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Il coraggio degli uomini comuni

e la dignità inviolabile dell'uomo

Il 9 maggio 1978 a Roma le Brigate Rosse uccidono Aldo Moro, in Sicilia la mafia uccide Peppino Impastato. Oggi si celebra il Giorno della Memoria per le vittime del terrorismo, quest'anno dedicato in particolare ai magistrati uccisi. Sulla facciata del Palazzo di Giustizia di Milano campeggiano i volti di tre di loro: Giorgio Ambrosoli, Emilio Alessandrini, Guido Galli.

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si commuove nel ricordare i giudici che hanno perso la vita. Secondo il Capo dello Stato costoro: "esercitarono giurisdizione con la consapevolezza e la serenità di chi ha di fronte non nemici o avversari da sconfiggere, ma cittadini imputati da giudicare. Di qui la grande lezione: abbiamo dimostrato di essere una democrazia capace di difendersi senza perdersi, capace di reagire ad attacchi e minacce gravi senza snaturarsi. Va detto di fronte ai possibili sviluppo del terrorismo internazionale, pur duramente colpito, come monito a chiunque può essere tentato di inoltrarsi sulla strade della violenza, o in qualsiasi modo alla sfida dell'imperio della legge".



Vittorio Ambrosoli, figlio di uno di loro, riflette sul senso di questa commemorazione scrivendo: "Guardiamo a quegli uomini non come a delle vittime della prevaricazione, ma come a persone che con naturalezza seppero vivere appieno la propria responsabilità, senza cedere alla paura, senza mettere se stessi e, addirittura, la propria vita prima dei diritti di tutti. Negli anni del terrorismo il pensiero che il Paese fosse alla deriva era diffuso, la gravità del momento era colta con nitore, la consapevolezza dell’esigenza di una reazione era viva. Chi, tuttavia, ha memoria del sentimento dell’epoca, o lo cerca nei media di allora, vede come la speranza della sconfitta della violenza eversiva faticava ad essere affidata alla fiducia nelle istituzioni. Di più: il pensiero stesso della possibilità concreta di una svolta a scapito della violenza eversiva faticava ad affermarsi. E invece la reazione ci fu: efficace e diffusa. Perché, infatti, in quelle stesse istituzioni nelle quali alcuni non credevano, in quella stessa società che tantissimi ritenevano da superare e, comunque, inadeguata alla gravità del momento, molti seppero vivere il senso della propria responsabilità. Tanti seppero cogliere l’occasione della propria funzione o professione, del proprio servizio o lavoro per fare in modo che il Paese non cedesse alla spirale della violenza e il diritto si affermasse. Così a scelte di singole persone, in tutto e per tutto uguali a come ciascuno oggi può sempre essere, dobbiamo la testimonianza di 'quanto profonde fossero nel nostro popolo le riserve di attaccamento alla libertà, alla legalità, ai principi della convivenza democratica'".

L'inviolabilità della dignità dell'uomo

Questi uomini sono stati uccisi mentre esercitavano il loro dovere. il monsignor Angelo Scola si domanda: "Perché non si deve uccidere? Perché l’uomo è creato 'a immagine e somiglianza di Dio' e l’uccisione dell’uomo, oggetto del compiacimento di Dio ('Dio vide quanto aveva fatto [con la creazione dell’uomo], ed ecco, era cosa molto buona' , Gen 1,31), è affronto e disprezzo di Dio; così risponde la coscienza teologica. Perché l’uomo è portatore di una 'dignità incomparabile, senza prezzo', come pensa Kant; così risponde una tradizione filosofica che ha dato il suo lessico alla cultura moderno-contemporanea della libertà e dei diritti umani. Ma la ragione del 'Non uccidere' richiede un approfondimento, decisivo quanto all’apprezzamento della radicalità della proibizione e al senso della norma. Ciò che non si deve voler uccidere è l’uomo come tale, considerato nella sua identità antropologica propria, cioè, per essere rigorosi, nella sua trascendentalità, che ha una dignità senza prezzo perché è incomparabile ed è tale perché è la condizione di ogni esperienza, di ogni azione, relazione, significato".

Il rispetto per la dignità dell'uomo al di là delle differenze sociali o religiose ha guidato le azioni di due sacerdoti che di recente sono stati riconosciuti Giusti tra le Nazioni: don Oddo Stocco e don Martino Michelone. Entrambi si sono messi in pericolo per mettere in salvo le vite di altri uomini, ebrei perseguitati durante la Shoah.

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