Il presidente della Repubblica di Turchia, Recep Tayyip Erdogan, ha tenuto lo scorso 25 ottobre un discorso nel gruppo parlamentare del suo partito, l'AKP, affrontando diversi temi, tra cui la guerra in corso in Israele e nella Striscia di Gaza. Erdogan ha dichiarato: "Hamas non è un'organizzazione terroristica, ma un gruppo di liberazione e mujaheddin che lotta per difendere il suo popolo e la sua terra".
Per la prima volta dall'inizio del conflitto armato, la posizione di Erdogan è stata inequivocabilmente chiara. Il presidente si schiera ora con Hamas e contro il governo israeliano. Egli ha anche annunciato la cancellazione della sua visita prevista a Gerusalemme, sottolineando inoltre che il suo governo è pronto a creare un corridoio umanitario per portare aiuti a Gaza e trasferire le persone ferite in Turchia per le cure necessarie. Nel suo discorso, Erdogan ha anche criticato il "mondo occidentale" per il suo appoggio al governo israeliano e ha condannato le restrizioni alla libertà di espressione che sono emerse in Europa in questi giorni: "Le porte della Turchia sono aperte per quegli studenti universitari che non possono esprimere la loro solidarietà con la Palestina in Europa", ha dichiarato il presidente turco. All'inizio del conflitto, Erdogan aveva lanciato messaggi moderati, tuttavia, oggi, proprio mentre si tiene una grande manifestazione a Istanbul in favore della Palestina, organizzata dal partito al governo, la posizione del presidente è diventata più chiara e radicale.
Le motivazioni dietro questa mossa possono essere diverse. Potrebbe essere dovuta al voto parlamentare sull'adesione della Svezia alla NATO, un evento che è avvenuto a sorpresa dopo la firma di Erdogan di qualche giorno fa. Si tratta di un processo politico in corso da un anno, con forti tensioni e numerose richieste di Ankara a Stoccolma, in parte soddisfatte e in parte ancora da soddisfare. Quindi, cominciare ad aprire le porte della NATO alla Svezia potrebbe rappresentare un'opportunità per Ankara, che potrebbe in questo modo sottoporre una o più richieste ai suoi alleati. Poi, è innegabile che la Turchia si posizioni ora come il secondo paese al mondo, dopo l'Iran, a sostenere Hamas in modo così aperto e deciso. Inoltre, la Turchia è l'unico paese della NATO ad aver preso una posizione del genere. Erdogan potrebbe quindi provare a perseguire l'obiettivo di dialogare con l'organizzazione in futuro.
Inoltre, va anche notato come il presidente turco abbia espresso forti critiche nei confronti degli Stati Uniti nel suo discorso, descrivendo un rapporto ormai basato su tensioni, ricatti e negoziazioni. Critiche che vengono rivolte a Washington poche settimane dopo l’abbattimento di un drone turco in Siria da parte dell’esercito statunitense. Quindi, la nuova presa di posizione di Erdogan potrebbe rappresentare l'ennesimo tentativo di mettere in difficoltà l'amministrazione americana, che già affronta notevoli sfide a causa della guerra attuale, con l'intento magari di esercitare un ricatto per ottenere un risultato positivo o una piccola vittoria.
Evidentemente, anche l'evolversi degli eventi nella politica internazionale potrebbe essere un elemento che ha spinto Erdogan a prendere una posizione del genere. Innanzitutto, le Nazioni Unite - soprattutto attraverso il suo Segretario Generale, Antonio Guterres, ma non solo - continuano a sollecitare il governo israeliano a cessare il fuoco, attirando l'attenzione mondiale sulla tragedia in corso a Gaza. Tra i leader politici a livello globale che lanciano appelli per fermare gli scontri troviamo, in aggiunta, il presidente messicano Lopez Obrador, il venezuelano Maduro, il brasiliano Lula, e, restando nello stesso continente, anche il presidente cileno Boric. Anche alcuni membri del governo statunitense stanno cominciando ad assumere posizioni sempre più critiche nei confronti dell'amministrazione Netanyahu. Così, per la prima volta, è arrivato, il primo di novembre, un appello a "fermare il fuoco" da parte del presidente Biden. A tutto questo, ovviamente, dobbiamo aggiungere la posizione ambigua di Mosca e l'incremento delle manifestazioni antigovernative organizzate all'interno dello stesso territorio israeliano. Pertanto, di fronte a questo mutamento di posizione e alla crescente critica rivolta al governo israeliano, la presa di posizione di Erdogan potrebbe risultare più "comprensibile".
L’ultimo eventuale motivo che ha spinto Erdogan a prendere questa nuova posizione riguarda la politica interna. Mentre da una parte le richieste e le dichiarazioni radicali a favore di Hamas, pronunciate in queste settimane da parte degli alleati politici presenti all’interno della sua coalizione, come HudaPar, Refah e MHP, hanno trovato risonanza nel presidente, dall'altra le fazioni conservatrici dell'opposizione, che hanno seguito una linea più moderata in questo periodo, hanno ricevuto, con questa novità, una sorta di dichiarazione di coraggio politico da parte di Erdogan. Va ricordato che in questo discorso Erdogan ha parlato a lungo anche delle elezioni amministrazione che si svolgeranno nel 2024, definendole come una “rivincita”, visto che alcune tra le principali municipalità del paese, come Ankara e Istanbul, sono passate quattro anni fa nelle mani delle opposizioni, dopo trent'anni di dominio politico del suo partito.
Le conseguenze di questa nuova posizione possono essere di vario genere e difficilmente prevedibili nel futuro. Tuttavia, se c'è una cosa certa, è che il presidente non ha sorpreso. Erdogan ha sempre coltivato legami con Hamas fin dall'inizio della sua carriera politica. Con il passare degli anni, l’organizzazione ha infatti trovato riconoscimento e supporto in Turchia. La Turchia è tra i paesi che vedono Hamas come un'organizzazione legittima e non come una "organizzazione terroristica". Hamas non ha un ufficio politico ufficiale che opera apertamente in Turchia, come invece ha a Doha, la capitale del Qatar. Nonostante ciò, non è un segreto che negli ultimi anni alcuni funzionari di Hamas siano rimasti in Turchia per periodi brevi o lunghi o abbiano visitato spesso il paese. In alcune notizie pubblicate di recente da media nazionali e internazionali, è stato affermato che il presidente dell'Ufficio politico di Hamas, Ismail Haniye, e alcuni funzionari dell’organizzazione erano a Istanbul il 7 ottobre. Né Hamas né i funzionari turchi hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali su questo tema. Tuttavia, alcune informazioni disponibili da fonti aperte suggeriscono questa possibilità, come la redazione in lingua turca della BBC o Al Jazeera, che ha anche realizzato un'intervista al presidente dell'Ufficio politico di Hamas, Ismail Haniye. Continuando con la lista, dovremmo ricordare le dichiarazioni di Erdogan rilasciate a Bloomberg TV nel 2011: “Non penso che Hamas sia un’organizzazione terroristica. È una formazione che difende il suo territorio sotto occupazione”. Nel 2012, lo stesso Erdogan incontrò Ismail Haniye in una delle sedute del suo gruppo parlamentare ad Ankara. Ovviamente, sarebbe utile ricordare la sua presenza alla conferenza che tenne il capo degli esteri di Hamas, Khalid Meshaal, a Istanbul nel 2018. Anche nel 2019 il presidente della Repubblica di Turchia incontrò Ismail Haniye nel palazzo reale di Dolmabahce, a Istanbul. A tutto questo vanno aggiunte le numerose telefonate che Erdogan ha effettuato con i vertici di Hamas in questi giorni.
Se dovessimo invece analizzare l'ipocrisia che sta dietro a questa nuova manovra, dovremmo ricordare alcuni passaggi storici. Senz'altro, con questa nuova presa di posizione, il presidente Erdogan ha aggiunto un nuovo capitolo alle tensioni storiche con Gerusalemme. Va sottolineato che, nonostante ci siano state interruzioni diplomatiche in passato, il commercio bellico non è mai stato completamente interrotto. Dunque, sembra che Erdogan si sia schierato sempre a favore di Hamas senza però chiudere definitivamente le porte a Gerusalemme. Infatti, in quest'ottica, sarebbe necessario dover ricordare come si sia conclusa la crisi della nave turca Mavi Marmara, che nel 2010 ha causato la morte di 10 persone che cercavano di portare aiuti umanitari a Gaza. Fino al 2016, questo caso era stato difeso come una missione personale dallo stesso presidente, ma poi, con un'ulteriore inversione di rotta, è stato concluso con una dichiarazione netta: "Avete chiesto a me prima di partire?", accompagnata da un risarcimento di 20 milioni di dollari statunitensi. Un altro esempio concreto di presa di posizione da parte del presidente riguarda l'iniziativa lanciata dall'associazione conservatrice MazlumDer nel 2008. Alcuni medici volontari turchi decisero di partire per Gaza e verificare sul posto se durante un'operazione militare israeliana fosse stata usata la bomba al fosforo. Al loro ritorno in Turchia, l'associazione si rivolse al Ministero della Giustizia per chiedere di aprire un'indagine contro il governo israeliano, presentando prove scientifiche che supportavano le loro preoccupazioni. La richiesta fu rigettata dall'attuale presidente della Repubblica, che all'epoca ricopriva la carica di Primo Ministro.
È interessante notare, infine, come il presidente della Repubblica di Turchia abbia accolto spesso i politici ultranazionalisti israeliani, molti dei quali con una carriera militare pregressa, che hanno ideato, pronunciato e messo in atto una serie di progetti di invasione, militarizzazione e occupazione nei territori della Palestina. È importante notare come questa dinamica politica si svolga in un paese dove lo stato di diritto è inesistente, la magistratura è sotto il controllo delle organizzazioni criminali e religiose, le carceri sono piene di numerosi oppositori e giornalisti, e qualsiasi forma di manifestazione contro il governo viene repressa. Infine, il presidente, che ha criticato Gerusalemme per il mancato riconoscimento dei confini della Palestina e ha sostenuto il diritto all'autodifesa di Hamas, è lo stesso presidente che negli ultimi anni ha adottato ripetute politiche di invasione, occupazione e distruzione in diversi contesti geopolitici globali. Ciò è avvenuto sia direttamente, come in Siria e in Iraq, dove sono state distrutte le unità di difesa territoriali, che indirettamente, come in Armenia e in Libia, dove Erdogan ha imposto le sue scelte politiche sui territori.
Murat Cinar, giornalista esperto di Turchia