Una voce consapevole della complessità di un conflitto che ha radici profonde e rischia di perdersi in una narrazione collettiva tendente alla semplificazione. Nel corso delle ultime settimane Yuval Noah Harari si è fatto sentire ed è stato interpellato dai media nazionali e internazionali che hanno richiesto il suo punto di vista.
Israeliano,
47 anni, storico, filosofo, docente, autore di bestseller come
Sapiens, Homo Deus, Unstoppable Us e attivista politico, da settimane
Harari offre la
propria analisi e i propri pensieri
su quanto sta accadendo, cercando di mantenere un
equilibrio
tanto precario quanto necessario.
Da
sempre ostinatamente in contrasto con l’esecutivo di Netanyahu, i
suoi piani per indebolire il controllo giudiziario nel Paese e
l’occupazione israeliana nei territori palestinesi, Harari ha
vissuto indirettamente ma in prima persona l’assalto da parte di
Hamas. Suo zio e la moglie, di 99 e 89 anni, vivevano nel kibbuz
Be'eri,
uno di quelli
in cui è avvenuta l’incursione. Sono sopravvissuti nascondendosi,
mentre i miliziani andavano di casa in casa uccidendo e portando via
i loro vicini di casa.
Contro
l’indifferenza
Quella
di Harari è una lotta all’indifferenza che
percepisce nei confronti
della violenza dello scorso
7 ottobre, ma anche alla
pigrizia intellettuale a cui molte persone lontane dal conflitto
tendono a lasciarsi andare. L’ha ribadito più e più volte, nel
corso di numerose interviste
anche ai media italiani: “Da anni ormai esprimo la mia contrarietà all’occupazione, ma
questa non può essere una scusa per le atrocità commesse da Hamas.”
E ancora:
“Chiunque incolpi Israele per questo attacco non solo approva
l’atto di terrorismo ma anche le persone che hanno fatto di tutto
per distruggere ogni possibilità di pace per anni e anni.”
Harari è rimasto molto colpito da quella che definisce “indifferenza” da parte di alcuni progressisti americani ed europei verso quanto accaduto nei kibbutz. Proprio per questo, come riportato dal Guardian, è stato uno dei 90 firmatari di una dichiarazione di critica all’atteggiamento “della sinistra”, che attribuisce a Israele tutta la responsabilità di quanto accaduto senza mostrare sensibilità nei confronti degli attacchi sui civili israeliani.
“Non c’è alcuna contraddizione nell’opporsi fermamente alla sottomissione e all’occupazione dei palestinesi da parte di Israele e la condanna inequivocabile di brutali atti di violenza contro civili innocenti. In effetti, ogni uomo di sinistra coerente deve mantenere entrambe le posizioni contemporaneamente”, ha dichiarato. “Le persone possono essere vittime e carnefici allo stesso tempo.”
Un Governo fallimentare e un popolo reattivo
In un editoriale pubblicato sul Washington Post l’11 ottobre 2023
dal titolo “L’orrore di Hamas è anche una lezione sul prezzo del
populismo”, Harari
scrive che: “Da un lato gli israeliani stanno pagando il prezzo di
anni di arroganza, durante i quali i nostri governi e molti
israeliani comuni sentivano che eravamo così forti rispetto ai
palestinesi che potevamo semplicemente ignorarli. C’è molto da
criticare sul modo in cui Israele ha abbandonato il tentativo di
portare avanti la pace con i palestinesi tenendo per decenni milioni
di loro sotto occupazione. Ma
questo non giustifica le atrocità commesse da Hamas, che in ogni
caso non ha mai sostenuto alcuna possibilità di un trattato di pace
con Israele e ha fatto tutto ciò che era in suo potere per sabotare
il processo di pace di Oslo.”
Secondo
Harari, la vera disfunzione del Governo che ha guidato Israele negli
ultimi anni porta il nome di “populismo”. Volto di questo
populismo è proprio il Primo
Ministro Benjamin Netanyahu, che ha anteposto i propri interessi al
bene del suo popolo, prendendosi sempre i meriti dei successi senza
mai
assumersi
le responsabilità dei fallimenti, sottovalutando i rischi delle sue
disattenzioni. Di contrasto, è la società civile a sopperire alle
mancanze delle istituzioni. Molti cittadini sono subito scesi in
campo per aiutare, donare il sangue, accogliere le persone ferite.
Già alcuni mesi fa il filosofo aveva raccontato su Haaretz le proprie inquietudini rispetto alla presenza e alle azioni di fanatici suprematisti e al rischio di vedere distrutta la preziosa matrice democratica e la spiritualità dello Stato di Israele. Lo aveva fatto a partire dal racconto di una manifestazione a favore della democrazia a cui aveva partecipato con altre centinaia di persone a fine giugno 2023, a Beit Shemesh. Di fronte, in una contro-manifestazione organizzata da pochi sostenitori del governo, alcuni altoparlanti amplificavano i discorsi ed emettevano canzoni. Il testo di una di queste, ha scoperto in seguito Harari, rievocava gloriosamente gli eventi avvenuti nella città di Hawara, in Cisgiordania, a febbraio 2023, che riassume così:
“Dopo che un palestinese ha sparato e ucciso due israeliani che stanno attraversando Hawara, bande di attivisti di destra sono entrate in città, hanno appiccato fuoco a case, automobili e altre proprietà e hanno ferito dozzine di palestinesi senza che le forze di sicurezza israeliane facessero molto per proteggere la gente. Molti lo hanno descritto come un ‘pogrom’, ma il leader del partito del Sionismo Religioso, il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, ha sostenuto l’attacco e ha pubblicamente chiesto che Hawara fosse annientata.”
“Immaginate un mondo in cui gli ebrei non possano più giustificare incidenti come Hawara come opera di una minoranza estremista, perché le bande che hanno bruciato Hawara si sono rivelate la colonna di fuoco che guida l’intera nazione ebraica? Immaginate un mondo in cui l’ebraismo scarta l’eredità spirituale e morale che ha accumulato nel corso delle generazioni, brucia “ama il tuo prossimo come te stesso” e dà fuoco al “non desiderare la casa del tuo prossimo”. Immagina un mondo in cui “ebraismo” diventa sinonimo di fanatismo religioso, razzismo e brutale oppressione. Potrebbe il giudaismo sopravvivere a una tale distruzione spirituale?”
Il tema della
condanna
Il termine “condanna” è uno dei fil rouge del dibattito
nato nelle ultime settimane. Una delle domande più frequenti nei
media e non solo, che a essere interpellato sia un israeliano oppure
un palestinese, è: “Lei condanna quanto fatto da Hamas?” Oppure
“Condanna i soprusi e gli omicidi compiuti durante l’occupazione
israeliana dei territori palestinesi”? Un quesito che Harari
affronta in gran parte dei suoi editoriali e interviste, offrendo
strumenti interessanti per poter mettere a fuoco la realtà.
“Oggi la mente degli israeliani è talmente piena di dolore che
sono incapaci di sentire o vedere il dolore di altri. Chiunque parli
del dolore altrui lo vedono come un tradimento. E lo stesso vale per
i palestinesi. È difficile anche solo affrontare la questione.”
Per Harari, infatti, è impossibile chiedere a un individuo che si
trova completamente immerso in questa spirale di dolore e violenza
di esprimere un lucido pensiero di condanna morale o un sentimento di
solidarietà verso quella che in questo frangente è vista come la
controparte. Per chi sta soffrendo, per chi sta annegando nel mare
della guerra, è uno sforzo troppo grande da richiedere.
Il compito di mantenere un pensiero lucido e oggettivo, lo sforzo di
guardare nel mezzo, spetta a chi, quella spirale, la osserva da
fuori, con uno sguardo più ampio possibile su una realtà complessa.
Tuttavia, sottolinea, spesso la gente tende a lasciarsi andare a una
sorta di pigrizia emotiva, decidendo che una delle parti ha ragione
al 100% e l’altra è nel torto al 100%.
Hamas non è la
Palestina
Harari lo afferma
chiaramente in un articolo del 16 ottobre 2023 pubblicato sul Time, dove racconta la
storia di una famiglia che abitava nel kibbutz Kfar Aza e ogni anno
organizzava un festival di aquiloni proprio sul confine con Gaza per
lanciare un segnale e generare insieme una scintilla di speranza.
Nell’articolo il
filosofo esprime chiaramente che Hamas, il cui obiettivo sarebbe
quello di seminare odio e destabilizzare qualunque tentativo di pace,
non sia assolutamente equiparabile né all’OLP né alla gran parte
della popolazione palestinese e pertanto, in questa guerra, Israele
“ha il dovere di difendere il proprio territorio e i propri
cittadini ma anche la propria umanità. La nostra guerra è contro
Hamas, non contro il popolo palestinese. I civili palestinesi
meritano di godere di pace e prosperità nella loro patria, e anche
nel mezzo del conflitto i loro diritti umani fondamentali dovrebbero
essere riconosciuti da tutte le parti.”
Secondo Harari,
l’unico scenario possibile per l’uscita da questa guerra è il
disarmo di Hamas, la smilitarizzazione della Striscia di Gaza per
permettere ai palestinesi che ci vivono di condurre una vita
dignitosa e il raggiungimento di un equilibrio che consenta agli
israeliani di vivere senza paura lungo quel confine. “Bisogna anche
preservare l’umanità di Israele, perché quando si assiste a
questi orrori si perde la propria umanità” dice. “È una
battaglia che non possiamo perdere.”