
Dal 17 aprile 1975 al 1979 i Khmer rossi guidati da Pol Pot attuarono un processo di epurazione che uccise oltre 1.500.000 persone. Lo scopo del regime di stampo comunista fu quello di reinstaurare un sistema economico contadino con il trasferimento forzato di persone dalle città alle campagne per lavorare nelle fattorie collettive, attraverso la persecuzione di coloro che erano considerati "intellettuali" e legati a un’organizzazione della società di stampo capitalista. La specificità del genocidio attuato in Cambogia, quindi, consistette nel fatto che esso non aveva basi etniche ma unicamente basi culturali in senso lato. Per esempio, chi portava gli occhiali o chi aveva le mani troppo pulite era immediatamente ucciso come “nemico del popolo”. Molte famiglie vennero distrutte e molti bambini strappati ai genitori. Gli autori materiali dello sterminio furono una massa di giovani, per lo più di provenienza contadina, manovrati da un'élite dirigente che cercava con la forza di ottenere il totale controllo del Paese.
Tra le famiglie distrutte ci fu anche quella di Bun Sen e Bun Chea, due sorelle che, incontratesi per l’ultima volta nel 1973, non ebbero più l’occasione di ritrovarsi proprio a causa dello scoppio delle persecuzioni, fino ad arrivare a credere entrambe che l’altra non ce l’avesse fatta a sopravvivere al genocidio.
Bun Sen, 98 anni, perse il marito sotto il regime di Pol Pot e si stabilì più tardi vicino alla nota discarica Stung Meanchey, nella capitale Phnom Penh. Per tanto tempo passò i suoi giorni rovistando nella spazzatura, cercando qualche materiale riciclabile da vendere e prendendosi cura dei bambini del quartiere. Da sempre, il suo più grande sogno è stato quello di ritornare al suo villaggio nella provincia di Kampong Cham, a 90 km da Phnom Penh. Numerosi fattori, tra cui l’età avanzata e la difficoltà di deambulazione, hanno reso il suo viaggio molto difficile.
L’ONG locale Cambodian Children’s Fund – che si occupa di Bun Sen dal 2004 – ha deciso quindi di assumersi il compito di organizzarle una visita al suo vecchio villaggio. Poco tempo dopo, durante le ricerche, l'organizzazione ha scoperto qualcosa di inaspettato: la sorella e il fratello di Bun Sen erano ancora vivi, e vivevano proprio dove lei sognava di tornare.
Così, all’età di 98 anni, Bun Sen ha potuto fare ritorno al suo villaggio e riabbracciare sua sorella maggiore e suo fratello minore. “Ho lasciato il mio villaggio tanto tempo fa e non sono mai ritornata. Ho sempre pensato che i miei fratelli e sorelle fossero tutti morti. Riuscire a tenere la mano di mia sorella maggiore significa moltissimo, e la prima volta che mio fratello mi ha preso la mano ho iniziato a piangere”, ha detto Bun Sen, come riportato dalla BBC.
Anche Bun Chea, 101 anni, come la sorella divenne vedova dopo la morte del marito per mano dei Khmer rossi e si ritrovò con 12 figli da crescere. Sola e con la convinzione che sua sorella fosse stata uccisa. “Tredici nostri parenti sono stati assassinati da Pol Pot e pensavamo che anche Bun Sen lo fosse stata. È passato così tanto tempo”, racconta Bun Chea. ”Abbiamo parlato tanto di lei, ma mai avrei pensato di rivederla ancora”.
Dopo essersi riabbracciate dopo 47 anni dall’ultima volta, le sorelle hanno deciso di fare un tour della capitale insieme. Un epilogo felice di una storia commovente, che ci ricorda come, nonostante tutto, non sia mai troppo tardi per recuperare il tempo perduto.
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