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Neutralità filorussa: l'atteggiamento particolare della Cina sulla guerra

di Lorenzo Lamperti

Neutralità filorussa. È forse questa la definizione più precisa della posizione mantenuta dalla Cina sulla guerra in Ucraina. A un anno di distanza dall'invasione ordinata da Vladimir Putin, molto è cambiato nel mondo. Meno sulla posizione di Pechino, che ha comunque compiuto dei passi non trascurabili che ne hanno aggiornato le sfumature o quantomeno le esigenze comunicative. Da una parte il sostegno politico e retorico nei confronti della Russia, utile per la narrativa cinese sulle dinamiche dell'Asia-Pacifico e ribadire una visione di mondo che rifiuta quello che definisce l'egemonismo statunitense. Dall'altra la recente disponibilità a svolgere un ruolo più attivo. Non tanto mediando in prima persona, ma indicando la strada della soluzione politica con un position paper che non può essere definito piano di pace, non fosse altro perché sinora la Cina non ha mai utilizzato ufficialmente il termine "guerra" per definire il conflitto, preferendo il termine "crisi". Una neutralità scomposta, propugnata nel confronto tra Mosca e Kiev, ma non nella lettura delle cause su cui la visione cinese si allinea a quella russa, identificando in Stati Uniti e Nato i veri responsabili del conflitto. Ma anche tra Russia e Ucraina la bilancia non è certo equilibrata. Xi Jinping ha parlato diverse volte con Putin nel corso dell'ultimo anno, sia virtualmente sia fisicamente, in occasione del summit dell'Organizzazione della cooperazione di Shanghai a Samarcanda dello scorso settembre. E si prepara alla visita a Mosca, che dovrebbe avvenire in primavera. Nessun contatto ufficiale invece con Volodymyr Zelensky, nonostante l'auspicio espresso a più riprese dal presidente ucraino. Senza contare i numerosi viaggi incrociati di diplomatici cinesi e russi tra le capitali dei rispettivi paesi. Da ultima quella di Wang Yi, l'ex ministro degli Esteri da poco promosso direttore dell'Ufficio della Commissione centrale per gli Affari esteri del Partito comunista. In pratica, il capo della diplomazia cinese.

La formula della cosiddetta "amicizia senza limiti", elevata a etichetta dei rapporti bilaterali dopo l'incontro tra Putin e Xi alla cerimonia dei Giochi Olimpici Invernali di Pechino 2022, non è più stata reiterata. Un'etichetta divenuta scomoda per la Cina subito dopo l'invasione. Ma Wang ha confermato di fronte a Putin e al ministro degli Esteri Sergej Lavrov il "solido slancio" alle relazioni, che "ha resistito alle pressioni". Il messaggio è lo stesso di quello lanciato da Xi nella telefonata con Putin dello scorso fine dicembre: il legame non sarà intaccato dalle contingenze. Nemmeno dalla guerra, di cui la colpa maggiore è la "mentalità da guerra fredda" e la voglia di "egemonia" di Washington. Non a caso, la relazione Cina-Russia viene descritta da Wang come "utile a combattere ogni forma di bullismo unilaterale".

A un anno di distanza, la Cina si fa comunque meno problemi a dire che quanto accade in Ucraina è "qualcosa che non vuole vedere". E la novità principale emersa dal viaggio di Wang e dal position paper è proprio questa: Pechino è meno timida nel parlare della guerra, pur non avendo cambiato la sua prospettiva. Il primo punto del documento è sempre il solito: rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale. Un concetto ribadito più volte dall'inizio della guerra e che Pechino non può abbandonare per non andare in cortocircuito su Taiwan, vicenda che il governo cinese ha ammonito più volte di non collegare a quella ucraina ma che in realtà condiziona molto la sua postura sulle vicende internazionali. Ma nella contingenza ucraina questo punto non può essere separato dal secondo, in cui si chiede il rispetto delle "legittime preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi". In questo caso ci si riferisce alla Russia, cosa resa ancora più chiara dalla menzione nello stesso paragrafo della "mentalità da guerra fredda" che continuerebbe a essere utilizzata dagli Stati Uniti. Nella visione cinese, dunque, Mosca sarebbe stata in qualche modo "costretta" a violare l'integrità territoriale ucraina visto che le sue esigenze di sicurezza sono state ignorate da Washington e dalla Nato.

Se il rifiuto delle sanzioni economiche ha caratterizzato tutte le uscite cinesi sul conflitto, il ripudio dell'utilizzo di armi nucleari o la sua minaccia è stato accentuato col passare del tempo e l'aumentare dei rischi. Nel documento presentato nei giorni scorsi, la Cina chiede anche la messa in sicurezza delle centrali nucleari che sono state coinvolte sul campo di battaglia a più riprese dalle azioni russe. È proprio su questo punto che le posizioni espresse da Xi Jinping al summit del G20 di Bali dello scorso novembre avevano acceso la fiducia dell'occidente, soprattutto dell'Europa, di una presa di distanza cinese da Mosca.

Per ora non è avvenuto ed è molto difficile che possa mai avvenire. Xi sa che anche scaricando Mosca non cancellerebbe le tensioni con gli Usa e l'occidente. Anzi, in due riprese i tentativi reciproci di distensione con gli Usa sono falliti. Prima con la visita di Nancy Pelosi a Taiwan e le imponenti esercitazioni militari cinesi sullo Stretto che ne sono seguite. Poi con la vicenda del presunto pallone-spia. A Pechino, convinta che in realtà gli Usa non vogliano il dialogo nonostante i desideri di Joe Biden, fa comodo avere stretta a sé una Russia sempre più dipendente. Questo porta vantaggi commerciali e strategici notevoli alla Cina, che può importare petrolio e gas a prezzi scontati, diffondere l'utilizzo della sua moneta sul piano internazionale e proiettarsi da padrone di casa in Asia centrale e in futuro magari anche sull'Artico. Senza contare la riproposizione della narrativa russa di Usa e Nato che "gettano benzina sul fuoco" sul teatro del Pacifico. Come a dire che se in futuro la Cina dovesse agire militarmente sullo Stretto di Taiwan o nel mar Cinese meridionale sarebbe costretta a farlo per proteggere la sua sicurezza nazionale di fronte alla minaccia delle manovre americane, guidate da una "logica di contrapposizione".

Da qui viene giustificato anche il crescente coordinamento militare con Mosca, testimoniato da una serie di esercitazioni congiunte terrestri, navali e aeree. Spesso compiute nei pressi dei partner regionali degli Usa, in primis il Giappone, il paese asiatico più convinto nel condannare la Russia e rafforzare l'architettura di difesa per timore che l'Asia orientale possa diventare in futuro il secondo fronte. Il coordinamento sinorusso è anche commerciale, con l'obiettivo del raggiungimento dei 200 miliardi di interscambio e il prossimo raddoppio del gasdotto Power of Siberia. Eppure, Mosca sembra volere di più da un partner che si immagina alleato. Nelle comunicazioni bilaterali è la Russia a essere sempre più esplicita nel magnificare (e talvolta forse esagerare) la profondità dei rapporti. Un tentativo di tirare Pechino fuori dalla zona grigia, da cui ha sì garantito sostegno politico ed economico, ma senza aggirare esplicitamente le sanzioni occidentali né fornire aiuto strategico. Le astensioni alle risoluzioni di condanna alle Nazioni Unite (che accomunano peraltro Cina e India) sono il minimo sindacale anche per la non assimilabilità della prospettiva cinese con tutte le azioni "unilaterali" che non favoriscano una "soluzione politica". L'aumento delle importazioni di gas e petrolio serve a Putin, ma nel lungo termine potrebbero non bastare. Ecco allora che si inizia a parlare di rifornimento di "armi letali": per ora timori e supposizioni, espressi in maniera probabilmente non casuale dagli Usa, interessati a evitare che la Cina possa approfittare della stanchezza europea sulla guerra per ascendere al ruolo di promotore di pace. Tentativo compiuto a più riprese e con maggiore decisione durante l'ultimo tour di Wang, con l'obiettivo di convincere i paesi europei ad assumere maggiore autonomia nella loro politica estera. Accusando più o meno implicitamente gli Usa di portare instabilità sotto il profilo della sicurezza, favorendo la prosecuzione del conflitto continuando a rifornire l'Ucraina di armi, e anche sotto il profilo economico, con sanzioni e restrizioni alle esportazioni nel settore tecnologico. Da qui, nel position paper, i punti sull'export di grano e sulla stabilizzazione delle catene di approvvigionamento. La Cina prova a proporsi come garante di stabilità economica e strategica. Complesso convincere l'occidente, a causa delle ambiguità della posizione cinese e la non distinzione tra aggressori e aggrediti, ma si tratta di una narrazione che ha una qualche presa sul Sud globale di cui la Cina vorrebbe ergersi a capofila.

Probabilmente Pechino vorrebbe davvero una soluzione prossima alla crisi. Questo perché la Cina vuole evitare la caduta di Putin e la sconfitta totale della Russia, che aprirebbero forti incognite. Soprattutto, spera che una cessazione delle ostilità possa evitarle di perdere l'Europa a causa della sua impossibilità nello scaricare Mosca. Più passa il tempo e più i rischi di cortocircuito aumentano. Con lo spettro di una divisione in blocchi che la Cina vorrebbe scongiurare. Soprattutto se dovesse compiersi prima del tempo, quanto Washington può contare ancora su più amici di lei. Con o senza limiti.

Lorenzo Lamperti, direttore editoriale China Files

27 febbraio 2023

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