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Perché il riconoscimento del genocidio armeno da parte degli Stati Uniti è importante

Anche se simbolica, la dichiarazione del Presidente Biden è un impegno per la prevenzione di tutti i genocidi, la lotta al negazionismo e la difesa dei diritti umani

Il 24 aprile, in occasione del 106esimo anniversario del genocidio armeno, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha rilasciato una dichiarazione ufficiale dalla Casa Bianca che definiva quanto accaduto agli armeni cristiani tra il 1915 e il 1916 nell’allora territorio ottomano un “genocidio”. La dichiarazione, in parte attesa e non inaspettata, va letta anche come il risultato dell’inasprimento delle relazioni tra Stati Uniti e Turchia a seguito delle politiche sempre più autoritarie di Erdogan.

Già nel 2019 sia la Camera che il Senato statunitensi avevano votato per il riconoscimento del genocidio armeno ma, fatta eccezione per una breve allusione al genocidio armeno da parte di Ronald Reagan in una nota sull’Olocausto del 1981, Biden è il primo Presidente degli Stati Uniti a riconoscere ufficialmente il genocidio armeno. Tutti i presidenti prima di lui, infatti, si erano astenuti dal riconoscerlo per non inasprire le relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Turchia, entrambi membri della NATO.

La dichiarazione non è stata accolta bene dalla Turchia, che si è sempre rifiutata di definire il massacro degli armeni un genocidio: il ministro degli esteri turco ha detto che la dichiarazione di Biden è infondata sia dal punto di vista legale che accademico. In realtà c’è largo consenso tra gli accademici e gli esperti di genocidi sul fatto che gli armeni cristiani abbiano subito un genocidio, come dimostrato da questa lettera del 2006 firmata dalla International Association of Genocide Scholars e da questo appello firmato tra gli altri da Yehuda Bauer, uno dei più autorevoli studiosi della Shoah. Per quanto riguarda il riconoscimento del genocidio in ambito giuridico, invece, l’ONU ha detto tempo fa che non è solita esprimersi per quanto riguarda eventi accaduti prima della propria fondazione, e si tratta comunque di un argomento molto dibattuto. 

Anche se la dichiarazione di Biden ha un valore soprattutto simbolico, il riconoscimento del genocidio armeno da parte degli Stati Uniti ha implicazioni politiche e culturali molto importanti, su cui vale la pena di riflettere. Il termine “genocidio” fu coniato dal giurista ebreo polacco Raphael Lamkin, che contribuì all’approvazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione dei genocidi da parte delle Nazioni Unite nel 1948. Anche quando usata nella sua accezione comune e non giuridica, la parola “genocidio” indica il più grave dei crimini e porta con sé il ricordo del contesto in cui questa parole fu coniata, cioè lo sterminio degli ebrei durante la Shoah, così come della promessa alla base della Convenzione, cioè l’idea che il crimine di genocidio non dovesse ripetersi “mai più”. Questo impegno emerge chiaramente dalle parole del Presidente Biden, che nella sua nota commemorativa per il genocidio armeno scrive: “ogni anno in questo giorno ricordiamo le vite di tutti quelli che sono morti nel genocidio armeno ai tempi dell’impero ottomano, e ci impegniamo a prevenire una tale atrocità, facendo in modo che non accada mai più”. E ancora, a proposito degli immigrati armeni negli Stati Uniti: “rendiamo onore alla loro storia. Capiamo il loro dolore. Affermiamo quello che è successo nella storia. Non lo facciamo per gettare biasimo, ma per assicurarci che quanto è accaduto non accada mai più”. Nello stesso spirito, il ministro degli esteri armeno Ara Aivazian ha detto che “il riconoscimento del genocidio armeno da parte degli Stati Uniti dovrà servire come esempio morale per tanti altri paesi” e che il riconoscimento “non riguarda l’Armenia o la Turchia”, ma “il nostro obbligo a riconoscere e condannare i genocidi passati, presenti e futuri”.

In questo senso, la dichiarazione di Biden è anche una esplicita presa di posizione nei confronti del negazionismo che continua a contraddistinguere la Turchia rispetto al genocidio degli armeni. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha infatti sempre negato l’esistenza di un genocidio contro gli armeni. Con quella che lo storico Eldad Ben Aharon ha definito una “forma davvero sofisticata di negazionismo”, Erdoğan era arrivato anche a dire che gli armeni erano morti insieme a tante altre persone che avevano perso la vita durante la Prima guerra mondiale.

Il riconoscimento del genocidio armeno da parte del presidente Biden rappresenta anche un impegno per la difesa dei diritti umani: “ricordiamo – ha detto Biden – per restare sempre vigili contro la corrosiva influenza dell’odio, in tutte le sue forme”. “Oggi, mentre piangiamo ciò che è perso, rivolgiamo anche i nostri occhi al futuro – verso il mondo che vogliamo costruire per i nostri figli. Un mondo senza il male quotidiano del fanatismo e dell’intolleranza, in cui i diritti umani vengano rispettati, e in cui tutte le persone possano vivere le proprie vite con dignità e sicurezza”.

Con le sue parole, Biden ha voluto anche comunicare che la commemorazione di un genocidio implica necessariamente un’attenzione ad altri contesti in cui tali crimini possono accadere o essere accaduti. Secondo Howard Eissenstat, professore di storia mediorientale alla St. Lawrence University a New York, la richiesta della comunità armena americana di veder riconosciuto il proprio massacro come genocidio è nata proprio su queste basi. In un’intervista pubblicata su Haaretz, Eissenstat dice che la comunità armena statunitense si è progressivamente rispecchiata sia nei racconti legati all’Olocausto – grazie alle commemorazioni pubbliche della Shoah sempre più frequenti negli Stati Uniti dopo il 1967 – che nella pulizia etnica dei Balcani avvenuta a metà anni ’90. In entrambi i casi, dice Eissenstat, la seconda generazione di armeni americani si è identificata in quelle violenze capendo che “il genocidio è un evento ricorrente e non singolare”.

Il Console Onorario della Repubblica di Armenia in Italia e co-fondatore di Gariwo, Pietro Kuciukian, ha accolto la dichiarazione di Joe Biden con queste parole:

La via della verità ci conduce alla dichiarazione del Presidente degli Stati Uniti che pone al centro i temi universali dei diritti umani, della libertà, dignità e sicurezza di ogni essere umano.

Nel messaggio del 24 aprile, 106° anniversario del genocidio del popolo armeno, il presidente Joe Biden sottolinea con forza che il genocidio perpetrato nell’Impero Ottomano nel 1915 ha lasciato una ferita profonda nella storia degli armeni, e chiama all’impegno affinché simili atrocità non accadano mai più.

Ricorda che un milione e mezzo di armeni sono stati deportati e massacrati, e che questi orrori devono essere consegnati alla memoria attuale, non abbandonati, perduti nella storia. Richiama inoltre la necessità di vigilare contro l’influenza corrosiva dell’odio in tutte le sue forme e ricorda con quanta forza e resilienza il popolo armeno è riuscito a risorgere in patria e in diaspora, a ricostruire le comunità.

La diaspora armena negli Stati Uniti ha arricchito la realtà del paese e i figli dei sopravvissuti non hanno mai dimenticato la tragica storia dei padri giunti sulla terra americana: “…Voi conoscete l’animo del forestiero, perché siete stati forestieri”. Biden onora la storia dei padri, condivide il dolore dei figli, fa propria la loro memoria. La condivisione di questi tragici fatti del passato non ha come fine il biasimo e la condanna ma la prevenzione, garantire che il male estremo non si ripeta. Il presidente americano guarda al futuro del mondo che vorrebbe per i suoi figli: un mondo libero dal fanatismo e dalla intolleranza, un mondo in cui domini il rispetto dei diritti, un mondo dove tutti possano vivere liberi, in dignità e sicurezza.

Conclude con l’auspicio che si apra la strada alla riconciliazione di tutti i popoli della terra ribadendo ancora una volta di riconoscere il genocidio subìto dal popolo armeno.

Ritengo che il Primo ministro Mario Draghi con le sue recenti considerazioni abbia aperto una strada nuova abbandonando la prudenza del “politically correct”, per imboccare la via della verità, affidandosi alla memoria etica collettiva condivisa.

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