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"L’obbligo di indossare il velo è diventato come il muro di Berlino"

di Cristina Giudici

L’obbligo di indossare il velo è diventato, simbolicamente, come il muro di Berlino. Quando il regime iraniano cadrà grazie alla rivoluzione guidata dalle donne e sostenuta dagli uomini, la barbara ideologia dell’islamismo dovrà cedere il passo alla democrazia e ai diritti umani. E il mondo, anche tutto l’Occidente, sarà un posto più sicuro”. Per Masih Alinejad, la giornalista e dissidente iraniana più conosciuta della diaspora e più invisa al regime iraniano, è arrivato il momento. “The time has come” (il tempo è arrivato) è anche il motto usato in tutte le piazze europee per dare supporto agli iraniani che stanno combattendo a mani nude contro il regime. 

Voce diventata rauca dopo fiumi di parole, minuta, un fiore nei capelli - simbolo del suo movimento My Stealthy freedom (libertà furtiva) che nel 2014 ha anticipato la protesta contro l’obbligo di indossare lo hijab – dice a Gariwo di non avere più voce ma continua a parlare senza mai tirare il fiato. L’abbiamo incontrata alla conferenza Donne, Libertà, Diritti Umani in Iran, organizzata il 21 febbraio dalla fondazione Luigi Einaudi nella Sala Caduti di Nassirya del Senato, dove era presente anche Hamed Esmaeilion, portavoce dell’associazione vittime dei familiari del volo PS752 abbattuto dai Pasdaran, che dal Canada ha organizzato le prime proteste in Occidente in nome di Mahsa Amini: la curdo-iraniana uccisa il 16 settembre scorso e diventata la miccia per la ribellione contro la teocrazia dei mullah. Alla conferenza hanno partecipato, fra gli altri, la senatrice di Fratelli d’Italia, Antonella Zedda, Andrea Cangini, segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi, Germano Dottori, docente di Studi Strategici all'Università Luiss. 

Masih Alinejad, popolare attivista che vive a New York, è venuta in Europa per cercare di unire la diaspora iraniana in vista di un agognato cambio di regime. “La mia voce è la mia unica arma”, ha detto appena ha preso la parola al Senato. “Sono qui per dirvi che in Iran c’è una rivoluzione e di non credere a chi scrive che le proteste si sono affievolite. Non c’è bisogno di vedere morti, feriti, sangue nelle strade: la rivolta andrà avanti fino alla fine. In cinque mesi il regime ha ammazzato oltre 500 persone, arrestato 20mila persone e impiccato cinque innocenti. Perciò sono qui per chiedervi di non legittimare la Repubblica Islamica, di inserire l’IRCG (i Pasdaran) nella lista dei terroristi, di non esitare, di non pensare che la battaglia riguardi solo gli iraniani. Sono qui per chiedervi di non restare zitti perché l’ideologia della Repubblica islamica è un virus che può infettare tutto il mondo”. Con lo staff della sua organizzazione, My Stealthy Freedom, Masih, che ha un seguito di oltre 8 milioni di followers su Instagram, ha chiesto all’Europa di isolare l’Iran e di chiudere le ambasciate. Una posizione drastica, ma secondo lei necessaria. 

“Recentemente all’università americana di Georgetown, si è tenuto un incontro con tutti gli oppositori del regime perché la diaspora è divisa e dobbiamo creare un fronte comune, ispirato ai valori della democrazia e dei diritti civili”, ci ha raccontato. All’università americana c’erano attivisti e leader di movimenti di opposizione, fra cui il principe Reza Pahlavi (figlio dell'ultimo Scià di Persia) e il premio Nobel Shirin Ebadi. “Siamo solo l’inizio”, ha affermato. Le abbiamo chiesto se si aspettava una ribellione così diffusa e radicata nel suo Paese, guidata dalle nuove generazioni di iraniani. “Quello che è successo e sta succedendo è incredibile. Sarò sincera: dopo una vita passata a combattere il regime, al punto di essere diventata un bersaglio mobile, non me lo aspettavo. Le donne che si stanno ribellando sono delle eroine e si stanno sacrificando per la libertà di tutti. Perciò faccio un appello agli italiani e a tutte le femministe: state dalla parte giusta della storia perché non si può ignorare una rivoluzione progressista nata in Medio Oriente: se non sosterrete le vostre sorelle iraniane, dovrete affrontare il loro terrorismo sul suolo italiano, sul suolo europeo”. 

Masih Alinejad ha 46 anni e pesa 45 chilogrammi. Sfuggita a un tentativo di sequestro nel 2021, recentemente avrebbero cercato di assassinarla. “Erano tre sicari di un’organizzazione criminale dell’Europa dell’Est”, ci ha detto. “Io non ho paura di morire, ma l’opinione pubblica dovrebbe sapere che il regime iraniano cerca spesso di uccidere o sequestrare dissidenti che vivono all’estero. Credo sia arrivato il momento per le donne europee, per le sorelle in Italia, di rompere gli indugi. Organizziamo una marcia internazionale per le donne, dobbiamo essere uniti e isolare la Repubblica islamica, così come è stato fatto per Putin”. L’attivista iraniana, diventata cittadina americana, ci stava dicendo di avere il cuore spezzato ma pieno di speranza per il futuro del suo Paese. Un futuro che immagina finalmente radioso, dopo 43 anni di tirannia, ma improvvisamente è stata portata via dalla scorta perché si è avvicinata una coppia considerata sospetta. “Via, andate via”, dicono i suoi collaboratori ai giornalisti che volevano conoscere il suo pensiero sul futuro dell’Iran. Un discorso rimasto in sospeso, ma solo temporaneamente.

Cristina Giudici, giornalista

23 febbraio 2023

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