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"Al fondo dell'uomo c'è la bontà"

intervista a Claire Ly

Claire Ly autografa i suoi libri alla Cerimonia dei Giusti 2012 (foto di Gariwo)

Claire Ly autografa i suoi libri alla Cerimonia dei Giusti 2012 (foto di Gariwo)

di Carolina Figini, 30 gennaio 2013


Gabriele Nissim, Presidente di Gariwo e autore de La Bontà insensata, ha partecipato il 30 gennaio al Centro PIME di Milano all’incontro “La traversata del male” con Claire Ly, testimone del genocidio cambogiano onorata con un albero al Giardino dei Giusti di Milano. 


Nello sterminio ordito dai khmer rossi Claire ha perso il marito, il padre e due fratelli. Nel gulag ha intrapreso un cammino spirituale che le ha permesso, dopo quarant’anni, di elaborare il passato e condividere i suoi ricordi con gli altri attraverso conferenze e libri. 


In questo percorso ha cambiato religione, da quella buddhista a quella cattolica, ed è giunta ad abbracciare il concetto del perdono cristiano. Nel libro La Mangrovia ha scritto che in lei convivono due anime: gli insegnamenti morali delle due grandi religioni. 


La bontà scoperta da Claire e l’esperienza di Giusti saranno al centro della Giornata europea dedicata ai Giusti, il 6 marzo. 


Stasera si parla sia della Shoah che del genocidio cambogiano. Che lezioni si possono trarre da queste tragedie storiche?


Non si possono trarre veramente lezioni, ma si può rendersi conto che la violenza è già nel cuore dell’uomo, è dentro di noi prima di essere nell’altro, e bisogna fare molta attenzione a tutto ciò che è “politica di purificazione”. Nella Shoah i nazisti parlavano di una “razza pura”. Per avere qualcosa di puro si può commettere della violenza. In Cambogia i khmer rossi cercavano una “società pura”. Il problema quindi è la parola “puro”, “purezza”, che portare a politiche di “purificazione”.


Che cosa può fare la comunità internazionale per rendere effettivo e definitivo il “mai più” che si pronuncia dopo le tragedie?


“Mai più” si dice sempre da dopo la Shoah, ma in realtà in Cambogia, in Ruanda si sono ripetuti i genocidi e se ne verificano ancora oggi. Io credo che la comunità internazionale debba vegliare sull’emergere di politiche di purificazione, politiche violente o politiche dove le religioni vengono strumentalizzate a fini violenti. In particolare bisogna vegliare affinché la religione non diventi un motivo d’identità per un popolo. 


Che cosa l’ha aiutata a sopravvivere al genocidio cambogiano? 


Ciò che credo aiuti a sopravvivere credo sia la voglia di vivere. Per me è stato questo. Prima volevo vivere per vendicarmi per il dramma occorso in Cambogia. Questo fu il mio primo sentimento, che poi però si è attenuato. Al momento non ho più alcun desiderio di vendicarmi. Tutti noi abbiamo la tendenza a rispondere alla violenza con la violenza, a vendicarci del male subito. Ma per le vittime c’è la possibilità di compiere un cammino spirituale per apprendere a non rispondere alla violenza con mezzi violenti. Per fare questo bisogna credere a Qualcosa che è più grande di noi. 


Che significato e che importanza può avere la Giornata europea dei Giusti? 


È importanza per affermare che non c’è solo la violenza cieca, alla forza bruta si può rispondere con la bontà. Nel cuore dell’uomo albergano sia la violenza, sia la bontà. C’è un sopravvissuto alla violenza del regime cinese che si chiama François Cheng, che denunciò gli orrori di Mao già durante la guerra e in seguito è divenuto membro dell'Accademia francese. che oppone alla violenza la bontà. La violenza distrugge, invece la bontà ci fa dire che nonostante tutto la vita è bella, e buona. 


Chi sono i Giusti? 


I Giusti non sono superuomini o superdonne, ma prima di tutto sono delle persone che hanno scelto di non seguire ciecamente le politiche di violenza e di purificazione. 


E chi sono i Giusti della Cambogia? 


La maggioranza dei Giusti della Cambogia sono forse i buddhisti che vivevano lontano dalle città. 


Ci può fare dei nomi? 


Io penso alle persone che mi hanno aiutato quando ero nel lager, ma la maggior parte è già morta e comunque per le tradizioni cambogiane non posso fare nomi senza l’autorizzazione delle loro famiglie. 


Lei si considera una Giusta? 


No, semplicemente io sono una che è sopravvissuta e ha scelto di testimoniare per le generazioni future, ma non mi considero veramente una Giusta. 


È modesta. Secondo lei la fede religiosa può servire ai giovani per apprendere ad amare e rispettare l’altro, o il prossimo come dice il cristianesimo? 


Il fine di tutte le religioni è insegnare all’uomo a essere buono, ma quando la religione non fa questo vuol dire che è dedita ad altro, che ha fallito la propria vocazione. In quei casi fa della politica, della demagogia… Tutti gli uomini hanno bisogno di una religione, ma essa non deve diventare qualcosa di identitario. La mia religione non deve opporsi a quella dell’altro perché altrimenti si arriva a delle chiusure e non ci si riesce più ad ascoltare. La fede vuol dire credere in Qualcosa di più grande di noi, più grande del proprio Paese, più grande dell’identità, e che rimanga aperto a ogni dialogo possibile. 


Ha in programma di scrivere altri libri? 


Non so, sono una donna e quindi quando scrivo un libro è come se portassi in grembo un bambino con tutto ciò che questo comporta: il concepimento, le cure, il parto, l’allevare la piccola creatura...  Al momento vorrei riscrivere il mio ultimo libro, La Mangrovia, in cambogiano. 


In Cambogia non sono state processate molte persone per i crimini dei khmer rossi. Come mai l’azione del tribunale internazionale della Cambogia è stata piuttosto limitata? Se la sente di parlare di questi processi? 


Penso che il Tribunale Internazionale della Cambogia non abbia rispettato la cultura locale. Ha imposto dei punti di vista occidentali e questo gli ha impedito di funzionare. C’è stato un malinteso culturale con il popolo khmer. 


Ci può spiegare?


Si potrebbero fare molti esempi. Un fraintendimento riguarda il fine della giustizia, che dev’essere sì quello di punire e condannare i carnefici, ma anche quello di riparare i danni causati alle vittime. Questo tribunale è stato incapace di farlo. Inoltre la giustizia deve anche sviluppare una convivenza civile nell’armonia. I legami sociali non sono stati sviluppati come si sarebbe dovuto considerando che quel che accadde in Cambogia non fu esattamente un genocidio ma prima di tutto un fratricidio. Inoltre la giustizia vuol dire anche realizzare quel “mai più” di cui abbiamo parlato in precedenza. Per questo è necessario capire le cause, perché ci sono stati i khmer rossi etc… E il tribunale penale internazionale si è occupato degli anni 1965-1979, non degli anni precedenti che hanno portato alla presa del potere dei khmer rossi. Per questo non ha funzionato. 


Che cosa pensa della persecuzione dei cristiani nel mondo? 


La persecuzione ha a che fare con la politica, politiche che utilizzano la religione come criterio d’identità. Questo provoca la violenza. Bisogna che le religioni apprendano che non sono assolute, che ciascuna di esse è il frutto di uno sviluppo storico e sociale. La religione forse dovrebbe temperare anche un po’ il suo proselitismo. 


Che cosa pensa degli attacchi dei fondamentalisti islamici ai monumenti di altre fedi, sia chiese che templi buddhisti come in Afghanistan o in varie zone dell’Africa?


 Io penso che chi commette questo non sia veramente un religioso, ma un terrorista. Se sono dei musulmani, hanno tradito la loro fede perché non credo che l’Islam sia nato per educare la gente alla violenza. L’Islam come tutte le religioni è nato per tirare fuori dall’uomo il suo fondo di bontà. Inoltre quelle statue e quelle chiese appartengono all’umanità. 

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