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"Noi musulmani non dobbiamo mai stancarci di condannare il terrorismo"

Intervista all'imam Saifeddine Maaroufi, a cura di Joshua Evangelista

Tra i divulgatori musulmani più seguiti in Italia c'è sicuramente l'imam di Lecce Saifeddine Maaroufi. Tunisino, 43enne, qualche anno fa aveva ricevuto delle minacce di morte a causa della sottoscrizione della Carta islamica dei valori contro gli estremismi. Ma questo non lo ha condotto a interrompere la sua attività di dialogo, che porta avanti attraverso video e post estremamente apprezzati da migliaia di giovani musulmani italiani. 

In seguito ai recenti attentati terroristici in Francia e Austria, l'imam Maaroufi ha preso posizioni nette, affermando che le condanne contro il male vanno reiterate ogni volta che esso si presenta davanti ai nostri occhi. Tuttavia la nostra chiacchierata sul rapporto tra credenti musulmani e prese di posizione contro gli estremismi non inizia dall'attualità stretta, ma dal concetto di Giusto.  

"Io conoscevo il termine Giusto tramite l’esempio di coloro che durante le persecuzioni naziste hanno salvato gli ebrei. Da quando vivo in Europa ho sempre cercato di parlare di questa tematica partendo dal mio background nordafricano. Nei nostri paesi tante famiglie hanno salvato gli ebrei attraverso certificati falsi per salvarli dai nazisti", spiega Maaroufi. E sull'estensione del concetto di Giusto a chiunque salvi vite umani e lotti per la difesa della dignità umana, aggiunge che "è bello che questo termine venga esteso alle situazioni dei giorni d’oggi e che ci sia l’intento di onorare chi si batte contro le discriminazioni e l’odio".

Imam Maaroufi, cosa vuol dire battersi contro l'odio dei terroristi? C'è chi dice che i musulmani dovrebbero prendere una posizione netta, mentre altri asseriscono che - non avendo a che fare direttamente con i terroristi - non sono tenuti a dover costantemente prendere posizioni che si possono dare per scontate. Lei che idea ha a riguardo?

Ho la fortuna o la sfortuna di aver attraversato entrambe queste fasi mentali. Prima dell’inizio della stagione degli attentati in Europa avevo mandato una lettera ai giornali locali per condannare quello che stava facendo l’Isis in Siria e in Iraq. In quel momento nessuno aveva ripreso la mia lettera perché sembrava di poco interesse pubblico. Quando invece l’Isis ha iniziato a perseguitare le popolazioni non musulmane della regione, il fenomeno ha iniziato a suscitare attenzione. Io ritenevo, e tuttora ritengo, che ogni anima sia importante e che il terrorismo stia colpendo tutti noi, senza distinzione di etnia e religione. Non solo, le prime vittime degli attacchi erano proprio quei musulmani considerati dai terroristi degli apostati, secondo il principio “se non sei con noi, sei contro l’Islam”. Così, all’inizio della stagione degli attentati mi veniva in mente questo pensiero: perché se noi siamo le prime vittime dobbiamo ogni volta condannare? Dopo ogni attentato c'era un politico diverso che alzava l’asticella, fino a quando qualcuno ha detto che i musulmani devono giurare sulla costituzione che sono contro il terrorismo. In quel momento ero davvero vicino all’idea che noi siamo vittime allo stesso livello di chi in Occidente stava vivendo sulla propria pelle l’odio. Del resto negli attacchi di Parigi c’erano musulmani tra le vittime, come il poliziotto Ahmed durante l’attacco alla sede di Charlie Hebdo. A Nizza, l’attentato con il tir aveva ucciso tanti musulmani.

E rispetto ad allora ha cambiato idea? Come è giunto all'altra "fase mentale", come la definisce lei?

Ho iniziato a ragionare sulla percezione della paura in Occidente. Ho pensato ai miei vicini di casa e a tutte le persone con cui mi rapporto ogni giorno: loro non conoscono le leggi dell’Islam, non sanno che nei testi dell’Islam queste condotte vengono condannate; non conoscono nemmeno l’interpretazione giusta da dare a certi passaggi coranici. Quindi mi sono detto: se gli stessi musulmani si fanno ingannare da interpretazioni sbagliate dell’Islam, come posso aspettarmi che persone che non lo conoscono correttamente possano fare dei distinguo e accettare che i musulmani rimangano in silenzio davanti a quello che sta succedendo? Ho capito che era doveroso condannare ogni volta.

Perché è doveroso condannare ogni volta?

Condannare ha un doppio significato e un doppio obiettivo. Ogni volta che c’è un male, ed è un male assoluto, rifiutarlo diventa, per il musulmano, una questione di fede. Chi non riesce a impedire il male con la propria mano, dovrebbe farlo con la propria lingua e con il proprio cuore. Condannando quindi stiamo facendo un atto giusto e un atto di fede.

Ma c’è anche un secondo obiettivo. Un obiettivo educativo verso i nostri giovani che non hanno ancora raggiunto l’età della consapevolezza su come andrebbe vissuto l’Islam in Occidente. Mi riferisco a quelle nuove generazioni che sono cresciute con l’Islam in quanto tradizione di famiglia e non come fede vissuta in maniera corretta. Giovani che vivono soprattutto in altri luoghi d’Europa come le banlieue francesi, dove i musulmani sono marginalizzati. Magari vorrebbero vivere la fede come ribellione, come un fatto identitario. E questo va corretto assolutamente. 

Quindi è sia un atto di fede sia un atto educativo per i giovani. Inoltre dobbiamo donare tranquillità d’animo a chi non è musulmano e da anni convive con noi. Su questo punto concludo dicendo che non sono sempre le stesse persone ad ascoltare noi imam, capi religiosi. Ogni volta ci sono persone nuove, che non hanno letto le nostre condanne precedenti. Ci saranno sempre uditori nuovi e non c’è nessun male a ribadire la nostra posizione. E’ anche un principio dell’Islam: "Ricorda, perché il ricordo giova ai credenti". Chi ricorda fa un atto di fede e un atto di cuore nei confronti dei propri vicini.

Esiste una zona grigia, popolata da musulmani che pur non essendo vicini ai gruppi terroristici non condannano in toto gli attentati? Se sì, quanto peso hanno?

Questa zona grigia la intendo non come una parte della popolazione islamica, ma come un pensiero che esiste in tante menti. Alcune persone si distaccano dalla realtà e non ragionano più né con la logica, né secondo la religione. Credono che gli atti di violenza servano per controbattere altri atti di violenza accaduti altrove. Si riferiscono ad esempio all’intervento occidentale in Iraq, Siria e Afghanistan, che considerano “terre islamiche”. Nella mente di tante persone la violenza nel conflitto tra Israele e Palestina merita una reazione violenta. E’ un pensiero molto pericoloso perché è istintivo, viene dalla pancia e non dalla mente. Chi fa queste azioni non lo fa in nome della fede, anche se la mette sempre al centro delle proprie parole. L’Islam prevede delle strutture giuridiche, un apparato penale: i casi di crimini commessi da gruppi o individui dovrebbero essere esaminati dal “sovrano” o in generale da sovrastrutture preposte a interpretare e far applicare la legge. Ciò non spetta mai ai cittadini e questo dovrebbe essere evidente in tutte le nozioni giuridico-penali presenti in qualsiasi società che fa riferimento ai principi islamici. Più in generale, nessuno ha il diritto di prendersi un ruolo che non gli appartiene. Facendolo sta commettendo un peccato.

Questa zona grigia esiste per chi non capisce questi valori. Per questo voglio tornare al discorso di prima: condannare e dire che l’Islam non accetta queste cose è importante. Bisogna far capire che le ingiustizie si combattono secondo la legge e all’interno di un contesto democratico. Ci sono tanti modi per denunciare le ingiustizie, come la persecuzione degli uiguri in Cina o dei rohinghya in Birmania. Ma non lo si deve mai fare uccidendo innocenti o terrorizzando persone che vivono in pace con i musulmani. L’errore non si risolve mai con un altro errore. 

Perché secondo lei è un problema mentale? 

Perché quando ci sono persone che lo credono, questo rappresenta un rischio per la società. Vanno isolate e, lo dico senza nascondermi, denunciate alle autorità.

Esistono dei "cattivi maestri" che veicolano queste menti deboli? Crede che la politicizzazione dell'Islam possa avere un ruolo in questo?

Credo di sì. Lo dico con tristezza, perché chi politicizza l’Islam utilizza la religione per raggiungere il potere. Non cerca nell’Islam dei principi nobili, come quello della carità, per migliorare la società, ma utilizza l’Islam come argomento politico per accaparrarsi dei voti o per cercare il sostegno di coloro che non approfondiscono i programmi elettorali ma si accontentano della parola “Islam” per votare a occhi chiusi. Questo attira i meno preparati dal punto di vista religioso e chi ha un desiderio di potere o di ricchezza. Del resto è quello che hanno fatto i capi dell’Isis o di Al Qaeda: stanno occupando dei territori non loro e si proclamano con titoli nuovi - come califfo o principe. Dicono di essere difensori della fede, ma per loro essa serve ad accumulare potere e ricchezze. E finiscono per assomigliare proprio a coloro che condannano nelle società capitalistiche perché mettono come primo valore il denaro. Raggiungono gli stessi obiettivi ma con la menzogna di farlo per la religione. 

Come riescono a far presa?

I cattivi maestri della modernità hanno il vantaggio che la tv satellitare e internet permettono loro di diffondere i propri messaggi con estrema facilità. La sfida per la maggior parte dei musulmani, che vivono la propria fede con serenità e non come strumento di riscatto o di contrasto verso il prossimo, è molto difficile perché sono chiamati a convincere i propri giovani e insegnare loro che tutto ciò è sbagliato.

In un post ha scritto che “dobbiamo fare fronte comune contro l’odio e l’oscurantismo”. A che punto è, per lo meno in Italia, questo sforzo di fare fronte comune? Mi riferisco sia in quanto rappresentanza islamica verso il mondo esterno che come esempio all'interno della comunità.

Ci stiamo lavorando. Il coro di chi parla contro il terrorismo secondo me è in aumento. Ci sono più persone che prendono consapevolezza e utilizzano le giuste parole. Questo porta dei frutti anche nelle parole utilizzate dai politici. Nessuno avrebbe immaginato che il cancelliere austriaco avrebbe potuto utilizzare parole equilibrate, dicendo che la colpa è dei terroristi e che i musulmani non sono tutti nemici. Altri discorsi sensati li ho sentiti dalla prima ministra neozelandese o da Justin Trudeau in Canada. E poi non posso non citare il Papa, che ha invitato a isolare gli individui violenti. Anche dentro le comunità, ci sono sempre più persone che condannano e le cui voci si avvicinano. E’ vero, ci sono tante sigle (UCOII, COREIS, la Grande Moschea di Roma, la Confederazione islamica). Nel loro impegno, sia nei confronti dello stato italiano che nel rappresentare i cittadini islamici, vedo che cercano di unire le energie in uno sforzo comune contro l’estremismo.

Ma io voglio che si faccia fronte comune soprattutto con i non musulmani: non possiamo dividerci, ogni volta che dimostriamo vicinanza e unione, la risposta a chi fa il male è più efficace. Stando insieme non cediamo ai loro attacchi ma ci dimostriamo più forti. Io spero che questo possa restringere ulteriormente il campo di azione dei cattivi maestri verso i giovani facilmente manipolabili.

Ci sono figure esemplari che stanno emergendo in questo momento così complicato?

Il giorno dopo l’attentato di Charlie Hebdo ho parlato durante una delle dirette che faccio quotidianamente esaltando Lassana Bathily. 

L'Associazione Giardino dei Giusti di Milano gli ha dedicato un cippo al giardino cittadino.

Questo è molto bello. Lavorava nell'alimentari kosher come dipendente e ha salvato delle vite, per la maggior parte di fede ebraica. Io penso che azioni eclatanti come queste vadano esaltate, ne parlo sempre in modo positivo. Si tratta di azioni immediate di contrasto, fatte mettendo la propria vita contro chi mostra violenza verso innocenti. Ma se faccio un quadro più ampio voglio ricordare l’impegno di Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyib per il dialogo attraverso il Documento sulla fratellanza umana. O l’ultima enciclica del Pontefice. Sono documenti fondamentali perché non salvano solo vite umane ma spengono i fuochi che taluni cercano di alimentare. Chi fa un atto come quello dei due turchi e del palestinese che hanno prestato soccorso a Vienna deve essere premiato. I buoni esempi vanno promossi, si fa grande notizia del male e poco delle azioni di bene. Ma non dimentichiamo chi lavora preventivamente per scoraggiare ogni azione di male.

Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo

9 novembre 2020

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