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Perché Erdogan ha così tanta paura di Osman Kavala?

le ragioni profonde dell'ergastolo inflitto al filantropo anti-governativo

Il 18 ottobre del 2017, Osman Kavala è stato preso in detenzione provvisoria all’aeroporto di Istanbul, mentre tornava dalla città di Antep in Turchia. Pochi giorni dopo, il primo di novembre, è stato confermato il suo arresto con l’accusa di “tentare di cambiare l’ordine costituzionale e rovesciare il governo”. Da quel momento fino ad oggi il nome di Kavala occupa le pagine dei giornali, gli schermi dei televisori e la quotidianità delle persone in Turchia. Kavala oggi si trova in carcere e lo scorso aprile è stato condannato all'ergastolo. Il suo è diventato un caso internazionale e ci sono diverse iniziative in atto in favore della sua scarcerazione.

Ma chi è Osman Kavala?

Nasce nel 1957 a Parigi. Frequenta la scuola superiore americana Robert a Istanbul, dopodiché si laurea in economia presso il Politecnico del Medio Oriente, ODTU, di Ankara. Conclude i suoi studi presso l’Università di Manchester con un master, sempre in economia. Figlio di una famiglia ricca, Osman Kavala torna nel 1982 in Turchia dopo la morte di suo padre. Un anno dopo, nel 1983 fonda la casa editrice Iletisim e nel 1985 partecipa alla fondazione di altre due: Ana e Aras. Queste sono le prime piccole dimostrazioni del fatto che Kavala sposasse l’idea di svolgere attività commerciali nel mondo della cultura. La Iletisim, con il passare del tempo, è diventata un punto di riferimento per numerosi giornalisti, saggisti, romanzieri, professori universitari di sinistra.

Negli anni successivi Kavala acquisisce più visibilità data la sua partecipazione a numerose iniziative pubbliche e progetti nazionali e europei per salvaguardare l’ambiente e i diritti civili in Turchia. Negli anni '90 collabora con Amnesty International, il Goethe-Institut, il Consolato di Svezia e il Centro Culturale Francese. Kavala è anche uno dei fondatori della sezione turca di Open Society, la famosa fondazione, molto discussa e mediatica, creata da George Soros.

Il nome di Osman Kavala, durante la sua detenzione, è stato pronunciato in due casi particolari. Sedat Peker, uno degli esponenti più importanti del movimento panturchista nel mondo delle organizzazioni criminali, ha affermato di aver avuto con lui una relazione che avrebbe implicato scambio di favori, quando gestiva una piccola azienda di software. Nel 2021 Peker, in un video pubblicato su YouTube, ha raccontato come Kavala si fosse rivolto a lui per risolvere alcuni suoi problemi legati ai debitori. Ne parlò anche l’impreditore Turgut Büyükdağ in un processo del 2008 e Alican Uludağ, ex dirigente dei servizi segreti, in un’intervista rilasciata all’agenzia tedesca DW. Questa notizia ha ovviamente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, dato che si tratterebbe di un accordo tra un imprenditore di “sinistra” e un personaggio della mafia.

Un altro caso particolare che riguarda Kavala invece è legato alla fase del dialogo avvenuto dal 2013 al 2015 tra lo stato e Abdullah Ocalan, il leader storico dell’organizzazione armata PKK. In una serie di articoli pubblicati presso il quotidiano nazionale Milliyet, firmati dal giornalista Namik Durukan, si è parlato dei messaggi di solidarietà e sostegno che Kavala mandava a Ocalan tramite l’ex parlamentare Sirri Sureyya Onder. Tenendo in considerazione che Ocalan è condannato all’ergastolo e da più di venti anni si trova in isolamento, e che sopratutto è definito come il “terrorista numero uno” in Turchia dalla maggior parte della gente, questa notizia non è stata accolta bene dalla società.

Di cos’è accusato Kavala?

Per la Turchia si tratta di uno dei molti casi di processi straordinari, che non possono essere valutati basandosi sulle leggi, e non possono rientrare nel concetto di “giustizia”. Il caso di Kavala non è l’unico: ci sono numerosi processi analoghi legati al mancato riconoscimento dei diritti fondamentali e della giustizia. Questi processi sono diventati pratiche quotidiane contrarie alle norme giuridiche universali, alle leggi vigenti e alle procedure giudiziarie stabilite.

La storia della detenzione di Osman Kavala ha un posto molto speciale nel recente tumulto giudiziario e nelle flagranti violazioni dei diritti. È un evento molto speciale in cui si concretizza la politicizzazione della magistratura e la sua trasformazione in strumento di vendetta.

È un esempio dello sforzo di creare un reato contro una persona, un esempio di quando opinioni e ipotesi sono ritenute sufficienti per un'accusa, mentre non è nemmeno necessario fornire prove. È un esempio di disprezzo per diritti, norme giuridiche, e anche semplici regole logiche.

Osman Kavala è stato imprigionato per mesi senza sapere di cosa fosse accusato. Esattamente come successe al giornalista Deniz Yucel durante l’anno di isolamento. Poi, gli atti d'accusa si sono trasformati in documenti per sostenere la detenzione di Kavala senza interruzioni. Mentre le accuse infondate, per le quali non è stata presentata alcuna prova concreta, crollavano una per una, la magistratura produceva nuove accuse assurde.

Kavala è stato accusato ai sensi dell'articolo 312 del codice penale turco e assolto, l’accusa era “essere il finanziatore e responsabile delle proteste Gezi". Tuttavia, negli atti ufficiali dello Stato si affermava che queste proteste non sarebbero potute essere "gestite da un unico centro". In ogni caso per Kavala questo parere non è stato ritenuto valido. L'altra accusa, ossia quella di "organizzazione di colpo di stato" basata sull'articolo 309, è fallita e il collegio dei giudici ha deciso di scarcerare Kavala per due volte, senza successo. Quando non era rimasta nessuna carta in mano per accusarlo, è stata avanzata l’accusa di “spionaggio” ai sensi dell'articolo 328.

Il risultato immutabile dei processi, che continuano senza mostrare alcuna prova concreta inerente a quasi tutti gli articoli del codice penale turco, è che Kavala sia stato privato per anni dalla sua libertà e della vicinanza dei suoi cari. L'illegalità persistente e tutta la coercizione irrazionale sono state inserite nel maxi processo di Gezi, che è stato riaperto e trasformato in una moltitudine di processi.

Dunque Osman Kavala, insieme a Mücella Yapıcı, Çiğdem Mater, Hakan Altınay, Mine Özerden, Can Atalay, Tayfun Kahraman e Yiğit Ali Ekmekçi è stato condannato il 25 aprile. Mentre queste sette persone ricevevano 18 anni di reclusione Kavala veniva condannato all’ergastolo a condizioni aggravate. Durante il verdetto finale, in aula si è sentito lo storico slogan della rivolta di Gezi: “Ogni luogo è Taksim, ogni luogo è di resistenza”. Osman Kavala, invece, in collegamento video, si esprimeva così in merito alla decisione, in quel momento in aula: “Questo è un attentato politico in cui viene strumentalizzato il sistema giuridico”.

Propaganda mediatica e politica

In Turchia, i media che assecondano la posizione del governo centrale vengono definiti come “media di parte” oppure “media della fognatura”. La maggior parte di questi appartengono a una serie di imprenditori che lavorano da una vita principalmente nel mondo dell’edilizia, delle infrastrutture e dell'energia. I proprietari sono innamorati del disegno politico e economico che strozza la Turchia da 20 anni. Sono diventati ricchi, oppure sono proprio nati, in questi ultimi anni. Hanno comprato una serie di canali tv, radio o giornali in asta perché lo Stato li ha sequestrati agli ex proprietari. Sopratutto i giornali di questa tradizione vivono grazie al fatto che un certo numero di banche statali sono obbligate, letteralmente, a investire su di essi per pubblicizzare i loro servizi. Dunque, questi mezzi di comunicazione sono al totale servizio di Ankara e non fanno altro che propaganda. Anche nel caso di Kavala.

Takvim: “Il suo obiettivo era rovesciare il governo e creare un’ondata di vandalismo con Gezi”. Sabah: “Il mentore di Gezi è Kavala”. AHaber: “Ecco le accuse rivolte ai figli di Soros”. Yeni Safak: “Kavala è l’uomo chiave dei finanziamenti per i terroristi”. Questi sono soltanto alcuni titoli di alcuni grandi giornali nazionali e canali televisivi. È facile immaginare come abbiano parlato del processo di Kavala i media locali, più aggressivi, fondamentalisti e nazionalisti.

Sono titoli e lanci che assecondano al cento per cento le dichiarazioni del governo. Quasi esattamente con le stesse parole il Presidente della Repubblica, i vari parlamentari della coalizione del governo e i Ministri della Repubblica di Turchia si sono pronunciati sul caso di Kavala e sul maxi processo di Gezi in questi ultimi anni.

Sostegno internazionale

In Turchia, in merito al processo di Kavala, numerose fondazioni, università, associazioni, partiti d’opposizione, sindacati e intellettuali si sono pronunciati in modo solidale. Oltre a questa reazione locale, ci sono stati diversi gesti di solidarietà anche all’estero.

Nel mese di dicembre del 2019, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha chiesto a Ankara l’immediata scarcerazione di Kavala definendo il suo processo contrario agli articoli 5.1, 5.4 e 18 della Convenzione. Nonostante ciò, pochi giorni dopo, il collegio dei giudici ha deciso di riconfermare la detenzione di Kavala.

Il 3 settembre del 2020, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha chiesto a Ankara di rispettare la decisione della CEDU. Dato che nel mentre dalla Turchia non arrivava nessuna reazione in linea con le raccomandazioni, nel mese di giugno del 2021 lo stesso Comitato ha deciso di intraprendere la strada delle sanzioni contro Ankara.

Infine, nel mese di maggio del 2022, dopo il verdetto del tribunale locale, il Parlamento Europeo ha definito questa decisione come la fine dei rapporti con la Turchia in merito alla sua adesione nell’Unione.

Oltre le realtà istituzionali anche le organizzazioni non governative come International Commission of Jurists (ICJ), Human Rights Watch e Turkey Human Rights Litigation Support Project hanno manifestato in diverse occasioni il loro parere per la scarcerazione di Kavala.

Perché è un detenuto politico?

Oltre i deliri, le messe in scena e i giochi politici di Ankara, la domanda che sorge è questa infatti. Come mai è successa una cosa del genere? Perché proprio Kavala? Numerose persone hanno provato a trovare la risposta a questa domanda in questi anni, sia le persone vicine al governo, sia quelle accanto a Osman Kavala. Non c’è una sola risposta, ma diverse.

Kavala è un ricco imprenditore ed è a favore della libertà d’espressione. È una faccia conosciuta che ha anche potere economico. Non esitava nel sostenere i progetti accademici oppure pratici che si concentravano sulla difesa dei diritti di quelle persone che in questi ultimi venti anni sono state emarginate dalle politiche del governo centrale: le “minoranze” linguistiche, i giornalisti indipendenti, le donne vittime di violenza maschile, le persone lgbtqi e le associazioni non governative. Kavala ha messo a disposizione le sue risorse anche per quei municipi che si sono trovati privati dei loro sindaci durante lo stato d’emergenza dal 2016 al 2018 perché sospesi e arrestati. Al posto loro sono stati nominati dei commissari straordinari e questi hanno deciso di chiudere le case di rifugio, le associazioni delle donne e i luoghi di cultura delle città. Kavala con i suoi soldi ha provato a rianimare tutto questo.

Kavala ha una rete internazionale, è il simbolo della società civile della Turchia che cerca di uscire fuori dai confini nazionali e collaborare con le società civili di altri paesi. Mentre invece il regime al potere in Turchia cerca sempre di chiudere i confini, creare un carcere a cielo aperto e governare il paese con le politiche di paranoia legata alla sicurezza nazionale, che vive grazie alla ricerca di capro espiatorio all’estero. Quindi tutto ciò che viene dall’estero, se non è promosso dal governo, rappresenta pericolo e minaccia.

Infine, la rivolta di Gezi è una ferita del governo che non è assolutamente riuscita a guarire quindi era necessario riportare all’attenzione questa esperienza. È stata una rivolta popolare senza precedenti, milioni di persone sono scese in piazza nel 2013 in diverse parti della Turchia per ribellarsi a tutti i mali che questo governo rappresenta: censura, fondamentalismo, discriminazione, ingiustizia, saccheggio, razzismo e sessimo. Un’azione collettiva che ha messo in discussione tutto e ha detto “il re è nudo” davanti agli occhi di tutto il mondo. Una rivolta di autogoverno che ha dimostrato che la società civile non ha bisogno di questo disegno politico e economico mafioso. Le reazioni del governo, durante la rivolta, sono state di un solo tipo: violenza. Si tratta dunque di un enorme fallimento per il governo, in tutti i sensi. In prima linea a ribellarsi al governo c’erano le donne infatti nel maxi processo Gezi, riaperto nel 2017, tre anni dopo la rivolta, in aula c’erano numerose donne e due di queste sono state condannate a 18 anni di galera. Ankara ancora oggi vuole mantenere viva la memoria di Gezi ma non la rivolta del popolo, vuole mantenere la memoria della sua versione. Secondo Ankara si è trattato di una sorta di colpo di stato, un’azione di saccheggio e vandalismo organizzata dai paesi stranieri e con i soldi delle ong straniere. In tutto questo quadro schizofrenico, forse Osman Kavala era il “leader” ideale che “ha ideato, finanziato e guidato la rivolta di Gezi”.

Un governo così impaurito che sa governare soltanto con la paura si sta suicidando, portando tutto il paese in fondo al pozzo. E il processo di Osman Kavala è uno degli strumenti che Ankara usa per salvarsi/suicidarsi.

Murat Cinar, giornalista esperto di Turchia

23 maggio 2022

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