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La primavera serba: a Belgrado si marcia contro la violenza

di Tatjana Dordevic

Il 5 ottobre del 2000, quando l'ex presidente serbo Slobodan Milošević riconobbe la propria sconfitta, un milione di persone scesero in piazza per liberarsi del padre-padrone e di un regime dittatoriale durato oltre dieci anni. Fu un momento storico: tutti gridavano "siamo finalmente liberi". Quella rivoluzione, conosciuta anche come "rivoluzione bulldozer" e supportata dagli Stati Uniti, è rimasta il simbolo della ribellione di un popolo che credeva che il proprio paese potesse finalmente diventare libero e democratico. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che oggi, a più di vent'anni di distanza dalla caduta di Milošević, la nuova Serbia potesse essere ancora guidata da molti di quegli uomini che all'epoca erano alleati e fedelissimi all'ex leader.

Il 20 maggio di quest'anno migliaia di persone sono scese in piazza nella capitale per protestare contro la violenza del regime guidato da Aleksandar Vučić, che è al potere da quasi un decennio. Il giorno successivo, i giornali indipendenti del paese hanno riportato in prima pagina il titolo "La primavera serba", con lo scopo di avvalorare l'importanza delle coraggiose proteste della popolazione. I giornali pro-regime, invece, hanno sminuito la portata della manifestazione, da loro definita come una riunione di poche migliaia di persone tesa a destabilizzare il paese. 

Il presidente serbo Vučić è famoso in Serbia per la sua frequente partecipazione a spettacoli televisivi e, anche questa volta, ha deciso di commentare l'accaduto su una TV privata con frequenza nazionale, definendo coloro i quali avevano manifestato davanti al Parlamento come "delinquenti, mascalzoni e tossicodipendenti". Il linguaggio utilizzato non è banale e rimanda al ricordo dell’ex presidente Milosevic, il quale era solito riferirsi ai manifestanti come ad "una manciata di inutili" durante i propri discorsi.

Dopo la caduta del regime di Milosevic, il quale aveva messo il paese in ginocchio, la Serbia ha cercato di intraprendere un difficile cammino verso la democrazia, anche se, purtroppo, il processo non è mai stato completato. L'attuale governo, composto dai leader europeisti che hanno guidato il paese nell'ultimo decennio, ha quindi fallito nelle proprie scelte politiche, portando nuovamente al potere gli uomini sconfitti in passato.

È importante ricordare ad esempio come il giovane Vučić, ex militante del partito ultranazionalista di Vojislav Šešelj, avesse già occupato il vertice del Ministero dell'Informazione alla fine degli anni '90. Nella lista figura anche Aleksandar Vulin, attuale capo dell'Agenzia per la sicurezza e l'informazione, il quale era stato in gioventù uno dei fondatori del Partito di sinistra jugoslavo, guidato da Mira Marković, la moglie di Milošević. Vi è in aggiunta Ivica Dačić, attuale ministro degli Esteri e leader di quel Partito Socialista un tempo affiliato a Milošević, del quale è anche stato il portavoce dal 1992 al 2000.

Quando è stato eletto presidente della Serbia nel 2017, Aleksandar Vučić ha affermato che, se avesse sempre potuto godere di buona salute, sarebbe stato in grado di guidare il paese per trent'anni. I media occidentali hanno riportato questa notizia, talvolta in tono scherzoso, descrivendolo come un leader europeista e democratico. In ogni caso, durante una recente intervista rilasciata al The Guardian il presidente serbo, incalzato dal quotidiano britannico proprio in relazione ai propri trascorsi politici, ha dichiarato che "solo gli asini non cambiano mai idea", lasciando presagire ad una propria cesura totale con il passato. 

Nonostante ciò, la Serbia deve oggi fare i conti con un consistente aumento delle stragi con arma da fuoco. Il 3 maggio di quest'anno, ad esempio, in una scuola primaria nel centro di Belgrado un bambino di tredici anni, alunno della stessa scuola, ha aperto il fuoco con una pistola, uccidendo dieci bambini, una guardia giurata e ferendo altri sei alunni e un'insegnante. Il giorno successivo, un ragazzo ventunenne, proveniente da un villaggio vicino a Belgrado, ha sparato con un fucile automatico nel cortile di un altro plesso scolastico, uccidendo otto persone e ferendone altre tredici. Secondo un'analisi della Small Arms Survey, la Serbia è il paese europeo con il più alto possesso di armi civili, classificandosi anche al quinto posto a livello mondiale. Su una popolazione di quasi 7 milioni di persone, vi sono oltre 2.700.000 armi di proprietà privata, di cui solo il 44 percento è ufficialmente registrato.

Dopo questi due eventi, tragici e senza precedenti, il governo ha emesso un ordine per il ritiro delle armi illegali. La settimana successiva il ministro dell'Istruzione Branko Ružić, ex leader dei giovani socialisti del Partito socialista di Slobodan Milošević, si è dimesso a causa delle pressioni politiche esercitate dai cittadini. In ogni caso, il governo non ha ancora accettato le sue dimissioni e la situazione è da considerarsi, pertanto, ancora in divenire. Con lo scopo di stemperare gli animi, il Presidente serbo Vučić ha recentemente dichiarato, durante un'intervista su una televisione filo-governativa, che più di 20.000 armi illegali sono già state consegnate dalla popolazione alle autorità preponenti.

Negli ultimi anni in Serbia vi sono state numerose proteste e manifestazioni. Tra queste ve ne sono state alcune della durata di diversi mesi, come ad esempio quelle imbastite per protestare contro le presunte elezioni falsate del 2017. Vi sono poi state altre diverse proteste come, ad esempio, quelle contro le misure adottate durante la pandemia, le controproteste alle manifestazioni ecologiche e quelle contro l'apertura di una fabbrica di litio nel sud del paese, sostenuta con forza dal governo attuale. Tuttavia, secondo molti osservatori, l'ultima manifestazione organizzata dalla popolazione civile e denominata "Serbia contro la violenza" sarebbe stata la più massiccia registrata nella capitale da ottobre del 2000.

Si è trattato di una marcia pacifica, caratterizzata da un silenzio irreale, rotto solo da un breve applauso. Tra le numerose richieste dei cittadini figurano la sospensione delle pubblicazioni dei tabloid filogovernativi e delle emittenti televisive private con la frequenza nazionale, accusate di promuovere la violenza, le dimissioni del ministro dell'Interno e la contestuale accettazione delle dimissioni del ministro dell'Istruzione e le dimissioni dei funzionari del servizio pubblico RTS (radio televisione serba), un mezzo di comunicazione filo-governativo.

In un paese normale, a parità di situazione, probabilmente tutto il governo si dimetterebbe per obbligo morale. Invece, in Serbia, il presidente del paese e il suo governo, formato principalmente dai membri del Partito Progressista di cui lo Vučić è Presidente, hanno annunciato per il 26 maggio a Belgrado la protesta più grande che la Serbia abbia mai visto. È necessario tenere a mente come i suoi sostenitori vengano ricattati o pagati per partecipare alle sue manifestazioni, così come era solito fare - finché ha potuto - anche l'ex presidente Milošević.

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