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Dinastia Hun Sen: la situazione politica in Cambogia a pochi mesi dalle elezioni generali

di Lorenzo Lamperti

C'erano ancora l'Unione Sovietica e il muro di Berlino. Il presidente degli Stati Uniti era Ronald Reagan e in Cina non era ancora venuto il giorno di Tiananmen. Era il gennaio del 1985 quando Hun Sen fu nominato per la prima volta primo ministro della Cambogia. Sono passati oltre 38 anni e la maggioranza dei cambogiani non era neppure nata, visto che il paese del Sud-Est asiatico ha un'età media di 26 anni. Tanto è trascorso da quando è iniziato il "regno" di Hun Sen. A luglio la Cambogia torna alle urne per le elezioni generali, ma il risultato finale lo si conosce già adesso: vincerà il Partito Popolare Cambogiano di Hun Sen. Ancora di più dopo la chiusura degli ultimi media indipendenti e la condanna di uno degli ultimi leader dell'opposizione. Meno certo se Hun Sen perpetuerà il suo potere diretto per altri cinque anni oppure lascerà spazio al figlio Hun Manet per dirigere il paese da una posizione più defilata. Forse anche in vista della successione negli ultimi anni ha acuito la presa su un sistema di potere ormai difficilmente modificabile, per mettere tutto a posto in vista del possibile avvicinamento della successione.

Nato come Hun Bunal, si è cambiato il nome nel 1972 dopo che due anni prima aveva lasciato la scuola monastica a Phnom Penh per arruolarsi tra i khmer rossi. Durante l'insorgenza contro il governo filoamericano di Lon Nol restò ferito durante l'assedio della capitale, diventando cieco da un occhio. Impaurito dalle purghe di Pol Pot scappò in Vietnam, dove diventò uno dei leader della ribellione anti khmer sponsorizzata da Hanoi. Dopo la fine del regime di Pol Pot, Hun Sen cominciò la sua rapida ascesa diventando premier dopo la morte di Chan Sy. Da allora si trova al governo, anche se ha vissuto fasi alterne. Nel 1993, quando l'opposizione di Norodom Ranariddh vinse le elezioni, Hun Sen minacciò la secessione di sette province con il supporto dell'esercito e dell'apparato statale. Il vincitore fu costretto a condividere il potere con lui dandogli il ruolo di secondo premier. Ma nel 1997 Hun Sen lanciò un colpo di stato rimpiazzando Ranarridh col fidato Ung Huot. La "lezione" gli è servita per impedire spazi di manovra a un'opposizione che è stata di fatto quasi cancellata, quantomeno alle urne.

A inizio marzo è stato condannato Kem Sokha, 69 anni, cofondatore del Partito della Salvezza Nazionale. Kem Sokha è stato giudicato colpevole di aver ordito un piano segreto in collusione con entità straniere per rovesciare il primo ministro. Accusa con la quale era stato arrestato nel 2017 e ora condannato a 27 anni di carcere. L'occidente ha criticato la sentenza, definita basata su una "cospirazione inventata" e "accuse politicamente inventate". Kem Sokha è stato immediatamente messo agli arresti domiciliari e gli è stato impedito di parlare con persone al di fuori della sua famiglia. La figlia Kem Monovithya ha dichiarato che i servizi internet e telefonici dei genitori sono stati interrotti e che sono state installate telecamere di sorveglianza davanti alla casa. Il suo partito era stato messo al bando dalla Corte suprema cambogiana già nel 2017. Anche l'altro grande leader dell'opposizione, il fondatore del Candlelight Party Sam Rainsy, si trova in esilio dal 2016. Al voto del 2018 il Partito Popolare Cambogiano ha preso il controllo della totalità dei seggi dell'Assemblea Nazionale, mentre alle elezioni locali di giugno, tra diversi sospetti di irregolarità, ha conquistato oltre il 99% dei voti.

Alla stretta sull'opposizione politica, di recente ha fatto seguito anche quella sulle voci rimaste indipendenti sulla scena mediatica. A marzo è stata ordinata la chiusura di Voice of Democracy, una delle ultime organizzazioni giornalistiche cambogiane ad avere una posizione indipendente. Tutto nasce da un articolo di Voice of Democracy in cui si parlava degli aiuti mandati dalla Cambogia alla Turchia per il terremoto di inizio febbraio. L'articolo citava il portavoce del governo Phay Siphan, secondo cui il figlio del primo ministro Hun Manet aveva firmato l'accordo sugli aiuti. Hun Manet è il capo di stato maggiore congiunto e vice comandante delle forze armate del paese, e la firma di un simile accordo sembra aver oltrepassato i limiti della sua posizione. Hun Sen ha chiesto scuse pubbliche, ma il Cambodian Center for Independent Media (l'organizzazione non governativa che gestiva il Voice of Democracy) ha risposto che aveva citato sul punto il portavoce Phay Siphan, esprimendo comunque dispiacere per la "confusione causata". Non è bastato a evitare l'ordine di chiusura. Già nel 2018, poco prima delle precedenti elezioni, era stato chiuso il Cambodia Daily.

Insomma, nulla deve disturbare la stabilità del sistema di potere di Hun Sen, destinato a proseguire con la figura del figlio. Le sue dichiarazioni sono contraddittorie sull'orizzonte temporale del passo indietro (o meglio di lato), ma di recente è tornato a suggerire che possa essere imminente e avvenire magari subito dopo le prossime elezioni. Di recente, durante una visita al cantiere di una centrale idroelettrica nella provincia di Pursat, ha spiegato che il partito è ben preparato per una nuova leadership. "Abbiamo già preparato il piano. Quando sarà il momento giusto, solo questo conta", ha detto, aggiungendo: "Abbiamo trovato dei potenziali giovani successori, e dovremmo passare il (testimone) a loro e stare dietro a loro".

Nell'ultimo Congresso, d'altronde, Hun Sen è riuscito a nominare due nuovi vicepresidenti del Partito: il ministro della Difesa Tea Banh e il vice primo ministro Men Sam An, entrambi suoi stretti alleati. Una mossa utile a rafforzare l'appoggio delle élite militari e ad assestare un duro colpo al ministro dell'Interno Sar Kheng, l'unico che aveva avuto il coraggio di esprimere perplessità sull'indicazione di Hun Manet come suo successore. Alcuni osservatori ritengono comunque che ci sia ancora qualche cosa da fare per unire tutti i pezzi del partito e convincere i dirigenti più anziani ad accettare la nomina di Hun Manet. Non a caso, fino a qualche tempo fa erano arrivate dichiarazioni di Hun Sen che sembravano alludere a una successione solo dopo le elezioni del 2028. A breve sapremo. Ma una cosa è certa: col voto del 23 luglio prossimo i cambogiani non saranno certo in grado di esprimere eventuale insoddisfazione verso uno dei leader più longevi al mondo. Un leader destinato a restare ancora al timone. Sul palcoscenico o dietro le quinte, il nome sarà sempre il suo.

Lorenzo Lamperti, direttore editoriale China Files

5 maggio 2023

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