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La resistenza ucraina raccontata dall’interno

L'invasione russa e le contraddizioni occidentali secondo Alona Lasheva e Denys Pilash

In copertina un'opera di Kinder Album, un artista di base a Lviv

La rivista statunitense Tempest ha intervistato la sociologa Alona Lasheva e il politologo Denys Pilash, esponenti di Sotsialnyi Rukh (“Movimento sociale”), un progetto politico ucraino orientato verso la sinistra radicale internazionale. L’intervista, molto lunga, offre svariati punti di riflessione sulla guerra in corso, sul significato della resistenza ucraina, sul futuro delle regioni occupate dai russi.

Lasheva e Pilash forniscono un’approfondita descrizione delle condizioni disperate dei civili in gran parte del paese (“In alcuni luoghi le persone non hanno accesso all’acqua potabile”, “uno dei problemi comuni è la mancanza di accesso al cibo per i bambini intolleranti al lattosio; le madri devono quindi scegliere tra la morte per fame dei loro figli e i problemi di salute causati dal latte materno a cui sono allergici”). Ma non solo. I due studiosi affrontano in maniera originale questioni imprescindibili come le condizioni per un cessate il fuoco, il ruolo della corruzione e degli oligarchi ucraini, le condizioni delle minoranze russofone.

Contrariamente a quello che si potrebbe aspettare dallo sguardo dichiaratamente ideologico dei due esponenti di Sotsialnyi Rukh, dalle loro parole emerge un'ampia distanza concettuale rispetto alle riflessioni di un'ampia fetta della sinistra europea, probabilmente più interessata al profilo identitario dei combattenti ucraini che al denunciare i crimini russi e cercare soluzioni per terminare l’invasione.

Dall’intervista, infatti, si percepisce una marcata insofferenza verso la superficialità (o il cinismo) con cui gran parte del mondo mediatico e culturale occidentale analizza le questioni ucraine. Sono chiamati in causa sia i sostenitori di Kiev - che non avrebbero saputo leggere la complessità della società ucraina -, sia quei movimenti di sinistra che, in nome di un sedimentato anti-atlantismo, tenderebbero a sminuire l’aggressione russa.

Pubblichiamo alcuni degli estratti più interessanti della intervista (nella sua traduzione italiana a cura di Piero Maestri per Jacobin Italia), ma invitiamo la nostra comunità a una lettura integrale del testo.


La resistenza a Luhansk e a Donetsk

Denys Pilash spiega che nelle autoproclamate repubbliche di Luhansk e Donetskla resistenza all’occupazione c’è stata quasi ovunque, fin dall’inizio. Ci sono state molte proteste pacifiche violentemente disperse e represse. Ancora oggi la popolazione continua a resistere”. Sfata quindi il mito della popolazione russofona che accoglie i soldati russi: “Si è prodotto un livello così alto di opposizione all’occupazione che i russi non sono riusciti nemmeno a convincere qualche Quisling ad accettare di guidare le autorità locali installate. Alla fine, per poterlo fare, hanno trovato alcuni vecchi politici corrotti e marginali teorici della cospirazione. In generale, la popolazione, compresi i russofoni che costituiscono la maggioranza della popolazione nei territori occupati, non è disposta a collaborare. Non sono favorevoli alla distruzione delle loro città e paesi, ai soldati che pattugliano le loro strade e ai loro diritti calpestati”.

Del resto, spiega Lasheva, al di là delle condizioni umanitarie disastrose, “la pressione ideologica sulle persone nei territori occupati è enorme. Una volta tagliata la connessione internet con il mondo esterno, sentono solo la propaganda russa che dice loro che nessuno li salverà, che Kiev è stata conquistata e che l’Ucraina è sotto il controllo di Mosca. Le condizioni delle donne nei territori occupati sono terribili. Abbiamo sentito tante storie di stupri. Alcune storie sono analoghe a quelle sentite da Bucha, dove le truppe russe hanno usato lo stupro come arma di guerra e di occupazione. Una storia molto comune è che le donne vengono «invitate» dai soldati russi armati a partecipare a feste e a fare sesso. Anche se le donne possono accettare di farlo, non si tratta certo di una loro scelta, ma di una costrizione da parte di uomini armati”.

E allora, chi sostiene i russi? “Pochissime persone sostengono ciò che la Russia sta facendo, compresi coloro che prima della guerra simpatizzavano per la Russia. Chi può approvare che le bombe distruggano la sua casa e uccidano la sua famiglia e i suoi amici? Chi sosterrà l’occupazione militare? C’è stata molta resistenza nei territori occupati, ma la Russia l’ha repressa brutalmente. […] Ciononostante la gente continua a cercare di resistere. Affiggono manifesti contro l’occupazione. Dipingono con lo spray graffiti sugli edifici contro l’occupazione. C’è una resistenza sotterranea”.


Le contraddizioni economiche interne e Zelensky

Con la guerra il consenso intorno al presidente Vladimir Zelensky è vicino al 100%. Eppure questo non impedisce agli studiosi di mettere in evidenza delle falle notevoli nella gestione della crisi umanitaria susseguente alla guerra. Mentre la Russia ha bombardato e sequestrato molti terreni agricoli, “ gli entusiasti del mercato presenti nel parlamento e nel governo ucraino hanno approvato nuove leggi neoliberiste che peggiorano le loro condizioni [dei contadini, ndr]. Queste norme rendono più facile per le aziende licenziare il personale e approfondiscono la deregolamentazione dell’economia.
Il governo e gli oligarchi hanno usato le difficoltà delle piccole imprese come copertura per approvare questi attacchi […]”

Se la fiducia verso Zelensky rimane piuttosto stabile, “la frustrazione per la corruzione nella distribuzione degli aiuti umanitari è aumentata. La gente è più disposta a criticare le autorità locali per il loro comportamento durante la guerra”.

Permane del resto “insoddisfazione nei confronti del capitalismo oligarchico e delle sue politiche neoliberiste”. 


Resistenza e nazionalismo ucraino

Arriviamo quindi al tema più caro ai detrattori della resistenza ucraina: l’estremismo nazionalista dei combattenti a discapito delle minoranze dell’est. Alona Lasheva prova a spiegarlo: “C’è sicuramente un filone di nazionalismo conservatore. Questo porta le persone a chiedere che tutti parlino ucraino e smettano di parlare in russo. Ma questo è impossibile da applicare; un’enorme percentuale di ucraini parla russo e questo fatto non ha nulla a che fare con le loro idee politiche. Inoltre non credo che le persone si lasceranno ingannare da questi inviti a limitare la lingua russa. Ricordiamo che i russofoni sono stati in prima linea nella resistenza all’invasione di Putin nell’est del paese. Questo fatto da solo distrugge la pretesa di Putin di liberare i russofoni dall’oppressione. È lui che li sta uccidendo e opprimendo”. Secondo Lasheva, questo nazionalismo – che c’è e va tenuto d’occhio – si scontra con il rifiuto popolare: "Ad esempio a Lviv, dove vivo, la gente ha affisso cartelli che dicono: «Per favore, parlate ucraino». Ma la gente arriva e parla russo e nessuno se ne preoccupa. 

Pilash spiega che il nazionalismo è solo uno dei contesti ideologici presenti in Ucraina. Esiste una moltitudine di persone unite nel dolore e nella resistenza attiva: “Questo contesto immagina l’Ucraina come una nazione ucraina multietnica che comprende gli ucraini di lingua russa, le cui città hanno sofferto di più a causa della guerra, e altre comunità come i tartari di Crimea, gli ebrei, i greci pontici e i rom. In un certo senso questa resistenza comune ha dato forza a queste comunità, soprattutto ai Rom, che storicamente hanno subito alcune delle peggiori discriminazioni ed espropriazioni”.


Resa, cessate il fuoco o resistenza?

Un passaggio fondamentale dell’intervista riguarda gli appelli al cessate il fuoco e ai negoziati. Lasheva li descrive “strani” perché “ci abbiamo provato per otto anni” senza successo dal momento che “Putin è determinato a conquistare l’Ucraina e a subordinarla alla sua visione di un nuovo impero russo”.

Come dovrebbero comportarsi gli ucraini? “Per gli ucraini è molto difficile immaginare di sedersi e sottoscrivere un accordo per tracciare una linea da qualche parte nel nostro paese che separi il nostro popolo. Vostra madre sarà dall’altra parte di quella linea? E i vostri parenti? Chi ha il diritto di tracciare una fottuta linea del genere? Questa linea dividerebbe il territorio occupato dai russi, che sarà governato in modo brutale, e il resto dell’Ucraina, che con tutti i suoi problemi ha almeno una sorta di democrazia e diritti democratici di organizzarsi e lottare per condizioni migliori.

Del resto, spiega Denys Pilash, “un cessate il fuoco è molto improbabile. L’Ucraina ha cercato di condurre negoziati adeguati con la Russia fin dall’inizio della guerra e la Russia non li ha presi sul serio. Ha inviato una delegazione a scopo di pubbliche relazioni. I loro rappresentanti erano funzionari di basso profilo o in pensione che non avevano lo status diplomatico per accettare alcunché”. E anche nei casi in cui ha stipulato accordi per i corridoi umanitari, “la Russia li ha violati e ha ripetutamente attaccato i rifugiati nei corridoi”.

C’è unanimità, tra Lasheva e Pilash, nel rifiutare le analisi cosiddette realiste dell’élite occidentale: “Vogliono costringerci a barattare la terra con la pace. Il problema non è la terra. È il popolo. Se accettiamo una qualsiasi spartizione del paese, lasceremo la nostra gente, i nostri amici e parenti, sotto il regime autoritario russo e la sua occupazione militare ancora più illegale.

Un accordo di questo tipo creerebbe anche una brutale zona grigia tra l’Ucraina e l’Ucraina occupata dalla Russia, una zona militarizzata con combattimenti costanti come abbiamo visto nel Donbass dal 2014. E l’accordo non durerà: la Russia userebbe il territorio conquistato per lanciare un’altra guerra per conquistare il resto dell’Ucraina”.

I due studiosi definiscono la Russia “una sorta di imperialismo di fine Ottocento” e criticano i politici occidentali, come Macron e Scholz, che chiedono di non umiliare Putin. “Questi politici sostengono ancora di essere amici dell’Ucraina ma in realtà sono più preoccupati di stabilire un modus vivendi con la Russia che difendere gli interessi dell’Ucraina”.


La risposta solidale all’occupazione e il ruolo della società civile occidentale

Nel racconto mediatico europeo della guerra c’è poco spazio per la solidarietà ucraina. Pilash prova ad analizzarla: “Milioni di persone sono impegnate nella solidarietà contro l’invasione. Le lavoratrici e i lavoratori dei servizi essenziali hanno tenuto aperti ospedali e scuole, hanno consegnato aiuti umanitari, si sono presi cura dei malati e hanno salvato la vita delle persone. Insieme, abbiamo mantenuto la società e l’economia in funzione e abbiamo fornito aiuto a chi era in prima linea”.

Questo impegno, probabilmente circoscritto ad alcuni movimenti politici, cerca di andare oltre alla crisi contemporanea con la Russia per far emergere le contraddizioni del potere nella gestione delle politiche di solidarietà e d’accoglienza, in Ucraina come in Europa: “Siamo anche impegnati nella difesa dei diritti dei rifugiati e dei migranti, indipendentemente dalla loro cittadinanza o razza. Mentre i paesi europei hanno accolto milioni di rifugiati ucraini, hanno discriminato i migranti mediorientali e nordafricani. […] Malgrado queste evidenti carenze dobbiamo usare l’ammissione delle ucraine ed ucraini da parte dei paesi europei come precedente per nuove politiche che accolgano i migranti e i rifugiati, forniscano loro i servizi di cui hanno bisogno e li trattino umanamente”.

A livello politico, non hanno dubbi: le sanzioni alla Russia sono necessarie e, anzi, sono portate avanti in maniera troppo timida. “La cosa più efficace da fare sarebbe tagliare tutte le esportazioni russe, soprattutto verso le industrie tedesche. Ma le élite tedesche si rifiutano di farlo, sottolineando in questo modo la collusione internazionale tra tutte le classi dirigenti nel sistema del capitalismo dei combustibili fossili”.

L’articolo termina con un appello alla sinistra internazionale, che secondo i due ricercatori e attivisti ha fatto ben poco per capire le necessità della popolazione ucraina: “Per quanto riguarda il grande dibattito a sinistra sulla guerra e sull’imperialismo, penso che la sinistra internazionale debba iniziare ad ascoltare le persone reali dell’Ucraina, quelle del cui destino state discutendo. Non si possono prendere posizioni sul futuro di milioni di persone senza nemmeno cercare di capirle”, spiega Pilash.

“Se vi prendete il tempo per farlo, eviterete di rimanere intrappolati in un quadro realista che vede il mondo come una grande scacchiera in cui le grandi potenze fanno mosse l’una contro l’altra. Accettare questo quadro emargina i popoli oppressi e nega loro diritti, interessi e capacità”.

8 luglio 2022

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