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Da Euromaidan all'invasione russa: l'Ucraina dal 2014 a oggi

il sogno degli ucraini europeisti e gli interessi geopolitici

La guerra scoppiata in Ucraina a febbraio 2022 è strettamente legata alle manifestazioni di piazza che si sono tenute nel Paese tra la fine e del 2013 e il 2014, comunemente note come Maidan Revolution, Rivoluzione della dignità o Euromaidan, perché riguardavano l'identità europea dell’Ucraina e perché avevano come fulcro Maidan Nezalezhnosti (Piazza dell'Indipendenza), la piazza più importante di Kiev.

Il 21 febbraio 2014, tre mesi di proteste - in gran parte pacifiche - si erano concluse in uno spasmo di violenze mortali e il presidente Victor Yanukovich era stato costretto a fuggire da Kiev e poi dall'Ucraina. La Rada (il parlamento ucraino) aveva nominato un leader ad interim in attesa delle elezioni anticipate.

Intanto le forze militari russe erano giunte in Crimea e avevano iniziato un’occupazione de facto ancora oggi in essere. Contestualmente, nella regione orientale del Donbass manifestazioni di gruppi filorussi e antigovernativi si erano trasformate in una guerra aperta tra forze separatiste sostenute dalla Russia (che si autoproclamarono rappresentanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk) ed esercito ucraino, corroborato da squadre di volontari.

In che modo da semplici manifestazioni di piazza si è arrivati a una guerra in cui sono morte circa 14 mila persone e che, a febbraio 2022, ha portato a una delle più grandi crisi umanitarie europee del dopoguerra?

Euromaidan

Nel novembre 2013 l'Ucraina era pronta a firmare un accordo di associazione con l'Unione Europea che avrebbe permesso il libero scambio con il resto del continente. Sarebbe stata la conclusione un percorso di riavvicinamento a Bruxelles iniziato in seguito alla cosiddetta Rivoluzione arancione del 2004.

Il 21 novembre, tuttavia, il governo ucraino annunciò che avrebbe "sospeso" i preparativi per giungere all'accordo, preferendo una proposta alternativa russa di unione doganale. Dal canto suo Putin annunciò l'abolizione delle barriere doganali tra i due Paesi, la riduzione del prezzo del gas e un prestito di 15 miliardi di dollari.

In poche ore, a Kiev migliaia di persone scesero in piazza per protestare. Nacque così la "Rivoluzione della dignità".

Nei tre mesi successivi le proteste si trasformarono in un'espressione più ampia del malcontento popolare. I motivi erano molteplici: l’autoritarismo di Yanukovich, la corruzione dominante, la crisi economica e la decisione di non firmare l'accordo di associazione dell'Unione europea. Infine, la decisione della leadership politica di accettare un prestito di 15 miliardi dalla Russia veniva vista come una svendita del Paese in favore degli interessi di Mosca.

Sfidando il freddo e la polizia, centinaia di migliaia di persone occupavano le piazze delle principali città del Paese. A manifestare erano comunità molto eterogenee. Nonostante la presenza di una frangia minoritaria estremista e di ispirazione fascista, che effettivamente prendeva parte alle proteste e in alcuni casi le coordinava, la maggioranza dei manifestanti era formata da studenti o giovani lavoratori con una chiara identità europeista.

Come spiega lo storico Yaroslav Hrytsak, l’aspetto generazionale è importante: “Questa è una rivoluzione della generazione coetanea all'indipendenza dell'Ucraina (nata quindi intorno al 1991); è più simile alle proteste di Occupy Wall Street o a quelle di Istanbul. È una rivoluzione di giovani molto istruiti, persone attive nei social media, il 90 per cento dei quali ha una laurea, ma non ha futuro” (Kyiv Post, 27 novembre 2013).

Yanukovich cercò in tutti i modi di stroncare le proteste, prima inviando le temute forze di sicurezza interna "berkut" per reprimere i cortei, poi approvando una serie di leggi che limitavano gravemente i diritti fondamentali di espressione e di associazione dei cittadini. Queste misure non servirono a placare le proteste, che si erano ormai espanse in tutto il Paese.

Le manifestazioni rimasero in gran parte pacifiche fino a metà febbraio 2014 quando, tra il 19 e il 20 febbraio, unità speciali di polizia a Kiev spararono sulla folla uccidendo circa 100 persone e ferendone molte altre.

Di fronte alla crisi, funzionari di diverse nazioni occidentali arrivarono nel Paese per negoziare elezioni presidenziali anticipate. Il parlamento ucraino si rivoltò contro Yanukovich, votando prima per rimuovere molti dei suoi poteri e porre fine alla repressione, quindi per rimuoverlo definitivamente. Yanukovich lasciò il suo incarico e si rifugiò in Russia.

Il 22 febbraio la Rada nominò un presidente e un primo ministro ad interim, che dichiararono l’intenzione di portare avanti le riforme interne e di considerare l'integrazione con l'Europa come priorità assoluta. Putin definì “colpo di stato” il cambio di regime e dichiarò che la Russia si sarebbe riservata il diritto di utilizzare tutte le opzioni disponibili, compresa la forza come ultima risorsa.

Va detto che non tutti gli ucraini hanno sostenuto le proteste o la loro agenda politica. Come già detto, Euromaidan includeva anche una serie di gruppi ultranazionalisti di estrema destra. Seppur minoritaria, la loro presenza fu rimarcata sia dalla propaganda russa sia da una parte dei cittadini (soprattutto residenti nella parte orientale del Paese), per evidenziare i rischi per i diritti civili degli ucraini di lingua russa qualora il Paese si fosse definitivamente voltato a occidente.

Tra gli eventi più tragici denunciati dai filorussi c’è sicuramente il massacro avvenuto a Odessa il 2 maggio 2014 quando, durante una manifestazione di piazza contro l’impeachment di Yanukovich, 48 persone tra sindacalisti, manifestanti e membri di partiti di estrema sinistra trovarono la morte in un rogo avvenuto nella Casa dei Sindacati e i cui autori erano esponenti dei movimenti di estrema destra.

L’occupazione della Crimea

Dopo pochi giorni dalla caduta di Yanukovich l'Ucraina si ritrovò, di fatto, in guerra con la Russia. Alcuni soldati, che in seguito sarebbero stati riconosciuti come militari russi sebbene le loro divise non avessero etichette di riconoscimento, si impadronirono della Crimea. I locali iniziarono a chiamarli “omini verdi”. Lo stesso presidente russo Vladimir Putin, che inizialmente aveva affermato che si trattava di locali costituitisi come milizia di difesa locale, in seguito ammise la presenza di soldati russi in Crimea, spingendosi addirittura a premiare alcuni di loro in cerimonie pubbliche. Ci fu quindi una annessione de facto della Crimea, considerata illegale da quasi tutte le organizzazioni internazionali.

L’annessione fu preceduta da un referendum, non riconosciuto da Kiev, in cui si chiedeva ai cittadini ucraini residenti nella penisola e a quelli russi con permesso di soggiorno di decidere sul ricongiungimento della Crimea alla Federazione Russa in quanto soggetto federale. Secondo i criticati risultati del referendum, che si tenne il 16 marzo, il 96,77% dei voti furono a favore dell’annessione alla Russia e vi partecipò l’83,1% degli aventi diritto al voto, nonostante diversi componenti della minoranza tatara avessero annunciato il boicottaggio del seggio.

Secondo il censimento della Crimea ad opera del governo russo, nel 2014 gli abitanti della Crimea erano per il 67% russi, per il 15,7% ucraini e per il 12,6% tatari d’Ucraina.

Con una base navale a Sebastopoli e aeroporti militari a Kacha e Simferopoli, la penisola divenne un territorio strategico per Mosca, che dal 2014 iniziò a dispiegarvi sempre più truppe.

La guerra nel Donbass

Nell'aprile 2014, gli “uomini verdi” iniziarono a occupare anche edifici amministrativi nelle ​​città della regione del Donbass. Dalla Russia arrivarono finanziamenti, armi pesanti, munizioni, rifornimenti.

La guerra iniziò ufficialmente il 7 aprile, quando i separatisti filorussi dichiararono l'indipendenza dell'autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk. Mosca sostenne e armò i ribelli e molti cittadini russi si unirono ai combattimenti, sebbene la Federazione Russa non si chiamò ufficialmente coinvolta nel conflitto. Da Kiev fu lanciata un'operazione "antiterroristica" in cui venne coinvolto l’esercito e milizie di volontari, alcune delle quali legate all’estrema destra. Come già successo in Crimea, anche a Donetsk e Lugansk, un’altra regione dell’Ucraina orientale al confine con la Russia, vennero indetti due referendum che l’11 maggio portarono altrettante vittorie schiaccianti del “sì”.

Tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 una serie di accordi internazionali noti come “Accordi di Minsk”, che ebbero la mediazione di Germania e Francia, cercarono di porre fine alla guerra nel Donbass. Il cosiddetto Minsk II, firmato il 12 febbraio 2015, prevedeva un pacchetto di misure come il cessate il fuoco, il ritiro delle armi pesanti, il rilascio di prigionieri di guerra e una riforma costituzionale che avrebbe concesso l'autogoverno ad alcune aree del Donbass. I combattimenti da allora si sono affievoliti senza mai cessare del tutto. Il conflitto nel Donbass ha causato circa 14 mila vittime e ha costretto circa due milioni di persone ad abbandonare le proprie case.

Il post Yanukovich

Nel maggio del 2014 Petro Poroshenko venne eletto nuovo presidente dell’Ucraina. Dopo primi mesi in cui gli analisti internazionali apprezzarono l’impegno del governo per la stabilizzazione dell’economia e l’introduzione di un sistema di controllo che rendesse più trasparente la gestione degli appalti pubblici, con il tempo gli ucraini hanno fatto emergere l’assenza di un piano per sconfiggere la corruzione e tenere a freno gli oligarchi del paese. Non solo, è emerso che molti dei responsabili delle sparatorie del 2014 verso i manifestanti erano rimasti impuniti così come non si erano visti passi avanti consistenti verso la fine delle ostilità con i separatisti dell’est.

Nell’ottobre 2019 al governo è arrivato Volodymyr Zelensky, dopo che al ballottaggio aveva sconfitto il presidente in carica Poroshenko con il 73% dei consensi. Attore di successo russofono, dichiaratamente populista e abilissimo nella comunicazione con i più giovani, come presidente Zelensky si è concentrato sulla digitalizzazione dell’amministrazione, sul riprendere i dialoghi con Vladimir Putin e sul processo di conciliazione tra le aree a maggioranza russofona e il resto del Paese.

Verso la guerra totale

Nonostante gli annunci, negli ultimi anni gli sforzi diplomatici per smorzare le tensioni nell’est dell’Ucraina non hanno mostrato segni significativi di successo.

Nel novembre del 2021 le immagini satellitari hanno mostro un assembramento di truppe russe al confine. Secondo Kiev 100 mila soldati, armati e muniti di carri armati, erano pronti a invadere il territorio ucraino mentre un piano era in atto per rovesciare il governo Zelensky.

Se il 7 dicembre il presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva promesso alla Russia sanzioni radicali in caso di invasione, dieci giorni dopo il Cremlino aveva presentato richieste dettagliate ai Paesi occidentali: la Nato avrebbe dovuto cessare tutte le attività militari nell’Europa orientale e rigettare la richiesta di adesione di qualsiasi nazione ex sovietica. A gennaio 2022 funzionari statunitensi e russi si sono incontrati a Ginevra senza risolvere le divergenze e il 24 la Nato ha rinforzato la sua presenza militare nell’Europa dell’est con navi e cacciabombardieri.

Il 27 gennaio Biden ha annunciato che, secondo l’intelligence statunitense, a febbraio i russi avrebbero invaso l’Ucraina.

Il 21 febbraio, dopo aver riconosciuto le repubbliche di Donetsk e Luhansk, il presidente Putin ha ordinato il dispiegamento di ulteriori truppe nel Donbass, in un’operazione definita “di peacekeeping”. Il giorno dopo, il Consiglio della Federazione ha autorizzato all'unanimità Putin a usare la forza militare al di fuori della Federazione russa.

Verso le 4 del mattino del 24 febbraio 2022 il presidente Putin ha annunciato l'inizio di una "operazione militare speciale" nella regione del Donbass. 

Subito dopo sono arrivate segnalazioni di esplosioni in diverse città ucraine, tra cui le due più popolose: Kiev e Kharkiv. Nel frattempo truppe d’assalto sbarcavano a Odessa. 

Per giustificare questa operazione, Putin ha invocato la seconda guerra mondiale spiegando che la sua offensiva mirava a "denazificare" il Paese omettendo che Zelensky è stato democraticamente eletto, è ebreo e ha perso alcuni parenti durante l'Olocausto.

Putin ha parlato anche di genocidio: "Lo scopo di questa operazione è proteggere le persone che da otto anni stanno affrontando l'umiliazione e il genocidio perpetrati dal regime di Kiev. A tal fine, cercheremo di smilitarizzare e denazificare l'Ucraina, nonché di processare coloro che hanno perpetrato numerosi crimini sanguinosi contro i civili, compresi i cittadini della Federazione Russa".

Iniziava così l’invasione russa in Ucraina.

Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo

15 marzo 2022

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