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Vann Nath, il pittore dei Khmer rossi

testimone del genocidio in Cambogia

Il 17 aprile ricorre l'anniversario del genocidio cambogiano ad opera dei Khmer rossi guidati dal regime di Pol Pot. Tra il 1975 e il 1979 la Cambogia soffrì uno dei più atroci e violenti processi di epurazione del XX secolo. 

L'incubo iniziò quando i Khmer rossi invasero Phnom Penh, la capitale della Cambogia, prendendo il controllo del Paese. Il tentativo di Pol Pot e dei Khmer rossi era quello di trasformare la Cambogia in una cooperativa agraria, di stampo maoista, dominata dalla classe agricola. Coloro che venivano considerati "nemici del popolo", in primo luogo i politici e gli amministratori del precedente regime, gli intellettuali, i liberi professionisti, gli insegnanti e tutti coloro che in un modo o nell’altro esercitavano attività lontane dal lavoro manuale - bastava essere istruiti o portare gli occhiali per essere definiti tali - venivano immediatamente uccisi. La popolazione sopravvissuta venne deportata nelle campagne e costretta a lavorare nelle piantagioni di riso e di iuta, pena la morte.

Complessivamente il regime dei Khmer Rossi fu responsabile dell’uccisione di circa un quarto della popolazione cambogiana in soli 4 anni, a causa di malnutrizione, assenza di strutture mediche, eccesso di carichi di lavoro, torture e uccisioni di massa. 

Paradossalmente, nello sterminio che costò la vita a oltre un milione e mezzo di persone, i Khmer rossi risparmiarono il pittore Vann Nath, proprio colui che, con la sua arte, avrebbe poi riprodotto le atrocità del genocidio.

Vann Nath nacque in povertà nel villaggio Phum Sophy della provincia di Battambang, in Cambogia, nel 1946. Da bambino fu istruito nella pagoda Wat Sopee. La sua famiglia era così povera che Nath non ebbe la possibilità di completare gli studi. Mentre studiava iniziò ad essere attratto dalla pittura, ma invece di seguire la sua vocazione, diventò monaco. Quando sua sorella morì, Vann Nath abbandonò il monastero per aiutare a mantenere la sua famiglia. Nel 1965 si iscrisse, nonostante le difficoltà economiche, in una scuola privata di disegno. In seguito la scuola consentì a Vann Nath di lavorare lì in cambio della retta. Dopo due anni, il giovane si guadagnava da vivere col suo lavoro di disegnatore.

Nel 1975, la vita di Vann Nath fu sconvolta dai ragazzi soldato dei Khmer rossi, e nel 1978, come milioni di altre persone, il pittore fu arbitrariamente arrestato, mentre lavorava in un campo di riso. Fu accusato di violazioni contro l’Angkar (Partito Comunista di Kampuchea), violazioni in gran parte incomprensibili e infondate. Una settimana dopo, fu trasferito e deportato a Tuol Sleng, il campo di detenzione, tortura ed esecuzione di Phnom Penh noto come S-21.

La sua passione per la pittura gli salvò la vita. Il regime infatti lo risparmiò per dipingere ritratti di Pol Pot e ciò gli permise di giungere vivo alla fine della dittatura. Tra le migliaia di esseri umani che si stima siano morti a Tuol Sleng, citati in giudizio da un infernale meccanismo di tortura burocratica, solo una dozzina uscirono vivi dalle sue porte, dopo la liberazione vietnamita della Cambogia nel 1979. Uno di questi fu l’umile e silenzioso pittore.

Vann Nath ha dipinto numerosi quadri che ritraggono scene di crimini e violenze di cui è stato protagonista o testimone all’interno della prigione S-21. Le sue immagini – di persone detenute, che vengono torturate, mutilate con martelli e sottoposte a waterboarding – sono diventate una preziosa testimonianza di quell'omicidio di massa. 

Dopo la caduta dei Khmer rossi, Vann Nath ha dedicato la sua vita alla memoria. Lavorò all'apertura del Museo del genocidio e ricostruì con grande sofferenza gli orrori del regime, dipingendo ciò che ricordava degli arresti, delle torture, degli omicidi. Inoltre, testimoniò al Tribunale speciale per i Khmer rossi, e i suoi dipinti vennero usati come prove, contribuendo alla condanna all'ergastolo di Duch, il feroce direttore della prigione, per i suoi crimini "scioccanti e atroci" contro il popolo cambogiano.

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