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Memorie dei sopravvissuti e analisi storica

il genocidio armeno in un convegno a Milano

Le donne armene durante la deportazione hanno superato prove durissime, come la scelta di quale figlio fare sopravvivere e quale abbandonare durante l’estenuante marcia verso il deserto siriano. Alla loro forza morale è stata dedicata la relazione di apertura del convegnoIl genocidio armeno tra storia e memoria”, organizzato a Milano dall’Unione armeni, dal Consolato Onorario della Repubblica d’Armenia e da Gariwo – la foresta dei Giusti, il 24 aprile nel centenario dello sterminio ordinato nel 1915 dal governo dei Giovani Turchi per eliminare una minoranza considerata nemica e creare uno Stato turco etnicamente omogeneo. 
Per celebrare questa ricorrenza la sala che ospitava il convegno è stata collegata via satellite con Yerevan, capitale dell’Armenia, per la toccante cerimonia a Dzidzernagapert (la Collina delle Rondini), dove sorge il Memoriale per le vittime del “primo genocidio del ‘900”, come lo ha definito Papa Francesco in un recente intervento, suscitando forti reazioni da parte del governo turco.

Nel convegno di Milano la narrazione delle vicende individuali e le memorie dei sopravvissuti si sono alternate alle analisi dei fatti storici. Antonia Arslan, scrittrice, saggista e autrice del romanzo “La masseria delle allodole”, ha rievocato le violenze subite dalle donne, rimaste sole dopo l’arresto o l’uccisione dei mariti, e la loro straordinaria capacità di resistere, mentre Gabriella Uluhogian (docente di Lingua e Letteratura armena all’Università di Bologna) ha rivelato un “tesoretto” di memorie familiari, tramandate nei racconti orali e nelle lettere scritte da donne sopravvissute, che erano bambine nel 1915 e ricordavano i tragici fatti di allora.

Sul fronte della ricerca storica Giulia Lami (docente di Storia dell’Europa orientale, Università Statale di Milano) e Luca Maggioni (ricercatore esperto di Storia delle relazioni internazionali, Università Statale di Milano) hanno analizzato la posizione dello storico britannico Arnold Joseph Toynbee rispetto alla questione armena. Su indicazione di Lord Bryce, statista, studioso, consigliere del partito liberale inglese, da tempo interessato alle vicende della popolazione armena, Toynbee aveva raccolto un'ampia documentazione sui massacri degli armeni basata su testimonianze provenienti in parte da fonti diplomatiche americane, pubblicata nel 1916 come Libro Blu - Il trattamento degli armeni nell’impero ottomano. Secondo Toynbee dietro le atrocità turche contro gli armeni c’erano uno schema, una premeditazione, una regia, derivanti non da una matrice religiosa, ma piuttosto ideologica e politica. Dopo il 1923 Toynbee si avvicinò alla neo-costituita Repubblica turca e ad Ataturk, ma ciò nonostante continuò a parlare dei massacri degli armeni, che più avanti, in un testo del 1960, definì “genocidio” utilizzando il termine secondo la definizione adottata ufficialmente dall’Onu.

Tra le figure esemplari nella battaglia contro il negazionismo è stato ricordato Armin T. Wegner, “primo e più importante testimone dello sterminio del popolo armeno attraverso le fotografie scattate quando era ufficiale sanitario dell’esercito tedesco in Anatolia durante la Prima guerra mondiale” ha detto Gabriele Nissim, Presidente di Gariwo e autore del libro “La lettera a Hitler. Storia di Armin T. Wegner, combattente solitario contro i genocidi del Novecento” , da poco pubblicato. Wegner fu riconosciuto Giusto per gli armeni e gli ebrei, poiché, rientrato in Germania, nel 1933 scrisse una lettera a Hitler per protestare contro la persecuzione degli ebrei appena iniziata.

Nel convegno si è parlato anche di “Giusti ottomani”, perché bisogna “distinguere tra lo stato turco e la popolazione turca”, ha ricordato Pietro Kuciukian, Console onorario della Repubblica d’Armenia, da anni impegnato a rintracciare gli ottomani che salvarono gli armeni. "Parlare dei Giusti Turchi ora è meno difficile dopo le parole del Papa, che nessuno si aspettava così chiare" ha detto il Console. 

Agop Manoukian (sociologo e presidente del Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena) ha ripercorso invece il cammino della diaspora armena in Italia, dall’arrivo dei primi profughi tra il 1894-96 e il 1920, alla creazione delle varie organizzazioni della comunità, evidenziando il contributo dato da queste alla società italiana.

Infine l’intervento di Aldo Ferrari (Professore di Lingua e letteratura armena all'Università Ca' Foscari di Venezia) ha portato l’attenzione sullo stato di degrado e abbandono del patrimonio artistico armeno in Turchia, documentato dalle fotografie di monumenti e chiese in rovina. “Un genocidio culturale, che va dalle falsificazioni storiografiche - come nel caso delle rovine dell’antica capitale armena, Ani, dove ci sono didascalie false che parlano di bizantini e georgiani, ma mai di armeni - alla distruzione o non manutenzione di migliaia di monumenti, soprattutto chiese, in Anatolia. Negli ultimi anni però si sono visti segnali di miglioramento con il restauro di alcune chiese, come quella sull’isola di Akdamar e nelle città di Diyarbakir e Kayseri”, ha detto il relatore. 

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