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L' Argentina tra verità, giustizia e ferite ancora aperte

si chiude il processo contro 48 ufficiali della dittatura

“Finirete come i nazisti. Ovunque fuggirete, vi verremo a cercare”. Queste le parole che riecheggiavano all’esterno del Tribunale di Buenos Aires in occasione della sentenza ai danni di 48 ufficiali della dittatura argentina. Familiari delle vittime, sopravvissuti e attivisti hanno ascoltato per tre ore la lettura di un verdetto che si può definire, senza temere la retorica, un verdetto storico. Dopo cinque anni di udienze, infatti, è terminato il più importante processo - dopo quello per il Piano Condor, l’operazione coordinata negli anni ’70 dalle dittature latinoamericane con lo scopo di rintracciare ed eliminare gli oppositori politici, giunto a sentenza nel 2016 - per i crimini commessi durante la dittatura che ha insanguinato l’Argentina tra il 1976 e il 1983.

La maxi causa conosciuta come ESMA III - dal nome della tristemente nota Escuela mecanica della Marina, trasformata dai militari in un centro di tortura e detenzione clandestina - ha portato a 29 ergastoli e 19 condanne da 8 a 25 anni.

In Argentina l’ESMA è uno dei simboli delle atrocità compiute durante la dittatura militare; da qui passarono circa 5000 detenuti, destinati a riempire le fila dei desaparecidos. Oggi l'ESMA è un museo per la memoria e la difesa dei diritti umani, un esempio mondiale di come convertire un luogo di orrore in un simbolo di consapevolezza per le nuove generazioni. Ogni mese vengono organizzate visite con i sopravvissuti, che ripercorrono gli spazi delle loro torture e rievocano quanto accaduto in ogni angolo della caserma.

Il maxiprocesso ESMA è iniziato nel 2012, con 54 imputati accusati di crimini contro 789 vittime. Tra i condannati spicca la figura di Alfredo Astiz, soprannominato “l’angelo della morte”, già in carcere per un precedente ergastolo. Dal 1977 Astiz agì da infiltrato tra le Madres de Palza de Majo - le donne guidate da Azucena Villaflor che cercavano i figli scomparsi. -, fornendo poi all’intelligence informazioni che costarono arresti, torture e uccisioni agli attivisti e alle Madres. La stessa Villaflor, fondatrice del movimento, venne sequestrata da un gruppo armato nella sua casa di Avellaneda. Secondo alcune testimonianze, venne poi trasferita e reclusa nell’ESMA.

Ergastolo anche per Mario Daniel Arrù e Alejandro Domingo D’Agostino, due piloti dei famigerati “voli della morte”,durante i quali circa 4mila prigionieri vennero sedati e gettati ancora vivi in mare dagli aerei. Tra le vittime di questo piano sistematico di eliminazione degli oppositori anche Azucena Villaflor, i cui resti verranno restituiti dal mare sei mesi dopo e riconosciuti solo al termine della dittatura, e Franca, la figlia di Vera Vigevani Jarach - “militante della memoria” che oggi viaggia tra Italia e Argentina per raccontare la storia dei desaparecidos e di suo nonno Ettore, deportato ad Auschwitz.

Ancora una volta, come nei processi per la Shoah o per la pulizia etnica in Bosnia Erzegovina, i responsabili non mostrano pentimento, ma anzi sfidano i familiari delle vittime anche nel momento della sentenza. Lo stesso Astiz ha ribadito più volte che non avrebbe mai “chiesto perdono per aver difeso la mia patria”, ed entrando in aula per la lettura del verdetto ha fissato minacciosamente chi mostrava le immagini dei propri cari scomparsi, esibendo un libro negazionista, Mentirás tus muertos.

Il processo è stato vissuto come catarsi di un Paese intero, un atto di giustizia riparatrice, in un momento delicato in cui la cifra stessa delle vittime è soggetta a revisionismo da parte non solo dei movimenti negazionisti, ma dello stesso Presidente Macri. A rendere particolarmente complesso il lavoro dei giudici è stata l’assenza totale di sopravvissuti ai voli della morte e quindi di testimoni, a eccezione di qualche soldato come Adolfo Scilingo, che ha confessato di aver gettato in mare i corpi di 30 prigionieri “con l'appoggio spirituale di un prete cattolico prima e dopo la carneficina”.

L’Argentina si conferma comunque un Paese impegnato nella ricerca della giustizia, con 449 ex militari in arresto, 553 agli arresti domiciliari e più 420 processi in atto, e della verità, un Paese in cui la ferita della dittatura, dei desaparecidos e dei bambini strappati ai genitori e ceduti alle famiglie degli ufficiali resta ancora dolorosamente aperta.
Ferita che certo non può rimarginarsi in presenza di bizzarrie legali come il provvedimento noto come “2x1”, abrogato nel 2001 ma riapprovato il 3 maggio 2017, che riduce della metà le pene per genocidio, o come il divieto per un figlio, previsto dal codice penale argentino, di testimoniare contro il proprio padre.

A distanza di decenni dalla dittatura, sono proprio i figli dei carnefici a mostrare oggi un coraggio straordinario. Dopo “quarant’anni di silenzio, vergogna e colpa” - come confessa Laura Delgadillo, figlia di Jorge Luis Delgadillo, figura prominente dell’intelligence - e tantissimo lavoro psicologico, le figlie e i figli di militari, ufficiali e medici responsabili di sequestri, torture e atrocità hanno trovato la forza di condividere le loro storie. Hanno scelto di farlo attraverso il gruppo Historias Disobedientes (Storie disobbedienti), che ha fatto il suo debutto nelle strade di Buenos Aries lo scorso giugno, in occasione della manifestazione Ni una menos.
I figli della dittatura hanno sfidato non solo i sensi di colpa, ma anche la reazione delle famiglie, per cui la loro scelta è stata un affronto imperdonabile. Esclusi dai propri nuclei familiari, hanno creato nuovi legami, incrociando la loro strada con quella, ad esempio, di Patricia Isasa, studentessa e militante arrestata a 16 anni a Santa Fe dai militari. Una vittima. Se la dittatura aveva diviso la società argentina tra vittime e carnefici, i fondatori di Historias Disobedientes hanno scelto di scardinare questo doloroso mosaico.  

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

1 dicembre 2017

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