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IS: l'orrore del totalitarismo islamista

intervista a Domenico Quirico

Una fine terribile, il rogo, è toccata al pilota giordano Moaz al-Kasasbeh (26 anni), catturato alla fine di dicembre dagli jihadisti dello Stato Islamico (IS) dopo che il suo aereo era stato abbattuto durante una missione anti-IS a Raqqa, Siria. Il pilota è stato bruciato vivo dopo essere stato richiuso in una gabbia di ferro e i suoi resti carbonizzati sono stati ricoperti con detriti e spianati da una ruspa. Il macabro rituale, allestito dall'IS, è stato ripreso in un video realizzato con maniacale cura dei dettagli e diffuso sulla rete per raggiungere lo scopo che gli estremisti del Califfato si propongono: minacciare la Giordania e i Paesi del Golfo mostrando la sorte che sarà riservata ai militari della coalizione anti-IS, guidata dagli Stati Uniti, una volta fatti prigionieri.

Il filmato di 22 minuti, messo in rete ieri tramite un account Twitter noto come fonte per la propaganda dell'IS, mostra anche il pilota che cammina vicino alle macerie di una città distrutta e le immagini di corpi carbonizzati delle vittime di un bombardamento, con un riferimento agli attacchi aerei della coalizione.

L'atroce esecuzione di Moaz al-Kasasbehha avuto come effetto la decisione del governo giordano di giustiziare subito la militante irachena Sajida al-Rishawi, condannata a morte per la partecipazione agli attentati del novembre 2005 ad Amman, che causarono 60 vittime. Una sorta di vendetta immediata in risposta all'IS, che prosegue la crudele strategia mediatica mirata a spargere il terrore tra la popolazione dei Paesi musulmani, il vero obiettivo del Califfato, come dice Domenico Quirico, inviato de La Stampa, in questa intervista a Gariwo.

Quirico ha conosciuto da vicino l'orrore del fondamentalismo, come prigioniero per 152 giorni in Siria, ostaggio dello Stato Islamico da aprile a settembre 2013, e ha raccontato la sua drammatica esperienza in un libro, "Il Paese del Male", mettendo in guardia dal grande pericolo rappresentato dal crescente potere dei jihadisti. Poche settimane fa Quirico ha pubblicato un nuovo libro, "Il Grande Califfato", sempre per l'editore Neri Pozza: un lungo viaggio dalla Turchia alla Nigeria attraverso i territori occupati dal "totalitarismo islamista globale". E' un testimone d'eccezione per commentare le vicende di questo conflitto che sembra non poter aver fine.

Dopo la barbara esecuzione del giornalista giapponese pochi giorni fa, lei ha scritto sul suo giornale: “penso di sapere cosa ha provato Kenji Goto, l’ultima vittima dei boia del califfo di Mosul. Lo so perché come lui, a un certo punto della prigionia, anche se nulla sembrava diverso, ho sentito che arrivava”. Può dirci cosa ha provato, essendo stato anche lei prigioniero dell’ISIS, quando ha appreso che anche questo ostaggio è stato ucciso?

Le storie di tutte le persone sequestrate, alcune finite in modo tragico, altre, come la mia, finite per fortuna in modo positivo, sono la mia storia. Non riesco a leggerle, ad ascoltarle senza avere una partecipazione personale, perché ogni volta ripercorro i miei giorni, le mie ore, i miei minuti. Queste cose bisogna lasciarsele dietro, ma non si riesce mai, capita sempre un’eco, un sottofondo, un rumore che diventa più forte ogni qualvolta storie di questo genere succedono ad altri. Purtroppo questo fa sì che in me si tratti sempre di un ripetersi.

La crudeltà delle esecuzioni e soprattutto la volontà di esibirle attraverso i filmati quali effetti vogliono raggiungere?

È un fenomeno davvero nuovo rispetto al passato, quando il terrorismo aveva l’obiettivo di spaventare con i suoi atti, di diffondere un senso di precarietà e di paura di poter essere in ogni momento colpiti. Oggi non è più così, i destinatari di queste esecuzioni compiute in un modo così terrificante non sono gli occidentali, ma gli stessi musulmani di tutto il mondo che vedono, che assistono a una lezione voluta dagli uomini del Califfato. La lezione è che la potenza del Califfato è in grado di sopprimere quelli che prima erano i padroni del mondo, gli americani, gli inglesi, i giapponesi. È la prova della variazione dei rapporti di forza nel mondo. L’Islam è di nuovo forte, vincente e in grado di giustiziare, di punire gli infedeli. Questo è il messaggio e i destinatari non siamo noi, non è Obama, non è Cameron, ma i musulmani spettatori di questa orribile messa in scena, in cui il guerriero dell’Islam sgozza l’infedele, che è in ginocchio e subisce la sua sorte senza poter reagire. È l’agnello sacrificale e il coltello è lo strumento del sacrificio umano.

Quindi anche se nei Paesi occidentali si decidesse una sorta di moratoria per non trasmettere queste immagini, il vero impatto, nei paesi musulmani, ci sarebbe comunque?

Purtroppo è una forma di ingenuità degli occidentali pensare di essere i destinatari di queste cose. Non siamo noi. A nessuno di costoro interessa sapere cosa pensiamo di loro. Non leggono il New York Times, non guardano la CNN, non leggono il sito internet del Corriere della Sera. È veramente irrilevante per loro. Noi continuiamo a pensare che il mondo ci giri intorno, che tutto il mondo sia preoccupato di sapere cosa pensiamo, ma non è così. Non è così.

L’islam radicale è una degenerazione che riguarda una componente minoritaria o riflette un’ostilità verso l’Occidente largamente diffusa nel mondo musulmano?

Minoritario è un concetto un po’ curioso. Cosa vuol dire? I nazisti erano minoritari rispetto ai tedeschi e hanno governato, ahimè, la Germania e una buona fetta dell’Europa fino al 1945. I bolscevichi erano quattro gatti rispetto al Partito socialista menscevico eppure hanno dominato la Russia e un pezzo del mondo per quasi un secolo. Il concetto minoritario è disorientante nel momento in cui ci sono delle minoranze fortemente determinate che hanno un progetto deciso e sono più abili e capaci delle maggioranze fatte da nullafacenti, da tiepidi, da gente che tira a campare, ad arrivare al giorno dopo e non vuole essere disturbata e accetta qualsiasi cosa in cambio del quieto vivere. Le dittature, i sistemi totalitari sono la conseguenza di questo rapporto tra minoranza e maggioranza. La maggioranza degli abitanti musulmani, che vuole arrivare al giorno dopo, non pensa che i guerrieri della Jihad spariranno, anzi è convinta che prenderanno tutto il potere, questo è il problema.

Secondo lei è possibile avere ancora un dialogo con il mondo musulmano o almeno con alcune sue componenti?

Dialogo con chi? Il mondo musulmano chi è? Sono gli sciiti che hanno massacrato parte degli abitanti di un villaggio conquistato? È l’Iran che ha finanziato il terrorismo internazionale per trent’anni? Sono i curdi che nel 1915 hanno massacrato un milione di armeni? Sono questi i nostri alleati? Ben Alì, ex dittatore della Tunisia; Mubarak, ex uomo forte dell’Egitto; i re dell’Arabia Saudita che hanno finanziato tutti i terrorismi negli ultimi trent’anni; i corrotti governanti degli emirati arabi. Chi sono i nostri interlocutori nel mondo musulmano moderato? I governanti dei Paesi del Sahel, che cadono per un colpo di stato dopo l’altro per corruzione e malgoverno? Bisogna decidere chi fa parte dell’Islam moderato a cui dovremmo chiedere un aiuto. Ho l’impressione che ci costruiamo in modo ipocrita dei mondi che non sono reali.

Quali sono gli elementi di attrazione per gli occidentali che si sono arruolati nelle file dello Stato Islamico, le motivazioni per cui sono diventati militanti?

Tra i combattenti stranieri del Califfato ci sono persone nate e cresciute da un paio di generazioni in Europa, in Occidente, in buona parte sono inseriti nella società, quindi non degli emarginati per i quali andare a giocarsi la vita in un paese di cui non sanno nemmeno la lingua costituisce un’alternativa attraente al nulla della vita quotidiana. Questo pone una serie di interrogativi più complessi di quelli risolti in modo un po’ spiccio con la retorica letta sui giornali dopo le vicende parigine, come se si trattasse di corpi estranei, di meteoriti arrivate nelle nostre ben ordinate e felici società dai deserti dell’Arabia. Il problema è molto più complesso, perché questa gente è la conseguenza del fallimento di tutte le politiche di integrazione che sono state fatte nei paesi occidentali negli ultimi cinquant’anni, soprattutto nei confronti delle minoranze che professano la religione musulmana. Il fascino di un’esperienza così estrema come dare la propria vita in una guerra senza quartiere come quella siriano-irachena portata avanti dal Califfato nasce dall’attrazione esercitata da una scelta totalitaria in un mondo problematico, opaco, grigio e privo sostanzialmente di valori certi come il nostro. Il bene da una parte, il male dall’altra, essere arruolati nelle legioni del bene, sentire la vertigine di aver scelto una via dritta, definita. La fascinazione del totalitarismo, che funzionava anche fuori dall’ambito religioso, fino a un certo punto, nel caso dell’ideologia comunista: la gente si immolava convinta che il comunismo fosse la verità. L’Islam è la santa causa in un mondo dove le sante cause non ci sono più, come è l’Occidente.

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