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Marina Ovsyannikova e quei russi che non vogliono più tacere

la storia dietro la protesta in diretta

Possono bastare tre secondi in diretta televisiva per far cambiare idea sulla guerra a milioni di cittadini? Non lo sappiamo, e probabilmente non lo sapeva nemmeno Marina Ovsyannikova, nata nel 1978 a Odessa e per vent’anni producer del Pervyj Kanal – il primo canale della televisione pubblica -, quando lo scorso lunedì sera è apparsa con un cartello contro la guerra dietro la presentatrice Ekaterina Andreeva, decana del giornalismo russo.

Insospettabile professionista, Marina aveva pianificato con cura il suo delitto perfetto: nel corso del suo giorno libero aveva comprato pennarelli e carta e scritto sui cartelloni. Quindi, arrivato il suo turno, si era recata regolarmente al lavoro. Qui si era presa del tempo per studiare le inquadrature delle telecamere, così da capire come sorprendere il regista e come posizionare il cartello per renderlo più leggibile. Infine era entrata in scena, senza sapere cosa avrebbero pensato di lei milioni di telespettatori inconsapevoli. Quello non poteva pianificarlo.

La costa certa è che Marina non ha cambiato solo la sua vita con quel “No War. Fermate la guerra! Non credete alla propaganda! Vi stanno mentendo! Russi contro la guerra” che si leggeva nel cartello – scritto in parte in russo e in parte in inglese: da lunedì stiamo assistendo a un flusso costante di giornalisti che abbandonano i canali informativi statali.


"Mi vergogno"

In quei tre secondi Ovsyannikova ha ripetuto più volte “Fermate la guerra! No alla guerra!", poi la regia ha inquadrato la conduttrice Andreeva, che incurante ha continuato la lettura delle notizie. Lo stesso giorno è stata arrestata e successivamente multata di 30 mila rubli per un video che aveva postato su Instagram prima della diretta televisiva, dove articolava più approfonditamente il suo pensiero: “Purtroppo, per un certo numero di anni, ho lavorato su Pervyj Kanal alla propaganda del Cremlino, me ne vergogno molto in questo momento. Mi vergogno per aver permesso la diffusione di bugie dallo schermo televisivo. Mi vergogno per aver permesso la zombificazione del popolo russo. Siamo rimasti in silenzio nel 2014, quando questa situazione era solo all'inizio. Non siamo andati a protestare quando il Cremlino ha avvelenato Navalny”.

E ancora: “Ci limitiamo a osservare in silenzio questo regime disumano. E ora il mondo intero si è allontanato da noi e per le prossime dieci generazioni non saremo in grado di ripulirci dalla vergogna di questa guerra fratricida”.

In pochissimo tempo il suo post, fatto circolare dall’organizzazione di attivisti per i diritti umani OVD-Info, ha fatto il giro del web. In tutto il mondo è diventata un’eroina. Ma chi è Marina Ovsyannikova?


Un talento russo-ucraino a disposizione della propaganda

Sappiamo che Marina Ovsyannikova è nata nel 1978 a Odessa e si è trasferita in Russia a otto anni. Il suo cognome da nubile è Tkachuk. Suo padre, morto a Mosca, era di etnia ucraina mentre sua madre è russa. Dice di non aver mantenuto molti rapporti con la parte ucraina della sua famiglia.

Abile nuotatrice, Ovsyannikova ha attraversato a bracciate il fiume Volga e lo stretto del Bosforo. Nel 1997 si è iscritta alla facoltà di giornalismo dell’università statale del Kuban e ben presto ha iniziato a lavorare per una radio pubblica. Di quel periodo racconta che era “giovane, ambiziosa, pronta a lavorare giorno e notte, semplicemente vivere e respirare il lavoro”.

Raccomandata dal potente giornalista Vladimir Runov, che ha gestito la tv di Kuban dal 1993 al 2002, è entrata nello staff dell’esclusivissimo “Primo canale” nei primi anni 2000, anche grazie a suo marito Igor, che ha sfruttato il fatto che sua madre lavorasse già lì. Vent’anni di onorato lavoro nell’anima dell’informazione moscovita, al servizio di decine di milioni di russofoni sparsi tra Riga e lo stretto di Bering. Per loro Vremya, il telegiornale in cui ha protestato, è l’appuntamento fisso della sera sin dai tempi della Guerra Fredda.

Il resto è storia di questi giorni. Dopo che Ovsyannikova ha fatto irruzione nel telegiornale, nessuno le ha impedito di lasciare lo studio, ha detto una fonte al giornale indipendente Meduza. Le guardie sono entrate in azione solo quando ha cercato di uscire dall'edificio. Da allora non si è saputo niente sulla custodia, fino a quando è riemersa pubblicamente la sera successiva, in tribunale.

L'adesione di Marina alla propaganda di stato emergeva, oltre che per l'aver lavorato dietro le quinte del tg di punta, scorrendo i post patriottici pubblicati su Instagram prima della trasmissione di lunedì sera. Qui Marina giustificava l’invasione come “un’operazione speciale per concludere la guerra iniziata dall’Ucraina nel 2014”.


Tra verità e complottismi

Quei post sono scomparsi, ora c’è un nuovo profilo nel quale pubblica le varie interviste rilasciate ai media internazionali (Cnn, Bbc, Der Spiegel) dopo l’exploit televisivo.

Del suo passato da sostenitrice del governo, Marina ha spiegato alla rivista tedesca Der Spiegel che non è mai stata molto attiva politicamente, poi qualcosa si è rotto: “Non andavo alle proteste, ma l'insoddisfazione per lo stato delle cose si è accumulata negli anni: le viti gradualmente si stringevano sempre di più. Prima non ci hanno fatto eleggere i governatori, poi c’è stato il 2014, quindi l'avvelenamento di Navalny e le repressioni contro i media indipendenti. Ma tutto è stato sconvolto dalla guerra, che nessuno si aspettava. Pensavamo che Russia, Nato e Stati Uniti stessero solo bluffando, che i diplomatici avrebbero sistemato tutto. Ma quello che è accaduto il 24 febbraio è stato un vero shock”.

Eppure i vecchi post nazionalisti sono bastati ad alimentare una teoria del complotto già presente in maniera compatta tra molti commentatori ucraini. “Non fidatevi del volto dolce dell’imperialismo russo” e “È solo un diversivo di Putin” sono alcuni dei messaggi più volte condivisi dagli attivisti della diaspora ucraina.

Nonostante l’ipotesi della performance preconfezionata appaia bizzarra, il complottismo va interpretato alla luce delle menzogne e dei sospetti a mezzo stampa con i quali i cittadini della Russia e delle ex repubbliche sovietiche sono costretti a convivere da decenni. Del resto questi sospetti fanno comodo allo stesso Cremlino, per cui è importante che non si creda al fatto che una donna solitaria possa andare contro l’apparato, che possa staccarsi dal sistema e sfidarlo.

A Meduza un collega di Marina Ovsyannikova ha detto che le persone che credono all'ipotesi della messinscena "non sono mai state allo studio dell'Ostankino Television Center", un ex studio da concerto, dove i redattori lavorano vicino al set senza protezioni. “Non era mai successo niente di simile prima e la guardia semplicemente non era pronta ad affrontare qualcosa del genere”.

Anche Marina ha commentato queste voci: “Ho letto che la mia azione sia stata falsa, un montaggio, ma eccomi qui: una persona reale. Molti colleghi possono confermare che questa azione è effettivamente avvenuta”.


Le conseguenze del chiamare guerra la guerra

La giornalista ci tiene a ribadire che è stata una idea presa in solitudine. Al Pervyj Kanal si lavora su turni, prima di lunedì sera ha usato il suo tempo libero per comprare carta e pennarelli, preparare nella cucina di casa il cartello e pre-registrare il video. Lunedì, come al solito, è andata al lavoro, ha studiato la posizione delle telecamere e ha scelto un posto dove potersi piazzare per emergere.

“La paura più grande era che nessuno mi avrebbe visto in televisione, che tutto sarebbe stato vano. Ho fatto irruzione in studio oltrepassando il poliziotto, che non ha avuto il tempo di reagire”. Poi ha mostrato il cartello, è tornata al suo posto e ha aspettato. “Eri davvero tu?”, le hanno chiesto increduli i caporedattori. Poi è arrivata la polizia, che “gentilmente” l’ha accompagnata nella stazione per interrogarla.

Sempre a Der Spiegel, Marina ha spiegato di iniziare a rendersi conto solo ora che la sua vita è cambiata per sempre. Prende sedativi per allentare la tensione ed è preoccupata per i suoi figli di 17 e 11 anni che sono a Mosca ma non con lei. Il figlio maggiore la rimprovera per avergli rovinato la vita e nemmeno dal resto della sua famiglia ha ricevuto sostegno. Dice di aver rifiutato l’offerta di asilo in Francia proposta da Macron perché si sente una patriota.

Ci tiene a ribadire di non pentirsi per “aver chiamato guerra una guerra, ho già superato il limite oltre il quale non si può tornare indietro”. La lenta attesa del procedimento penale la fa star male. Sa quello che rischia.

Ad ogni modo, da lunedì sta emergendo che la consapevolezza di decine di operatori statali dell’informazione, che non parlano in maniera eclatante come Marina (almeno non ancora), ma che conoscono profondamente la verità oltre la propaganda. “In Occidente molti non capiscono che anche i russi sono contrari a questa guerra”, ha detto Marina. “Sul Pervyj Kanal ho lavorato nei notiziari internazionali, sono stato in contatto con agenzie internazionali, ho letto i loro lanci, registrato interviste a politici ed esperti, prodotto storie”.

Marina sapeva che “ogni Paese difende i propri interessi e siamo in una guerra dell'informazione. A poco a poco, però, il lavoro si è trasformato in un pesante fardello. La maggior parte dei dipendenti dei canali statali è ben consapevole di ciò che sta accadendo, non sono affatto propagandisti convinti. Al loro interno c'è una lotta costante tra lavoro e orientamento morale. Hanno bisogno di nutrire in qualche modo le loro famiglie e non c'è altro lavoro da trovare, in questi giorni. Ma sono felice di leggere che molti ora se ne stanno andando”.

Sul Guardian il giornalista Denis Kataev ha ben raccontato il malessere in atto tra i giornalisti statali: “Ho sentito che almeno due importanti corrispondenti, uno dal Pervyj Kanal e uno da NTV – Zhanna Agalakova e Vadim Glusker – che hanno consegnato le loro dimissioni. Una fonte che conosco alla VGTRK, la holding statale dei media, ha affermato che molti altri stanno valutando la possibilità di dimettersi e l'umore tra i dipendenti è pessimo. Hanno detto: ‘Se non avessimo i nostri mutui, lasceremmo anche noi’”.

Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo

18 marzo 2022

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