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La legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong colpisce anche all'estero

di Alessandra Colarizi

Quanto temuto da tempo è diventato realtà: la famigerata legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong comincia a colpire anche all’estero. Secondo quanto riferito da diversi media giapponesi, una studentessa hongkonghese è stata arrestata per aver scritto un post su Facebook in cui auspicava l'indipendenza di Hong Kong. L’accusa è di “incitamento alla secessione”. Il fatto risale a due anni fa, mentre la 23enne si trovava in Giappone per motivi di studio. Ma il fermo è avvenuto solo a marzo quando la ragazza è tornata nella regione amministrativa speciale cinese per rinnovare il suo documento di identità. Stando agli esperti, è la prima volta che una persona viene arrestata ai sensi della legge per comportamenti mantenuti all’estero.

La legge sulla sicurezza nazionale

La normativa è stata approvata il 30 giugno 2020 dal parlamento cinese ed è entrata in vigore a Hong Kong il giorno successivo bypassando l’organo legislativo locale. Notevolmente vaga, la legge stabilisce pene fino all’ergastolo per gli atti di "secessione", "sovversione", "terrorismo" e "collusione con forze straniere". Reati definiti in modo estremamente ampio che possono facilmente venire strumentalizzati in procedimenti giudiziari a sfondo politico. Come rimarca Amnesty International, infatti, “la legge conferisce al governo centrale cinese e alle autorità di Hong Kong nuovi poteri estesi per la supervisione e la gestione delle scuole, delle organizzazioni sociali, dei media e di internet a Hong Kong.” Formulata in risposta alle proteste del 2019, non è un caso che la normativa sia spesso stata esercitata contro i più giovani, principale motore del movimento pro-democrazia.

Dall'entrata in vigore, oltre 250 persone sono state arrestate ai sensi della legge, circa 140 sono state incriminate, mentre sono una trentina quelle condannate. In quest’ultima categoria rientrano almeno cinque minori: Yuen Ka-him, 17, Wan Chung-wai, 16, Leung Yung-wan, 17, Tseung Chau Ching-yu, 17, and Kwok Man-hei, 19 - tutti membri del gruppo “rivoluzionario” Returning Valiant - lo scorso ottobre sono stati sottoposti a tre anni di riabilitazione in un apposito centro per aver incitato alla "rivolta armata". Più in generale sono 517 i minorenni perseguiti per vari reati legati alle proteste del 2019 che, sebbene perlopiù pacifiche, hanno visto talvolta l’utilizzo di metodi violenti. In risposta al clima politico, sono sempre di più le famiglie a pianificare un trasferimento all’estero. Fattore che - insieme al calo della natalità - sta trascinando verso il basso il numero degli iscritti alla scuola materna e primaria, questi ultimi passati dai 373.000 del periodo 2019/20 ai circa 349.000 del 2021/2022. Quasi 12.000 insegnanti si sono dimessi solo nell’ultimo anno.

Il caso

Secondo Tomoko Ako, docente di sociologia presso l'Università di Tokyo, la ragazza arrestata sarebbe la fidanzata di uno dei suoi studenti. Contattata da Gariwo, la professoressa Ako spiega che la 23enne è stata liberata su cauzione il giorno dopo il fermo, ma che si doveva presentare alla polizia il 29 maggio. Essendole stato confiscato il passaporto, la studentessa al momento non è in grado di tornare in Giappone per continuare gli studi. Né pare aver ricevuto grande supporto dall’università che, stando ad Ako, non le ha nemmeno permesso di proseguire il suo percorso formativo da remoto. Solo pochi membri della facoltà hanno cercato di avere sue notizie, ci racconta la sociologa. “Penso che il motivo per cui il governo giapponese sia rimasto in silenzio è perché si tratta di una studentessa straniera. Il governo giapponese non è amichevole con gli stranieri…”, aggiunge Ako.

La risposta del Giappone

Ad oggi, solo il ministero degli Esteri giapponese si è espresso pubblicamente sul caso: chiediamo “che la libertà di parola e di stampa sia protetta a Hong Kong, in Cina” e ci impegniamo a “lavorare a stretto contatto con la comunità internazionale per sollecitare con forza la parte cinese", ha dichiarato il dicastero alla fine di aprile. L’arresto della studentessa giunge in un periodo particolarmente teso per i rapporti tra i due Paesi asiatici. Oltre al pressing cinese attorno a Taiwan e alle restrizioni sull’export di tecnologia nipponica, si sono aggiunte le accuse di spionaggio dirette contro alcuni cittadini giapponesi. Da ultimo un dipendente della casa farmaceutica Astellas Pharma, detenuto in Cina nel mese di marzo.

Un preoccupante precedente

L’arresto della studentessa tornata dal Giappone rappresenta un precedente preoccupante. Creato ad hoc, l’Articolo 38 della legge sulla sicurezza nazionale stabilisce che la normativa “si applica [anche] ai reati commessi contro la regione amministrativa speciale di Hong Kong dall'esterno della regione da una persona che non è un residente permanente della regione". Un monito per le centinaia di migliaia di hongkonghesi ed expat che negli ultimi tre anni hanno lasciato l’ex colonia britannica per sfuggire al crescente controllo del governo cinese. Sono almeno sei i mandati di arresto spiccati dalla polizia hongkonghese nei confronti di persone in varie parti del mondo, tra cui l’americano Samuel Chu, fondatore del gruppo per la difesa dei diritti umani Campaign for Hong Kong. L'anno scorso un cittadino portoghese di nome Joseph John Wong è stato arrestato durante una visita a Hong Kong. L’accusa è di aver pubblicato sui social media messaggi di "odio o disprezzo" contro il governo locale e centrale. Il 40enne si trova ancora in carcere dopo che i giudici gli hanno negato la libertà su cauzione.

Alessandra Colarizi, direttrice editoriale China Files

29 maggio 2023

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