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Il genocidio culturale delle scuole residenziali canadesi

il rapporto della Commissione per la Verità e Riconciliazione

In Canada è giunta al termine dei suoi lavori la Commissione per la Verità e la Riconciliazione sulle scuole residenziali, gli istituti dove venivano trasferiti con la forza i bambini delle tribù aborigene.

Nel rapporto conclusivo pubblicato pochi giorni fa, la Commissione non ha esitato a definire queste politiche del governo canadese un “genocidio culturale”.

Dopo oltre sei anni di lavoro e circa 6750 interviste realizzate, lo studio mette in evidenza come il sistema delle scuole residenziali, gestite da Chiese cristiane, fosse parte di una politica di assimilazione forzata, volta a distruggere la cultura e la struttura sociale delle popolazioni pre-colombiane.

“Per oltre un secolo - si legge nel rapporto - gli obiettivi della politica canadese verso gli aborigeni sono stati eliminare i loro governi, ignorare i loro diritti, porre fine ai trattati e, attraverso un processo di assimilazione, causare la fine dei popoli aborigeni come entità legali, sociali, culturali, religiose e razziali distinte in Canada”.

Il sistema delle scuole residenziali entrò in vigore nel 1883, dopo una serie di provvedimenti volti a confinare i nativi nelle riserve e a proibire le loro pratiche. In un periodo di oltre 100 anni - l’ultima scuola venne infatti chiusa solo nel 1998, nonostante le convenzioni con le chiese locali terminarono nel 1969 - in queste scuole vennero inviati più di 150mila bambini aborigeni.

Il rapporto documenta inoltre la morte di 3201 studenti in queste strutture, vittime di incuria, malnutrizione, violenza fisica e abuso sessuale.

“Il governo canadese ha perseguito tale politica - prosegue il rapporto - perché desiderava liberarsi degli obblighi legali e finanziari verso i popoli aborigeni e ottenere il controllo delle loro terre e risorse. Se ogni aborigeno fosse stato assorbito nelle entità politiche, non ci sarebbero state riserve, né trattati, né diritti aborigeni”.

Nel 2008 il governo canadese, guidato dal conservatore Stephen Harper, ha formalmente chiesto scusa per le scuole residenziali, mentre nel 2009 si era svolto in Vaticano un importante incontro tra papa Benedetto XVI e il capo dell’Assemblea dei nativi del Canada, Phil Fontaine. Qualche giorno fa, durante una “marcia della riconciliazione” a Ottawa organizzata proprio per riconoscere la verità di questo sistema, sono giunte anche le scuse dell'arcivescovo cattolico della città, monsignor Terrence Prendergast, che ha preso parte all’iniziativa. “Guardiamo al passato e chiediamo perdono - ha scritto Prendergast in una lettera pastorale - Molte delle scuole residenziali erano gestite da enti cattolici e riconosciamo di avere una responsabilità morale in ciò che è successo, insieme all'obbligo di pentirci per questi errori”.

La Commissione per la Verità e la Riconciliazione, creata nel 2007 e presieduta da Murray Sinclair - un Ojibwa, primo nativo a diventare giudice nello stato canadese di Manitoba - ha indicato nel suo rapporto finale 94 raccomandazioni. Una delle più importanti invita il governo canadese ad adottare pienamente la Dichiarazione ONU dei Diritti dei Popoli Indigeni, come base per un nuovo percorso di dialogo. Il Canada, insieme a Stati Uniti, Nuova Zelanda e Australia, si è mostrata in passato molto riluttante a intraprendere questo passo, interpretando la risoluzione come “un documento ispirativo non legalmente vincolante”.

Il rapporto della Commissione introduce un termine già utilizzato nel discorso comune - anche se non in ambito legale -, quello di genocidio culturale. "Il genocidio fisico - si legge nel rapporto - è l'uccisione di massa dei membri di un determinato gruppo. Il genocidio culturale è la distruzione di quelle strutture e pratiche che permettono al gruppo di continuare a esistere come gruppo. Gli Stati che portano avanti un genocidio culturale intendono distruggere le istituzioni politiche e sociali di un dato gruppo. La letta è confiscata, le popolazioni vengono trasferite con la forza e il loro movimento viene ristretto. Le lingue sono bandite. I leader spirituali sono perseguitati, le pratiche spirituali proibite e gli oggetti di valore spirituali confiscati e distrutti. E, cosa più significativa, alle famiglie viene impedita la trasmissione di valori culturali e identità da una generazione all'altra".

Il concetto di genocidio culturale ha una lunga storia. Già nel 1944 il giurista Raphael Lemkin - che coniò poi la definizione di genocidio - introduceva l'elemento culturale come aspetto di tale crimine. Se è vero che solo nel genocidio vero e proprio si attua l'eliminazione fisica degli esseri umani, negli ultimi anni si sta facendo strada il riconoscimento del genocidio culturale. Le stesse Nazioni Unite riconoscono, come parte della definizione di genocidio, il trasferimento forzato dei bambini di un gruppo in un altro gruppo. Nel 2005, inoltre, il giurista David Nersessian si è espresso sulla questione affermando che "in questi casi, gli aspetti fondamentali dell'esistenza culturale di un gruppo sono attaccati con l'intento di distruggerlo, rendendo in tal modo il gruppo stesso oggetto e vittima dell'attacco".

In ogni caso, il dibattito sul genocidio culturale è destinato a proseguire e ad avere un forte impatto. Basti pensare che è proprio questo il crimine di cui il Dalai Lama ha accusato il governo cinese con riferimento alla repressione tibetana.

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

4 giugno 2015

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