L’associazione di solidarietà lgbtq+ Pembe Hayat è stata la prima organizzazione in Turchia a battersi per i diritti delle persone trans. Fondata il 30 giugno 2006 ad Ankara, l'associazione prende il nome dal film del 1997 “Ma vie en rose”, diretto da Alain Berliner, che racconta la storia di una ragazza nata in un corpo maschile.
Oggi Pembe Hayat progetta e fornisce servizi di supporto a persone trans vittima di discriminazione, crimini d'odio, violenza ed esclusione sociale contro le persone trans e porta avanti le sue attività di advocacy in ambito nazionale e internazionale.
Buse Kilickaya, la fondatrice dell’associazione, racconta così il periodo storico in cui è stata fondata l'organizzazione: “Ero un’attivista, come tante altre persone trans lavoratici del sesso, presso la storica associazione di Ankara, KaosGL. Dopo anni di esperienza abbiamo deciso di fondare una nostra associazione sia perché nel mondo omosessuale non eravamo ben accettate sia perché era necessario che fossero le persone trans a lottare per i loro diritti sotto un’organizzazione fondata da loro stesse”.
In quegli anni a Ankara nascevano le prime bande criminali, come Balyoz, che cercavano di controllare il mercato del lavoro del sesso. Queste bande, in particolare nel quartiere di Eryaman, agivano con violenza in collaborazione con diverse formazioni politiche e la polizia locale. Buse sottolinea che la lotta che hanno messo in piedi per rivendicare il loro diritto alla vita è stata la scintilla per fondare la Pembe Hayat.
“Dopo la nascita della nostra associazione il movimento per la rivendicazione dei diritti delle persone trans in Turchia si è rafforzato. Era un movimento già esistente ma in diverse città grazie a noi questo movimento ha trovato ulteriore coraggio e sono nate nuove associazioni piccole e grandi”.
Buse specifica che la Pembe Hayat, sin dalla sua nascita, non ha mai pensato di essere una realtà di “categoria”, infatti ha seguito i processi di diversi casi di femminicidio, ha realizzato varie manifestazioni di protesta per la rivendicazione dei diritti delle persone gay e lesbiche e contro il razzismo diffuso nei confronti di coloro che non sono “turchi” come gli armeni, i curdi e i rifugiati.
“Con il passare del tempo la nostra associazione era diventata sempre più grande e ad un certo punto abbiamo attirato l’attenzione dello Stato. Abbiamo subìto una pressione mediatica e politica che ha generato un processo per la chiusura della nostra associazione. Penso che sia un riconoscimento anche questo, perché così avevamo dato una visibilità dignitosa alle persone trans in Turchia”.
Secondo la relazione annuale Rainbow Index, dell’associazione ombrello Ilga Europe, nel 2020 la Turchia era il secondo paese europeo meno vivibile per le persone lgbtq+. E, secondo il lavoro di monitoraggio che porta avanti la Transgender Europe dal 2008, la Turchia è in cima alla classifica europea per il numero delle persone trans assassinate: più di 55 in 14 anni.
Il fatto che le storiche marce come Gay Pride e Trans Pride di Istanbul siano vietate dal 2013 e ogni tentativo di ripristinarle riceva la violenta risposta della polizia aiuta un po’ a capire la situazione. A questa condizione bisogna anche aggiungere il fatto che in numerose città, compresa la capitale Ankara, sono state impedite tutte le attività delle associazioni lgbtq+ per almeno due anni, sia durante lo stato d’emergenza che dopo, dal 2016 al 2019. Tutto questo viene accompagnato dalla sistematica campagna di linciaggio mediatico portato avanti dai principali media main stream fondamentalisti, da numerose comunità religiose e da vari esponenti del governo sia centrale che locale.
Buse cita alcuni importanti lavori che hanno realizzato in questi anni nell’ambito della lotta per i diritti umani: “Offriamo in continuazione un importante sostegno legale a tutte le persone trans vittime di discriminazione e violenza. Abbiamo una campagna di raccolta vestiti, trucchi e ormoni per le persone detenute trans e un’iniziativa dedicata a Dilek Ince, una donna trans assassinata nel 2008 dalle bande criminali nel quartiere di Ankara Eryaman. Collaboriamo con numerose associazioni, sindacati e partiti politici sia a livello politico sia fornendogli dei corsi di formazione. Infine rispondiamo alla discriminazione con le produzioni artistiche. La dimostrazione più grande di questa visione è il KuirFest che è il primo festival cinematografico di cultura queer realizzato in Turchia da un’associazione trans”.
Tra le vittorie di Pembe Hayat dobbiamo inserire il duro lavoro che hanno portato avanti dal 2006 nel maxi processo, ancora in corso, sulle bande criminali di Eryaman. Grazie al lavoro capillare dell’associazione, per la prima volta in Turchia un giudice ha riconosciuto che anche le persone trans possono essere vittime di crimini d’odio. Un risultato che farà da esempio per i futuri casi.
Pembe Hayat oggi continua con le sue attività di advocacy sia in parlamento che a livello internazionale per l'inclusione dell'identità di genere e per lottare contro il linguaggio dell’odio sull'orientamento sessuale. Inoltre l’associazione fornisce servizi di consulenza gratuita sui diritti, sull’istruzione, sulla salute e sui processi di transizione per le persone trans in diverse parti della Turchia. Pembe Hayat organizza il "Trans Camp" dove le persone trans dalla Turchia si riuniscono per parlare dei loro problemi e cercare soluzioni.
Murat Cinar