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Taiwan e l'odio asiatico negli Stati Uniti

di Lorenzo Lamperti (China Files), da Taipei

"Taiwan non deve essere indipendente". Il biglietto lasciato nella sua automobile da David Wenwei Chou prima di entrare nella chiesa presbiteriana di Laguna Woods, California, e aprire il fuoco sui fedeli della congregazione taiwanese recitava così. Nota fondamentale: lo stesso David Wenwei Chou è nato a Taiwan. Si tratta di una vicenda dall'alto valore simbolico e che offre importanti spunti di riflessione sulla questione identitaria taiwanese ma anche per il clima che si è venuto a creare nei confronti dei cittadini asiatici negli Stati Uniti.

Partiamo dai fatti, avvenuti domenica 15 maggio. Chou è entrato in chiesa durante un pranzo in onore di un ex pastore e ha chiuso le porte con delle catene. Sulla scena, le autorità hanno detto di aver trovato sacchetti contenenti caricatori di munizioni e quattro dispositivi incendiari simili a molotov. Oltre a due pistole semiautomatiche comprate legalmente a Las Vegas. Una persona è morta e altre cinque sono rimaste ferite. La vittima si chiamava John Cheng, un medico di 52 anni che ha cercato di disarmare l'attentatore restando ucciso. Molti dei circa 100 membri della Irvine Taiwanese Presbyterian Church sono anziani immigrati taiwanesi. Alcuni hanno raccontato che Chou ha parlato loro in dialetto taiwanese prima di aprire il fuoco. Lo stesso dialetto che viene utilizzato durante le funzioni della chiesa e che il Guomindang, il partito nazionalista cinese che ha governato Taiwan come partito unico per diversi decenni dopo la guerra civile persa da Chiang Kai-shek contro Mao Zedong, aveva cercato di sopprimere.

L'attentato è diventato un'occasione per parlare ancora una volta delle attuali tensioni tra Repubblica Popolare Cinese e Repubblica di Cina, ancora il nome ufficiale con cui Taiwan è indipendente de facto. Eppure, la vicenda di Laguna Woods sembra inserirsi in altre due tendenze che si sono incrociate portando Chou a premere il grilletto: la prima è taiwanese, la seconda è tutta statunitense, guarda caso le due nazionalità di tutti i protagonisti della tragedia.

Chou, 68 anni, è un cosiddetto waishengren di seconda generazione, vale a dire il figlio di genitori arrivati a Taiwan dalla Cina continentale nel 1949 insieme agli esuli del Guomindang, di cui i waishengren costituiscono la base elettorale principale. Chou si è poi trasferito negli Usa dove vive da diverso tempo. È stato riportato che l'attentatore ha partecipato a delle riunioni di associazioni vicine al Fronte Unito del Partito comunista, ma in realtà la sua posizione sembra più corrispondere a una visione più locale: quella cioè che Taiwan fa parte sì della Cina, ma della Repubblica di Cina. Non quella comunista, dunque, ma quella nazionalista. A prescindere dalle intenzioni del singolo in questione, c’è un segmento della società taiwanese che non vuole l’indipendenza in quanto Repubblica di Taiwan, ma a cui va benissimo l’indipendenza de facto come Repubblica di Cina.

Verrebbe dunque da pensare che la sparatoria di Laguna Woods possa essere una vicenda taiwanese semplicemente traslata su territorio straniero. In realtà, però, si tratta di una visione limitata di una vicenda che pare condizionata in maniera decisiva proprio da specificità statunitensi. A Taiwan, infatti, le tensioni sub-etniche tra waishengren e benshengren (vale a dire i taiwanesi di etnia han che hanno vissuto la colonizzazione giapponese) sono ormai da tempo attenuate. I waishengren di terza generazione si identificano per lo più con Taiwan piuttosto che con la Cina. Senza contare che Taiwan non ha alle spalle una storia di terrorismo o di violenze di questo genere, nemmeno nei momenti di frizione più acuta tra le due principali componenti della cittadinanza dell'isola principale amministrata dal governo di Taipei.

Non appare dunque un caso che la tragedia sia avvenuta proprio negli Usa, dove gli immigrati taiwanesi, soprattutto i più anziani, sono ancora influenzati da dinamiche ormai residui del passato. E soprattutto dove trova terreno fertile l'odio verso gli asiatici e in generale è infinitamente più semplice dotarsi di armi e aprire il fuoco contro esponenti di una comunità. L'attentato di Chou sembra inserirsi di più nel tragico e purtroppo nutrito filone delle sparatorie di massa avvenute su suolo americano. L'incrocio tra i due aspetti di questa vicenda si realizza nel forte aumento dei crimini d'odio contro la comunità asiatica negli Stati Uniti. Una tendenza chiara sin dall'inizio della pandemia di Covid-19, che si è aggiunta in maniera fatale alle già presenti tensioni politiche, commerciali e persino ideologiche tra Usa e Cina. Il 16 marzo 2021, ad Atlanta, Robert Aaron Long ha ucciso otto persone, di cui sei donne di origine asiatica. Secondo un report del gennaio del 2022 curato da Stop AAPI Hate (organizzazione che traccia i crimini d'odio contro la comunità asioamericana e degli isolani del Pacifico) sostiene che al 19 marzo 2020 al 31 dicembre 2021 sono state registrate 10.905 segnalazioni di crimini d’odio contro la comunità AAPI, di cui 4.632 verificatisi nel 2020 (42,5%) e i restanti 6.273 nel 2021 (57.5%). Il report evidenzia inoltre che gli incidenti d’odio riportati dalle donne costituiscono il 61,8% di tutte le segnalazioni. I sinoamericani continuano a segnalare il maggior numero di episodi di odio (42,8%), seguiti da coreani (16,1%), filippini (8,9%), giapponesi (8,2%), e vietnamiti americani (8,0%). Alla lista delle vittime di crimini d'odio e sparatorie di massa si aggiungono ora anche dei cittadini taiwanesi.

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Nella foto in copertina, manifestanti mostrano cartelli contro l'odio, durante una manifestazione a Laguna Woods venerdì 9 aprile. Foto di Mark Rabinowitch da https://www.ocregister.com

Lorenzo Lamperti, direttore editoriale China Files

24 maggio 2022

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