanti alla sede del municipio locale contro l'insediamento del nuovo sindaco. Il risultato di questo scontro, il primo caratterizzato da una tale violenza da quando le forze NATO sono in missione pacifica in Kosovo, è stato di 55 feriti tra i cittadini serbi e 30 soldati della KFOR, tra cui anche 11 italiani. Dopo questo evento, il presidente Vučić ha posto l'esercito in stato di massima allerta e ha ordinato alle unità di avvicinarsi al confine con il Kosovo. Tuttavia, secondo la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, approvata il 10 giugno 1999 dopo la guerra in Kosovo, alla Serbia è consentito inviare solo 1000 soldati in Kosovo con il compito di garantire la pace e proteggere i siti religiosi.

La mattina successiva agli scontri del 29 maggio, molti giornali occidentali hanno riportato l’accaduto, sottolineando in modo particolare il ruolo dei nazionalisti serbi, i quali avrebbero provocato i disordini in uno Stato, il Kosovo, definito come pienamente sovrano e indipendente, anche se la soggettività internazionale di Pristina non è ancora stata riconosciuta da molti Paesi. Si è parlato molto anche dell'influenza della Russia, la quale cerca di mantenere il proprio potere nei Balcani occidentali, nonché del rischio di una situazione esplosiva in un Paese in cui è ancora presente una missione NATO. Pochi, invece, hanno parlato del gioco politico del presidente serbo Aleksandar Vučić, il quale sta sagacemente cercando di spostare l’attenzione mediatica verso gli affari internazionali, alludendo principalmente alla questione del Kosovo, con lo scopo di relegare in secondo piano la politica interna, ove si segna un drastico calo della fiducia nei suoi confronti.

Nelle ultime settimane si sono infatti svolte a Belgrado numerose manifestazioni contro la violenza. Ogni venerdì, migliaia di persone scendono in piazza nella capitale per protestare contro l’aumento della violenza avvenuto nel paese a seguito di due sparatorie verificatesi all'inizio di maggio, le quali hanno causato la morte di 18 persone, tra cui 10 bambini, e il ferimento di altre 19. Queste proteste, organizzate dalla popolazione civile, sono di natura pacifica e sono dirette contro il regime. Inoltre, si tratta delle manifestazioni più massicce registrate nella capitale serba dal 5 ottobre 2000, data simbolo della caduta del governo dittatoriale dell'ex presidente serbo Slobodan Milošević, che proprio quel giorno aveva ammesso la propria sconfitta.

In conclusione, la minoranza serba che vive in Kosovo ha tutto il diritto di esternare la propria rabbia per la situazione in cui si trova, chiedendo quindi più autonomia nel nuovo Stato indipendente. Al contempo, è anche doveroso sottolineare come il popolo serbo, il quale manifesta ancora una volta il proprio dissenso contro un regime interno, non abbia voglia di iniziare alcuna guerra.

Tatjana Dordevic, giornalista

31 maggio 2023

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