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Il tramonto dei diritti in India

di Lorenzo Lamperti

La più grande democrazia del mondo. L'India è conosciuta così. Un'etichetta formalmente appropriata per un "vestito" immenso che, se guardato da vicino, lascia intravedere più di una sgualcitura. Il primo ministro Narendra Modi sa che il ruolo del suo paese è indispensabile su diversi fronti: commerciale, economico, geopolitico, strategico. L'India viene d'altronde considerata uno dei pilastri della strategia del cosiddetto "contenimento della Cina" messa a punto dagli Stati Uniti in Asia. Mentre per l'Europa la rilevanza di Nuova Delhi è in costante aumento anche a livello commerciale, viste le necessità di diversificazione e le grandi prospettive di crescita di un mercato che presto rappresenterà la nazione più popolosa al mondo dopo lo storico sorpasso alla Repubblica Popolare Cinese. Per questo ha potuto contare su qualche occhio socchiuso in occidente su alcune tendenze riscontrabili da quando è al potere. O persino da prima, visto il mai del tutto chiarito ruolo giocato dal primo ministro nella tragica vicenda del massacro del Gujarat.

Era il febbraio del 2002 quando nello stato dell'India occidentale venne dato fuoco a un treno che trasportava pellegrini indù. I colpevoli furono identificati in una folla della minoranza musulmana, diventata poi bersaglio di una rappresaglia violenta e sanguinosa che provocò mille morti ufficiali ma circa 2500 secondo le stime degli attivisti e delle organizzazioni non governative. Modi era allora a capo del Gujarat. Modi è stato scagionato nel 2012 dalla Corte suprema indiana dall'accusa di non aver fatto abbastanza per fermare i disordini. Ma i contorni della vicenda hanno sempre fatto discutere.

Una discussione che ha ripreso vigore di recente, con la messa in onda del documentario della Bbc "India: The Modi Question". La prima delle due parti del film riguarda proprio gli inizi della carriera politica di Modi e il suo ruolo nei disordini del Gujarat. Vengono discussi i documenti trovati dalla Bbc, tra cui un rapporto del governo britannico in cui si afferma che le violenze in Gujarat hanno mostrato "tutte le caratteristiche di una pulizia etnica". Jack Straw, all'epoca ministro degli Esteri del Regno Unito, viene ritratto mentre afferma che vi erano "serie affermazioni" secondo cui Modi stava attivamente limitando le attività della polizia e "incoraggiando tacitamente gli estremisti indù".

Il governo indiano ha vietato la proiezione del documentario, definendolo "propaganda" e "spazzatura", e ha chiesto ai siti di social media di togliere i frammenti del documentario condivisi dagli utenti. Il divieto, criticato come censura dall'opposizione, è stato spesso aggirato e diverse organizzazioni studentesche hanno organizzato proiezioni in varie parti del paese. Andando spesso incontro a problemi con le autorità. La polizia della capitale è intervenuta per fermare un gruppo di studenti che si era riunito per guardare comunque il film. La stessa cosa è successa in diverse zone della capitale e in diverse città del paese. E in alcuni casi si sono verificati anche episodi di violenza. Alla Jawaharlal Nehru University di Delhi un gruppo di studenti nazionalisti indù ha lanciato mattoni contro quelli che si erano radunati per guardare il documentario sui propri telefonini, visto che l'università aveva staccato la corrente per evitare l'utilizzo del proiettore. I gruppi per i diritti umani e i partiti di opposizione hanno descritto il divieto come un attacco alla libertà di stampa.

Non a caso, nel 2022 l'India è crollata al 150esimo posto su 180 per la libertà di stampa: la peggior posizione di sempre per il paese asiatico. Non ha agevolato la posizione in graduatoria la sorte di Ndtv, una delle poche emittenti televisive che avevano mantenuto una posizione neutrale o critica nei confronti di Modi. La televisione è stata infatti acquistata da Gautam Adani, multimiliardario indiano e proprietario del conglomerato Adani Group che di recente ha avuto grandi problemi dopo un report di Hindenburg Research. Il fondo ribassista americano ha pubblicato i risultati di due anni di indagini sul gruppo, denunciando manipolazioni del mercato e irregolarità contabili attraverso "sfacciate alterazioni dei prezzi delle azioni" e "decenni di falsificazione dei bilanci". L'ex uomo più ricco d'Asia è peraltro potente non solo dal punto di vista finanziario, ma anche politico. Ha un legame profondo con Modi, con cui condivide le origini nello Stato del Gujarat.

Non è un caso che il governo abbia dato credito alla versione di Adani secondo cui l'attacco al suo gruppo sia motivato da un sabotaggio esterno dell'ascesa indiana. D'altronde, lo stesso Adani ha giocato un ruolo non di poco conto a favorire l'ascesa di Modi sul piano interno e internazionale, alimentandone l'immagine di leader aperto a business e investimenti. Carte con cui Modi ha "sedotto" l'occidente, distratto da quanto il primo ministro abbia fruttato i toni del nazionalismo indù per favorire la sua ascesa politica. E li abbia poi rinfocolati per rafforzare la sua presa che ha assunto talvolta caratteristiche autoritarie, con riforme considerate da più parti come lesive della minoranza musulmana. Per esempio con la nuova legge di cittadinanza, che stabilisce che per richiedere la cittadinanza uno straniero debba avere vissuto in India o lavorato per il governo federale per almeno 11 anni. La proposta di legge introduce alcune eccezioni per i membri di sei minoranze religiose (induisti, sikh, buddisti, jiainisti, parsi e cristiani), provenienti da Pakistan, Afghanistan e Bangladesh. Non v'è però traccia per le minoranze musulmane, come gli ahmadi pakistani o i rohingya del Myanmar. O ancora con la decisione del 2019, quando il governo Modi ha improvvisamente revocato l'autonomia del Kashmir, l'unico stato indiano a maggioranza musulmana, dividendo il suo territorio in due parti amministrate a livello federale.

Ma è la situazione generale dei diritti a non confortare. Secondo un report di Project 39A, nel 2022 i tribunali indiani hanno comminato 165 nuove condanne a morte. Il numero più alto in un solo anno per il paese dal 2000. I detenuti indiani nel braccio della morte sono dunque diventati 539, anche questo il dato più pesante a partire dal 2004. Da decenni l’India si oppone a qualunque tentativo di risoluzione delle Nazioni Unite per sospendere o vietare la pena di morte. E la libertà di stampa in picchiata da sì che l'opposizione indiana sia ampiamente sotto rappresentata sui media nazionali. Ulteriore vantaggio per Modi in vista delle elezioni generali del 2024, dove il primo ministro che rappresenta "l'orgoglio indù" mira a ottenere un terzo mandato.

Lorenzo Lamperti, direttore editoriale China Files

23 marzo 2023

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