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La teologa musulmana che sostiene le donne nel mondo islamico

ha fondato KARAMAH, Muslim Women Lawyers for Human Rights

Teologa, musulmana, femminista, nata in Libano e fuggita negli Stati Uniti negli Anni Settanta allo scoppio della Guerra Civile, docente alla facoltà di Legge dell’Università di Richmond in Virginia USA, Azizah Y. al-Hibri  è stata la prima donna musulmana a diventare professore in un ateneo giuridico degli Stati Uniti. Detiene un’altra cattedra in Filosofia e ha fondato la rivista Hypatia: a Journal of Feminist, che si occupa del ruolo della donna nella società americana. Il giornale prende il nome da Ipàzia, matematica, astronoma e filosofa della Grecia antica, uccisa da un gruppo di fanatici cristiani in un conflitto etnico religioso ad Alessandria d’Egitto e per questo definita «una martire della libertà di pensiero».
Ma Aziza Y. al-Hibri è nota in tutto il mondo accademico e musulmano per aver fondato ed essere la presidente di KARAMAH, Muslim Women Lawyers for Human Rights, un’associazione che ha come scopo l’assistenza alle donne musulmane nei Paesi islamici e, soprattutto, la formazione di avvocate musulmane che applicano la legge tenendo conto anche di una lettura dei testi sacri lontana dagli studi "fondamentalisti" del Corano.
I suoi studi teologici hanno avuto un vasto eco nel mondo musulmano perché improntati non alla semplice affermazione della difesa dei diritti. Basandosi su una rigorosa lettura dei versetti coranici hanno la forza innata dell’identità religiosa. Uno dei capisaldi teorici della analisi di Azizah Y. al-Hibri è la sura 256 al-baqara La vacca II in cui viene asserito: «Non esiste costrizione nella religione». Un’analisi del punto di partenza della teologa libanese è contenuta bel libro curato da Jolanda Guardi e Renata Bedendo, Teologhe, musulmane, femministe (Effatà Editrice, 2009): «Il Corano quindi, (secondo l’interpretazione di Azizah Y. al-Hibri, ndr) è contrario alla coercizione sia interna - intendendo con ciò sia l’egemonia dell’uomo sulla donna - sia esterna - ovverosia all’imposizione o al forzare il mondo musulmano ad accettare strumenti legali internazionali e un modello di relazione tra uomini e donne che non corrispondono ai principi dell’Islam».
Il concetto religioso declinato nel sistema legislativo di molti Paesi islamici rimette in discussione principi cardini, quasi dei dogma, del pensiero giuridico religioso di questi Paesi a partire dalle relazioni matrimoniali, l’obbligo della dote, la poligamia, la pianificazione delle nascite, fino alla custodia dell’uomo - padre o parente maschio più stretto - al momento della scelta del marito. Un principio tuttora in vigore in molti Paesi musulmani - dal Pakistan all’Arabia Saudita - che Azizah Y. al-Hibri contesta dall’interno della religione coranica sostenendo l’inviolabilità del diritto della donna a scegliere un marito, in virtù del fatto che le relazioni fra i generi non possono essere gerarchiche.
Il suo pensiero giuridico religioso va anche oltre le dinamiche ancestrali familiari. Nel suo libro An introduction to Muslim Women’s Rights (Richmond University, 2010), pubblicato a ridosso delle Primavere Arabe, Azizah Y. al-Hibri guarda già a quello che potrebbe accadere dopo, mettendo le mani avanti sul ruolo che dovrebbero avere le donne nella società futura: «Le cittadine e i cittadini dei Paesi musulmani, nell’età contemporanea richiedono l’attuazione della piena democrazia islamica. Democrazia in cui le donne non possono essere poste in un rapporto gerarchico con gli uomini».
Il lavoro di Azizah Y. al-Hibri con l’associazione Karamah, volto a formare una classe di giuriste capaci di confrontarsi con i retaggi arcaici delle legislazioni in diversi Paesi musulmani, l’ha portata all’attenzione del mondo. Numerosi i riconoscimenti che le sono stati attribuiti. Nel 2007 le è stato conferito il Virginia First Freedom Award, nel 2009 il Life Time Achievement Award. Nel 2011 il presidente Barack Obama la volle come membro della US Commission on International Religious Freedom. Ma ancora più clamoroso fu nel settembre 2016, quando il re del Marocco Muhammad VI, la invitò al palazzo reale a Rabat, per tenere una lezione in occasione del Dourousse Hassaniyyah, un seminario sui temi dell’islam in occasione del ramadan. 
Nel suo discorso, Azizah Y. al-Hibri, prima donna invitata nei 70 anni di cerimonie, davanti alle più alte cariche politiche e religiose del Marocco e non solo, lanciò il suo ennesimo anatema: «L’arroganza è la volontà di elevarsi al di sopra degli altri su questa Terra ed è un male proibito perché impedisce a un individuo o a un gruppo di persone di ascoltare e seguire la guida dei versetti coranici». 

Fabio Poletti, giornalista, NuoveRadici.world

11 maggio 2023

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