Riconosciuto come genocidio con una serie di risoluzioni dai parlamenti di Svezia, Norvegia, Regno Unito e Corea del Sud, l’Anfal – così chiamato dai suoi perpetratori richiamandosi a una sura coranica – rappresenta una pagina di violenza indelebile della storia curda.
Teatro di questa tragedia fu il Kurdistan iracheno del dittatore Saddam Hussein, che perseguitò questa minoranza con ferocia e sistematicità in più occasioni. Durante e in seguito al conflitto fra Iran e Iraq, il regime di Baghdad decise di far pagare ai curdi la loro presunta mancanza di fedeltà in questa lunga guerra, iniziata nel 1980 e conclusa nel 1988.
E proprio fra il 1988 e l’89, il regime di Saddam distrusse interi villaggi, facendo strage di civili e operando deportazioni di massa. Le stime delle vittime dell’Anfal superano a volte i 150.000 morti.
L’episodio più noto di questa campagna di sterminio è il massacro di Halabja, avvenuto il 16 marzo del 1988.
Nella città del Kurdistan iracheno furono usate armi chimiche contro la popolazione civile provocando la morte di migliaia di persone. Secondo un’indagine medica delle Nazione Unite, fu utilizzata l’iprite, con danni sanitari e ambientali che segneranno questo luogo e le vite dei suoi abitanti per lungo tempo.
Simone Zoppelllaro, giornalista