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Perché il futuro di Memorial in Russia riguarda tutti

di Anna Zafesova

“Sarà un processo spartiacque, come il caso Dreyfus, come il tribunale per Andrei Sinyavskiy e Yuli Daniel”, dice il politologo Kirill Rogov. Il 25 novembre la Corte Suprema della Federazione Russa deciderà se mettere al bando Memorial, una delle prime ONG nate sulle macerie del totalitarismo comunista, come “agente straniero”. Una notizia che, nella raffica di arresti, condanne e censure degli ultimi mesi, è riuscita a scuotere un'opinione pubblica ormai depressa e spaventata, e decine di esponenti dell'accademia e dello spettacolo, e perfino di organizzazioni nell'orbita del Cremlino come il Consiglio per i diritti umani presso la presidenza, hanno chiesto di revocare il provvedimento, denunciato anche dall'Europa e dagli Stati Uniti. È come se la sopravvivenza di Memorial fosse diventata un punto di non ritorno, quell'ultima soglia oltre la quale si lascia ogni speranza, il tentativo last minute della società civile di invertire la marcia inesorabile verso la dittatura, di mostrare che qualcuno al potere ha ancora una parvenza di buon senso, o almeno di timore per la propria immagine.

Per capire perché questa notizia è suonata come uno shock perfino nella Russia al 22esimo anno di Putin, e perché la drammaturga Lyudmila Petrushevskaya in segno di protesta ha restituito il suo Premio di Stato consegnatole da “putin”(scrivendo il cognome del presidente russo senza la maiuscola) basta ascoltare le decine e centinaia di persone che in queste ore stanno firmando l'appello per non chiudere Memorial. 

La ONG fondata dall'accademico Sakharov e dai più famosi dissidenti e prigionieri politici sovietici è nata per strappare il velo di silenzio dai crimini di Stalin, un dibattito che è stato il perno della perestroika di Gorbaciov. È stato grazie a Memorial che milioni di familiari delle vittime del Gulag hanno potuto sapere che fine avevano fatto i loro cari. Memorial ha aperto gli archivi, ritrovato fosse comuni, e messo a disposizione di tutti la banca dati più completa di tutti i fucilati, processati, deportati e imprigionati. Memorial ha ottenuto per le vittime delle repressioni e i loro discendenti risarcimenti e benefit del welfare, ma soprattutto gli ha restituito il diritto di cittadinanza, dopo decenni di silenzio. Ma Memorial non è solo memoria: la prima manifestazione che ha organizzato è stata quella contro il massacro di Tiananmen, nel 1989, e non si contano gli interventi sul campo, le denunce e le indagini sulle violazioni dei diritti umani durante la guerra in Cecenia e in Ucraina, nelle carceri russe, nei confronti delle minoranze, etniche, sessuali, religiose.

Tutto questo potrebbe finire, anzi, diventare fuori legge, se la Corte Suprema accogliesse l'esposto della procura per chiudere il Centro di difesa dei diritti umani Memorial e Memorial International, la galassia di decine di organizzazioni affiliate (tra cui anche Memorial Italia). Il pretesto formale è il rifiuto di Memorial di accettare l'etichetta di “agente straniero” apposta dal governo russo: un titolo che formalmente deriva da finanziamenti esteri e comporta nient'altro che l'obbligo di una contabilità più dettagliata e del disclaimer di “agente straniero” da presentare per qualunque attività e menzione dell'organizzazione, ma che nella realtà diventa una “lettera scarlatta” infamante. In un Paese dove la tradizione politica associa l'"estero” a “nemico”, un “agente straniero” - come è già capitato a decine di ONG, media, fondazioni e singoli attivisti e giornalisti – si vede negare finanziamenti e autorizzazioni, perde collaboratori e partner, non può più di fatto svolgere la sua attività in Russia, diventando un “nemico del popolo”. Memorial si era rifiutato di apporre volontariamente il disclaimer “questa organizzazione svolge attività ed esprime interessi di governi stranieri”, e la giustizia russa l'ha prima multato e poi ne ha chiesto la messa fuori legge.

La legge sugli “agenti stranieri” - che Putin recentemente ha promesso di ritoccare – è però evidentemente un pretesto, come si vede dall'esposto della procura che accusa Memorial di avere “violato brutalmente e ripetutamente i diritti dei cittadini”, “difeso e propagandato idee terroriste ed estremiste” (cioè quelle dell'opposizione) e infranto perfino la Convenzione sulla tutela dei minori alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo dell'Onu, per non parlare della Costituzione russa. Ciò sarebbe avvenuto, secondo la procura russa, “violando la verità storica” ed esponendo i bambini a “informazioni che ne determinano negativamente lo sviluppo morale e spirituale”. In altre parole – la traduzione dal "legalese" è facilmente leggibile per chiunque segua le polemiche degli ultimi anni in Russia – denunci il totalitarismo e i crimini di Stalin. In perfetta sintonia con Orwell, il passato resta un campo di battaglia del presente, come ha dimostrato anche il recente assalto di una squadra di disturbatori ignoti e impuniti alla proiezione del documentario sul Holodomor, la carestia indotta da Stalin per piegare l'Ucraina, organizzata a Mosca da Memorial. In un regime che si propone sempre più volentieri come l'erede di Stalin, e rifiuta ai discendenti delle vittime l'accesso agli archivi dei processi per “non fomentare l'odio” verso i carnefici, denunciare i crimini degli anni '30 diventa un reato forse perfino più grave di quello di raccontare le piaghe dell'attualità.

“Come può un'organizzazione che tutela la memoria violare i diritti dei cittadini?”, scrive nel suo appello a mobilitarsi Novaya Gazeta, il giornale indipendente appena insignito del Nobel per la pace (che molti commentatori russi avrebbero voluto andasse invece a Memorial). È l'ultima battaglia dell'intellighenzia russa e occidentale, e qualcuno spera ancora che una mobilitazione internazionale potrà salvare la ONG, mostrare al Cremlino che ci sono confini da non attraversare, anche se il portavoce di Putin Dmitry Peskov ha già fatto capire che il suo principale rimarrà sordo a tutti gli appelli: “Sappiamo che Memorial ha violato ripetutamente la legge russa”, ha dichiarato. Ma, come scrive Rogov sulla Novaya Gazeta, “Non si può liquidare e abolire Memorial. È nella nostra testa. È nel sangue del nostro Paese”.

Anna Zafesova, giornalista, analista e USSR watcher

16 novembre 2021

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