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Tunisia, il Parlamento non rinnova la Commissione di Verità

sui fatti accaduti nel Paese tra il giugno 1955 e il dicembre 2013

Dopo la Rivoluzione dei Gelsomini e la cacciata di Ben Ali, la Tunisia ha iniziato un difficile cammino di ricostruzione, nel tentativo di varare un'autentica democrazia. Era stata nominata una Commissione di Verità e Dignità per cercare di assicurare una forma di giustizia a 63.000 famiglie colpite negli anni da torture, esilio, uccisioni, rapimenti, violenze sessuali e altri generi di crimini. 

Ora però, nel 2018, il Parlamento tunisino ha rifiutato di prorogare l'attività della commissione e le 63.000 cause sono condannate a fermarsi. Le Monde ha intervistato in proposito la giurista tunisina Farah Hached, coautrice del libro La Révolution tunisienne et ses Défis sécuritaires (La rivoluzione tunisina e le sue sfide sul piano della sicurezza, ed. Le Labo Démocratique, IRMC e MedAli, Tunisi, 2014).

La Hached ha parlato di una "memoria nazionale confiscata", del fatto che in Tunisia "non esiste ancora la democrazia. La democrazia presupporrebbe uno Stato di diritto e delle istituzioni su cui siano previsti controlli adeguati, permettendo di ritrovare la fiducia. Noi stiamo costruendo la nostra democrazia, e ciò passa necessariamente per la rivelazione della verità sugli abusi e sulle violenze del passato, per il rendimento di giustizia alle vittime e per la messa in atto delle riforme necessarie, vere garanzie contro il ritorno della dittatura. Ma alcuni oggi si considerano al di sopra di questo sforzo di costruzione della democrazia e anzi fanno di tutto per affossarla". La mozione di non rinnovo dell'Istanza di riconciliazione sarebbe stata promossa in particolare da 68 deputati tunisini, di cui non viene precisata l'appartenenza politica.

Sulla Commissione di Verità c'erano alcune polemiche, però secondo la giurista gli errori sono imputabili al potere legislativo, che non avrebbe sostituito i suoi membri dimissionari, e al potere esecutivo, che avrebbe bloccato l'accesso a numerosi documenti. Ci sarebbero ancora molti ostacoli sulla strada di una vera riconciliazione, alla quale il governo avrebbe preferito una "riconciliazione amministrativa", la messa in opera di un sistema non trasparente di amnistie per i funzionari responsabili di crimini. 

Non sarebbe stata creata una vera Corte costituzionale, non sarebbe stato riformato il Codice penale in vigore nel regime (per esempio sarebbe ancora previsto il carcere per gli omosessuali) e i processi relativi a crimini della polizia contro civili sarebbero ancora sotto la giurisdizione dei tribunali militari.

La giurista conclude denunciando che le vittime non sarebbero state poste al centro della giustizia transizionale (quella cioè del dopo dittatura e dopo Rivoluzione), e alcune forze avrebbero addirittura cercato di logorare continuamente la Commissione di verità. La sua richiesta è di una proroga di sette mesi dell'attività di questo ente, senza allocazione di budget addizionale.

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