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Sahar Khodayari, la "blue girl" che andò allo stadio sfidando la polizia morale iraniana

di Fabio Poletti

Quando il 25 agosto del 2002 cinquecento donne hanno potuto assistere ad una partita di calcio nello stadio Azadi di Teheran, dagli spalti hanno cantato in coro "Blue Girl" di Stevie Wonder: «Bambina, sei triste. Anche se tutto quello che hai è visibile a te dentro il tuo cuore, resta una parte. È come se il cielo fosse blu». "Blue Girl" era come veniva chiamata Sahar Khodayari, 29enne originaria del villaggio di Salm in Iran, che il 29 settembre 2019 è morta dopo essersi data fuoco, per non sottostare al processo che la vedeva imputata per essere entrata in abiti maschili nello stadio, interdetto alle donne dal 1981, due anni dopo l’ascesa al potere dell’ayatollah Ruhollah Khomeini. 

Una protesta contro il velo e per esibire i propri capelli che da quarant’anni infiamma le donne iraniane, di ogni ceto e di ogni professione. Dalla nuotatrice Elham Ashgari costretta - per nascondere le sue forme - a scendere in acqua con un costume che può pesare fino a sei chilogrammi, alla giudice della Corte Suprema Shirin Ebadi, Nobel per la pace nel 2003 (premio che le venne poi sequestrato sei anni dopo dalla polizia morale). Dalla giornalista in esilio Masih Alinejad, fondatrice del movimento femminista “My Stealthy Freedom” (la mia libertà clandestina), alle proteste represse con ferocia dal regime iraniano in seguito alla morte di Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale perché aveva una ciocca che fuoriusciva dal velo.

Centinaia di donne arrestate o immolatesi per protesta, come Sahar Khodayari detta "Blue Girl", una giovane colta, laureata in inglese e in ingegneria informatica. Dopo aver lasciato i genitori e una sorella più giovane nel piccolo villaggio della contea di Kiar, Sahar Khodayari si era trasferita a Teheran. Da sempre tifosa della locale squadra di calcio dell’Esteghlal FC che milita nel massimo campionato iraniano e ha il blu come colore sociale, si era scontrata con il quasi quarantennale divieto di accesso alle donne allo stadio. A nulla erano valse le proteste verso il governo di Teheran della FIFA, l’organizzazione mondiale che sovrintende a tutti i campionati di calcio, così come le prese di posizione di atleti ed intellettuali di tutto il mondo.

Il 12 marzo 2019, pur di assistere all’incontro tra la sua squadra del cuore e gli emiratini dell’Al-Ain, valido per la Coppa d’Asia, Sahar Khodayari si era procurata un biglietto ed era entrata nello stadio Azadi travestita da uomo, con una parrucca blu come il colore dell’Esteghlal Fc e un lungo cappotto. Dalle tribune si era fatta anche un selfie che poi aveva pubblicato su Facebook con le emoticon di una ragazzina sorridente, un volto pieno di stupore e un cuore ovviamente blu.

Una leggerezza che aveva fatto scattare l’allarme della sicurezza dentro lo stadio. La sorella di Sahar ha poi raccontato all’agenzia di stampa Rokna: «Le guardie allo stadio l’avevano notata, mia sorella ha fatto resistenza ma poi ha ammesso il travestimento e così l’hanno arrestata». Per cercare di alleviare la sua posizione la sorella aveva aggiunto che Sahar soffriva di disturbi bipolari e da due anni era sotto trattamento farmacologico. Rinchiusa nel carcere femminile di Sharh-e Rey nella provincia di Varamin, un ex allevamento di polli dove le donne colpevoli di crimini violenti sono detenute in sovraffollamento e in condizioni igieniche inaccettabili, Sahar Khodayari era stata rilasciata due giorni dopo su cauzione ed era stata rinviata a giudizio per una lunga serie di reati da un giudice, membro del clero in carica, che ha applicato i dettami della Sharia, la legge islamica.

Sahar Khodayari doveva rispondere di "aver commesso atti peccaminosi non indossando l’hijab in luogo pubblico" e "offesa a pubblici ufficiali". Convocata a comparire il 2 settembre 2019 davanti al Tribunale rivoluzionario di Teheran, l’udienza era stata rimandata di qualche giorno perché il giudice aveva avuto un impedimento familiare. Dopo aver appreso del rinvio la ragazza si era recata in procura per chiedere la restituzione dello smartphone che le era stato sequestrato, come prova a suo carico per quel selfie che aveva postato su Facebook. La restituzione le era stata negata in attesa del processo e della relativa sentenza, ma in cancelleria l’avevano avvisata della sicura condanna da un minimo di sei mesi fino a un massimo di due anni di carcere per atti contro la moralità.

Sconvolta all’idea di finire in carcere e di vedere definitivamente cancellata la sua vita professionale, oltre che desiderosa di compiere un ultimo clamoroso gesto di protesta contro il divieto alle donne di entrare negli stadi, Sahar Khodayari si era procurata una tanica di benzina, cospargendone l’hijab che indossava prima di darsi fuoco davanti al Tribunale rivoluzionario. Ricoverata con ustioni di terzo grado sul 90% del corpo, Blue Girl è poi deceduta il 9 settembre dopo una settimana di agonia, senza mai riprendere conoscenza. Un gesto che ha fatto il giro del mondo, alimentando la protesta di altre donne contro l’uso del velo nei Paesi musulmani.

Secondo l’agenzia di stampa tedesca DW "Blue Girl" venne poi condannata a sei mesi di carcere, mentre ancora era ricoverata in ospedale. La condanna è stata poi smentita da Gholan Hossein Ismaili, portavoce del Tribunale rivoluzionario. Secondo le autorità iraniane il suo gesto di disperata ribellione andava catalogato come "un incidente" ma la sua protesta aveva provocato un’ondata di indignazione internazionale. La FIFA era nuovamente intervenuta facendo pressioni sul governo di Teheran. Diversi calciatori e sportivi chiesero che venisse intestato a "Blue Girl" lo stadio Azadi. Il 12 settembre 2019 venne arrestata l’attrice iraniana Saba Kamali per aver pubblicato un messaggio su Instagram in ricordo di Sahar Khodayari. Nelle settimane successive altre donne tifose dell’Esteghlal FC cercarono provocatoriamente di entrare nello stadio con abiti da uomo. A ottobre di quell’anno ci fu una prima apertura del governo di Teheran concedendo a tremila donne di entrare nell’impianto sportivo, in un settore rigorosamente separato da quello maschile. Il divieto di accesso alle donne, in vista dei mondiali di calcio in Qatar del 2022, è definitivamente caduto la stessa estate quando cinquecento di loro hanno potuto assistere all’incontro tra l’Esteghlal FC e il Mes-e Kerman, vinto poi 1 a 0 dalla squadra di cui era tifosa "Blue Girl". Sahar Khodayari è sepolta nel cimitero Behesht-e Fatemeh di Qazvin, nell’Iran Nord Occidentale.

Fabio Poletti, giornalista, NuoveRadici.world

27 settembre 2022

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