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Giustizia per le vittime dei Khmer Rossi

condanna all'ergastolo per due dei "Grandi Fratelli"

“Un giorno storico per i cambogiani e per l’umanità”. Con queste parole si è rivolto ai giornalisti Chan Tani, segretario di Stato della Cambogia, dopo aver udito il verdetto dell’Alta Corte della Camera Straordinaria per la Cambogia (ECCC) contro due Khmer Rossi.
La Corte ha infatti confermato le condanne all’ergastolo per Nuon Chea (90 anni, il “fratello numero 2” del regime) e Khieu Samphan, 85 anni, ex capo di Stato.

La sentenza di primo grado era stata emessa nell’agosto 2014 dalla Camera Straordinaria - un tribunale misto insediatosi nel 2006, istituito da un accordo del 2003 tra il Paese e le Nazioni Unite per giudicare i crimini commessi dal regime di Pol Pot - che aveva condannato i due uomini all’ergastolo per crimini contro l’umanità, per le deportazioni forzate delle popolazioni e per le esecuzioni dei soldati a Toul Po Chrey. I due più importanti esponenti del regime khmer ancora in vita sono stati quindi chiamati a rispondere in tribunale dell’uccisione di oltre un milione e mezzo di connazionali.

Il regime dei Khmer Rossi è stato responsabile di un genocidio che dal 1975 al 1979 potrò alla morte di quasi un abitante su sei del Paese del sud-est asiatico. Una volta entrati a Phnom Penh il 17 aprile 1975, i cosiddetti “Grandi Fratelli” misero in atto un regime di terrore, attraverso l’eliminazione delle minoranze religiose e degli elementi legati al vecchio sistema di potere, la deportazione di centinaia di migliaia di persone dalle città alle campagne e la creazione di un vero e proprio sistema concentrazionario basato su centri di “rieducazione”.

“Stiamo vivendo il momento più importante per la giustizia internazionale dal processo di Norimberga”, ha dichiarato David Scheffer, inviato speciale delle Nazioni Unite alla Corte della Cambogia. Il processo è stato seguito anche dalle vittime delle violenze, che hanno raggiunto in autobus i cancelli del Tribunale o hanno richiesto di installare schermi nelle aree rurali del Paese per ascoltare in diretta il verdetto.

Un verdetto che ha fissato anche diverse riparazioni per le vittime: oltre all’aiuto terapeutico per affrontare il trauma riconosciuto a 200 vittime costituitesi parte civile, la sentenza ha stabilito la nascita di un Giorno nazionale per onorare le vittime e i sopravvissuti dei Khmer Rossi, la creazione di un monumento in onore “di quanti non sono più qui”, l’aggiunta di un nuovo capitolo nei libri di scuola sulla Storia della Kampuchea Democratica, nel quale si trattino anche le evacuazioni forzose e le esecuzioni.

Un giorno storico per i cambogiani, quindi, che risponde alle polemiche che la Camera Speciale ha suscitato negli ultimi anni. Soprattutto per i pochissimi verdetti emessi: solo tre condanne, contro Nuon Chea, Khieu Samphan e il direttore del centro di tortura S-21 Kaing Guek Eav, alias “Duch”. Ci sono stati anche altri imputati illustri, come Ieng Sary, numero tre del regime, e sua moglie Ieng Thirith, ma sono deceduti nel corso del processo ai loro danni.

Al momento, la Camera sta indagando contro altre quattro persone, e anche contro Nuon Chea e Khieu Samphan pende un’altra condanna per il genocidio dei vietnamiti e della minoranza musulmana cham.

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