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Come funziona l'accoglienza migranti in Italia?

leggi in mutamento e tentativi di adeguare l'approccio di governo ed enti locali

Per parlare del sistema dell'accoglienza in Italia, bisogna prima parlare dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri nel Paese. Il d.l. 17 febbraio 2017, n. 13 (convertito nella legge n. 46 del 13 aprile 2017) detta alcune norme in proposito, che vedremo più approfonditamente in seguito. 

Prima di tutto occorre ricordare che in base al Testo unico del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 in materia di immigrazione, per "straniero" si intende un cittadino di uno Stato non appartenente all'UE o un apolide. Esso, per entrare in Italia, deve essere munito di un passaporto valido e di un visto rilasciato dall'ambasciata o dal consolato italiano presente nel Paese d'origine o di residenza. 

Questo per quanto riguarda l'ingresso. Per avere titolo a soggiornare nel territorio italiano, lo straniero deve ottenere un permesso di soggiorno (che ora può anche essere un permesso comunitario europeo di lungo periodo). 

Sempre più frequentemente, tuttavia, l'ingresso degli stranieri avviene in modo irregolare, cioè in mancanza dei documenti richiesti. In questo caso entra in gioco la cosiddetta "accoglienza". In materia di accoglienza vigono le Convenzioni internazionali come quella sullo status dei rifugiati approvata a Ginevra nel 1951 e altre cui l'Italia, soprattutto negli anni del dopoguerra, ha dato un contributo decisivo anche in fase di elaborazione. 

In particolare, si considera "rifugiato" "chiunque, nel giustificato timore di essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può, o per il timore sopra  indicato, non vuole ritornarvi" (art. 1). 

Il rifugiato non deve essere quindi respinto là dove sussistano tali minacce e ha diritto a essere accolto e di essere trattato come gli stranieri regolari. Le istituzioni europee hanno poi rafforzato ulteriormente tale protezione dei migranti, in particolare spostando il focus in materia dagli "Affari interni e Giustizia" a un grado maggiore di istituzionalizzazione, sempre con un richiamo alla Convenzione di Ginevra. 

Quindi, "accoglienza" in pratica significa l'insieme delle attività che lo Stato deve realizzare al fine di garantire l'ingresso e la permanenza sul territorio nazionale degli individui che hanno diritto alla protezione internazionale.

L'accoglienza in questi termini è un presupposto essenziale della protezione. Ed è per questo che beneficiari dell'accoglienza sono tanto i soggetti "già protetti", quanto quelli "in attesa di protezione". I cosiddetti richiedenti asilo. Non dimentichiamo che l'Italia esiste l'obbligo in capo allo Stato di dare asilo in base all'articolo 10 della Costituzione allo straniero a cui sia impedito l'esercizio dei diritti libertà garantiti dalla Costituzione italiana (comma 3).

L'accoglienza quindi deve essere garantita dal momento dell'arrivo (sulla base di una "titolarità del diritto alla protezione") fino al momento dell'eventuale diniego o revoca della protezione. 

Per lungo tempo l'Italia si è occupata di regolamentare l'accoglienza esclusivamente guardando alle emergenze, dal caso della Puglia negli anni '90 in poi. Pertanto il nostro sistema di accoglienza ha mostrato punte di inefficacia e di disomogeneità. 

In seguito, l'intensificarsi dei flussi migratori ha imposto la creazione di un vero e proprio "sistema dell'accoglienza", fuori dalla logica dell'emergenza. Il nuovo sistema è disciplinato dal d lgs. 18 agosto 2015, n. 142, attuativo di due Direttive europee in materia di protezione internazionale (la 2013/33/UE e la 2013/32/UE). 

La normativa distingue un livello locale e uno nazionale. Il processo di accoglienza si apre quindi con le operazioni di soccorso, di prima assistenza e di identificazione dei migranti. Dopo queste fasi subentrano la prima accoglienza e la seconda accoglienza. 

La prima accoglienza avviene in centri governativi, che oggi stanno venendo riconfigurati come "hub regionali", dove il migrante è accolto soltanto per il tempo necessario all'identificazione e all'accertamento delle condizioni di salute. 

Di fronte al problema degli sbarchi - che il governo uscente ha cercato di affrontare con il decreto n. 13 del 2017, con misure di contrasto all'immigrazione illegale e  con un controverso accordo con la Libia -, la questione della governance dei flussi migratori è diventata centrale nelle politiche dell'Unione Europea, anche se permangono (se non addirittura si aggravano) alcune gravi tensioni tra i Paesi membri.

In ogni caso dal 2015 si sono predisposti degli hotspot comunitari, in particolare in Italia e Grecia, per la prima assistenza. Si tratta di aree attrezzate per consentire ai migranti di accedere rapidamente alle misure dei sistemi nazionali di accoglienza.

In Italia, il governo ha stilato una roadmap per cercare di migliorare la capacità, la qualità e l'efficienza dei settori italiani dell'asilo, della prima accoglienza e del rimpatrio, individuando come hotspot Pozzallo, Lampedusa, Trapani e Porto Empedocle, a cui si sono aggiunti Augusta e Taranto. Gli arrivi via mare devono essere ora fatti confluire verso questi porti, dove viene anche realizzata la "identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare" (secondo l'articolo 17 del d.l. 13/2017, che emenda la legge 286 all'articolo 10ter). Da notare che detti porti si configurano in questo caso come punti di crisi, e non sempre coincidono con gli hotspot. 

I punti di crisi servono, oltre che a fornire soccorso e prima accoglienza, anche a informare sulla protezione internazionale, sui ricollocamenti e sul rimpatrio volontario assistito, oltre che alle operazioni di rilevamento delle impronte digitali e delle foto segnaletiche (che sono su base volontaria; tuttavia nel caso di reiterato rifiuto dello straniero di sottoporvisi, viene configurato il reato di fuga e parrebbe legittimata la detenzione nei centri per i rimpatri).

La seconda accoglienza è invece curata dagli enti locali, che su base volontaria possono aderire al sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, detto SPRAR. Possono accedere agli SPRAR sia quanti hanno formalizzato la propria domanda di protezione internazionale, sia i rifugiati, più i destinatari della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, due categorie di protezione tipiche dell'Europa e nell'ultimo caso proprio dell'Italia, che non tratteremo in questa sede per ragioni di spazio.

Accede al sistema SPRAR chi, tra questi migranti, non ha mezzi di sussistenza atti a garantire una qualità di vita adeguata per il sostentamento proprio e dei familiari. Lo SPRAR è un sistema su cui vertono molte controversie politiche, perché per esempio secondo alcuni offrirebbero denaro ai migranti senza che essi lavorino, favorendone la scarsa integrazione e comportando costi per le casse dello Stato. Questi timori in genere vengono considerati infondati dagli esperti di immigrazione. O meglio: i costi ci sono, ma sono più rilevanti sul breve periodo che non sul lungo. Decisive sono le possibilità di integrazione che la nostra società può o meno offrire ai migranti. Un tema sul quale va fatto un intenso lavoro sul piano dell'economia, per aumentare le possibilità d'impiego legale degli immigrati (come del resto dei giovani italiani). Oppure su cui occorre mettersi d'accordo con gli altri Paesi europei, per attuare i discussi ricollocamenti. 

Sicuramente c'è un problema di tempistiche troppo lunghe: la permanenza in questi centri a volte dura anni, non sempre nel pieno rispetto dei diritti umani, e non tutti i Paesi d'origine dei migranti collaborano con le autorità italiane fornendo documenti di viaggio quando si rende necessario il rimpatrio dei migranti. Certamente però la disciplina è stata portata dagli ultimi esecutivi italiani in seno agli organi comunitari e al di fuori di una logica meramente emergenziale.

9 febbraio 2018

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