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​Il provocatore Orbán e la realtà dei flussi migratori

intervista a Federigo Argentieri

Il professore di Scienze Politiche alla John Cabot University Federigo Argentieri ha tracciato per Gariwo il ritratto dell’Ungheria alle prese con l’immigrazione, un Paese guidato dal controverso e “dispettoso” Viktor Orbán, che inquieta la comunità internazionale con i suoi gesti eclatanti, ma che davanti a un afflusso senza precedenti di immigrati deve fare affidamento sul pragmatismo.

Ho letto sulla BBC che il flusso degli immigrati verso l’Ungheria è di circa 10.000 unità al giorno, di cui solo il 20% viene rintracciato e sottoposto a controlli, mentre il resto fugge, si sparge nelle foreste o cerca di raggiungere in qualche modo l’area Schengen. Qual è il tenore del dibattito sull’immigrazione in Ungheria?

Io confido che la BBC abbia dei dati affidabili. I giornali ieri hanno fatto il raffronto tra 2014 e 2013. Nel 2014 erano arrivati quattro volte tanto i rifugiati del 2013 e forse anche di più. Non credo che la discussione sia molto accesa, perché quello che poteva sembrare un gesto scandaloso – del resto Orbán non si sottrae mai agli scandali, ma anzi li cerca – in realtà è una misura che era già stata presa in molti altri casi senza che fosse sorto alcuno scandalo. Ora, io sono iscritto alla Società Ungheria Europa, che ha esteso un appello contro la costruzione del muro confinario, ma lei ricorda qualche scandalo quando furono eretti i muri di Ceuta e Melilla? Io no. O quando è stato eretto il muro tra la Bulgaria e la Turchia? Quello è un muro corto, dove c’è anche un fiume e il controllo è più facile. Io non ricordo che qualcuno si sia scandalizzato. Ci sono stati paragoni inappropriati con Cipro e il Muro di Berlino. Il Muro di Cipro più o meno esiste ancora anche se oggi è più permeabile di prima – dal 2008 in poi è stato virtualmente aperto – e il Muro di Berlino non c’è più, ma in ogni caso sono casi non attinenti. Il muro di Cipro è stato eretto per separare due comunità in guerra l’una con l’altra, e c’è ancora una forza di interposizione ONU; il muro di Berlino non fu costruito per impedire l’entrata, ma per impedire l’uscita, e non è la stessa cosa.

Però forse il Muro di Berlino viene citato perché la frontiera dell’Ungheria fu una delle prime che si aprirono prima della sua caduta. Come mai allora aperto e oggi chiuso?

Certo, però siamo passati dalla poesia alla prosa. Nel 1989 c’era la poesia, oggi c’è la prosa. Io, pur non amando particolarmente questo gesto né soprattutto la forza che maggiormente vi si crogiola, ossia Jobbik, non trovo tuttavia giusto farne un grosso scandalo. Bisogna in qualche modo affrontare questa situazione. Noi avemmo vent’anni fa la questione dell’Albania…

Infatti le volevo chiedere: molti degli immigrati che arrivano in Ungheria sono kosovari albanesi di religione musulmana. Si temono atti di terrorismo?

Non lo so. L’Ungheria avrebbe dovuto allora votare contro l’indipendenza del Kosovo. Invece votò a favore, contrariamente agli slovacchi e ai romeni. L’Ungheria e la Serbia non vanno molto d’accordo, e può darsi che questo abbia un significato relativo alla permanente minoranza ungherese in Serbia, che magari riceverà un trattamento preferenziale a scapito del muro. Mi sembra che la mossa di Orbán per ora vada interpretata solo in termini europei e credo che come tale non presenti ragioni di particolare scandalo. Non credo che Orbán sarà rimproverato come quando accennò alla reintroduzione della pena di morte.

Secondo lei come mai vengono rivolti tutti questi rimproveri a Orbán per il muro? Perché è di estrema destra?

Come ha capito bene anche Andrea Tarquini, il corrispondente di Repubblica che conosco dai tempi della transizione democratica, bisogna fare prevalere l’intelligenza sull’emotività quando si parla di Orbán. Tarquini dal 2010 fino all’anno scorso prendeva molto di petto Orbán, dandogli regolarmente del fascista. Poi ha ragionato un po’ di più. Orbán è dispettoso, conosce benissimo i meccanismi dell’Unione Europea e della sinistra europea. Quando c’è bisogno manda parole rassicuranti, quando vuole fare i dispetti li fa. È passato dalla sinistra liberale alla destra conservatrice in maniera abbastanza opportunistica, per cogliere un’occasione storica, e da questa posizione ogni tanto fa i dispetti. Starebbe alla comunità internazionale reagire in maniera più composta per non fare il suo gioco. Con questo non voglio dire che Juncker e la Merkel non abbiano fatto bene a strepitare quando lui ha parlato di pena di morte; hanno fatto benissimo e infatti lui ha fatto marcia indietro. Qualche volta vuole vedere fino a che punto può spingersi. Ora speriamo che perda la maggioranza assoluta tra tre anni, così dovrà governare sul serio e dovrà fare i conti speriamo non con Jobbik (Orbán non è stupido e non dovrebbe governare con questa formazione) e che il suo potere venga limitato. Non credo che verrà rovesciato perché la sinistra ungherese è in condizioni disastrose, ma almeno che venga limitato.

Ma esiste una differenza tra migranti che sfuggono a guerre e dittature e migranti “economici”? E come vengono percepite le due componenti in Ungheria?

Certo che esiste, ma è quasi impossibile accertarlo. Io conosco una giovane impiegata dell’ufficio preposto all’analisi di questi casi in Puglia, un’amica, e ho imparato che su questi temi bisogna fare un’analisi compiuta. Per dare attuazione al diritto costituzionale all’asilo politico, bisogna accertarsi dell’identità del richiedente e di numerose altre cose. Ci vuole tempo, ci vuole fatica, ma con il ritmo degli arrivi diventa quasi impossibile. L’Ungheria in questo momento poi non ha tanto interesse ad accogliere rifugiati politici. Oltre naturalmente agli ungheresi dei Paesi vicini che furono accolti dopo le modifiche al confine, gli unici rifugiati politici di rilievo mai accolti dall’Ungheria sono stati i comunisti greci dopo la guerra civile, dal ’49 in poi. Questa è la grande immigrazione politica avvenuta in Ungheria. Poi nessuno, almeno in numeri di rilievo, credo che abbia mai richiesto asilo in Ungheria, anche per la difficoltà della lingua. Neanche la Polonia credo abbia mai accolto molti rifugiati. Non sono Paesi che abbiano mai attratto molti immigrati, tranne appunto che non fossero di madrelingua.

Com’è il muro concretamente?

Filo spinato con dei pali. È un muro per modo di dire. Non è quello quasi invalicabile tra USA e Messico (che pure qualcuno riesce di tanto in tanto a valicare). È un atto ritenuto importante e doveroso perché c’è un eccesso di afflusso di profughi rispetto alle capacità del Paese. Non simpatizzo né giustifico, ma credo che vada calato nel contesto.

Quali possono essere alternative al muro confinario?

Prima parlavo dell’Albania degli anni Novanta. L’alternativa è andare nei Paesi confinanti, stroncare il traffico illegale e se c’è un governo prendere accordi con esso per ridurre o annullare l’emigrazione. Ma con la Libia e la Siria è impossibile. Lì abbiamo una situazione di guerra civile acutissima, nel caso della Libia con uno Stato fallito (un failed state), e dunque questi accordi sono impossibili. In Albania dopo la grande crisi degli anni ’90, con gli accordi del ’95-’96 si riuscì a stabilizzare la situazione e finì quasi di colpo l’afflusso di profughi albanesi. Con la Siria e con la Libia purtroppo non si vede via d’uscita dal problema e dunque l’alternativa al muro non c’è. L’Italia, che per conformazione geografica non può fare alcun muro, si trova ad accogliere tutti questi migranti che poi vengono rispediti indietro alle frontiere nord del Paese: una situazione quasi insostenibile.

Lei ha parlato di un’opposizione a Orbán in condizioni disastrose e dell’Unione Europea spesso presa in contropiede. Vogliamo vedere un po’ chi si oppone a Orbán e che cosa fa?

L’Unione Europea è in alto mare. Sull’immigrazione ci sono le quote, però poi ci sono anche i respingimenti, gli egoismi che prevalgono. L’unico Paese che riesce ad accogliere gli immigrati in quantità rispettabili come al solito è la Germania. Ha già accolto decine di migliaia di immigranti dalla Siria e questo naturalmente ne attrae molti di più. Le opposizioni a Orbán sono in stato disastroso perché sono incerte sulla propria identità e sulla propria leadership. L’unico leader valido che c’era, Gyurcsány, candidato nel 2008, poi sostituito a metà legislatura, è un ex comunista che ha avuto molti problemi per una frase infelice che è stata fatta filtrare da una riunione di partito, tipo “questo cavolo di Paese che non riesce a mettersi in piedi” ma detta in modo molto più insultante, minandolo politicamente, e dunque la sinistra ungherese è in crisi di identità e in crisi di leadership. 

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