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Ruanda: morto Theoneste Bagosora, “mente” del genocidio

fu a capo della milizia hutu Interahamwe

Il colonnello Théoneste Bagosora, considerato il principale istigatore del genocidio dei tutsi nel 1994, è morto lo scorso sabato all’età di ottant’anni, in Mali, dove era stato detenuto nel carcere di Koulikoro dalla sua condanna nel 2011 a 35 anni di carcere da parte del Tribunale internazionale per il Ruanda. Da qualche giorno era ricoverato in un ospedale per problemi cardiaci. Ad aprile 2021, gli era stata respinta una richiesta di rilascio anticipato e avrebbe quindi concluso la sua condanna (alleggerita in appello rispetto all’ergastolo in primo grado nel 2008) all’età di 89 anni.

Bagosora non ammise mai la responsabilità dei crimini di cui era accusato, negò ogni coinvolgimento nelle stragi e non si mostrò pentito.

All’epoca del genocidio, ufficialmente Bagosora era direttore di Gabinetto del ministro della Difesa, ma, subito dopo l'attentato all'aereo del presidente Juvénal Habyarimana la sera del 6 aprile 1994, prese di fatto il controllo del Paese dando il via ai massacri della minoranza tutsi, accusata di aver abbattuto l'aereo presidenziale. Bagosora si impose a capo di un "comitato di crisi” senza alcuna legittimità istituzionale, approfittando del caos. Vennero eretti posti di blocco, iniziarono omicidi e saccheggi, eseguiti casa per casa utilizzando elenchi prestabiliti. I morti furono un milione in soli tre mesi. Bogosora rinunciò poi a prendere lui stesso il potere, affidato a un governo civile, composto da estremisti.

Roméo Dallaire, il generale canadese capo delle forze di pace in Ruanda che cercò invano di avvisare l'ONU dell’imminente genocidio, lo definì anni dopo un ometto “paffuto con gli occhiali” che fu la mente del genocidio e ne parlò nel suo libro Ho stretto la mano al diavolo.

Si legge su Libération a ricostruzione del ruolo di Bogosora: “Costretto a lasciare l'esercito nel 1992, Bagosora fu a lungo al vertice di un circolo chiuso, battezzato Akazu (la casetta), che, alla fine degli anni Ottanta, monopolizzava il potere politico ed economico in Ruanda. Fu prima un clan, una famiglia, ancorata nelle nebbiose colline del nord del Paese. Bagosora era cugino di Agathe Habiarymana, moglie del presidente, fervente cristiana, considerata anche lei al centro del potere. Gli Akazu divennero presto una vera e propria mafia, suscitando la paura ma anche la rabbia degli hutu del sud, i primi a chiedere più democrazia e condivisione della ricchezza. Inizialmente, tuttavia, i tutsi non erano considerati un problema: cittadini di serie B dall'indipendenza, vittime di ricorrenti prepotenze e pogrom che spesso li costringevano a fuggire dal Paese. Tutto cambiò quando gli esuli tutsi, o meglio i loro figli, si organizzarono in una ribellione, il Fronte patriottico ruandese (RPF), che nacque nel 1990 al confine del vicino Uganda, e rivendicava il suo diritto al ritorno. Per gli Akazu si trattò in realtà di una sorpresa divina: l'opportunità di mobilitare tutti gli hutu in una sacra unione che avrebbe fatto dimenticare la loro stretta al potere. Ma così non fu. Gli oppositori hutu del sud si unirono all'RPF per chiedere la democratizzazione del Paese. E più ciò sembrava inevitabile, più il clan, attorno alla first lady, si chiuse in una spirale mortifera che stigmatizzava dall’interno i tutsi, considerati i complici dell’RPF. 

Sotto la pressione della comunità internazionale, iniziarono inoltre i colloqui di pace ad Arusha, in Tanzania, con l'RPF e l'opposizione hutu, rispetto ai quali non nascose la propria contrarietà. Nel 1993, un anno prima del genocidio, Bagosora chiuse persino la porta al negoziato, annunciando che sarebbe tornato nel suo Paese per ‘prepararsi all’apocalisse’. Nonostante queste minacce, gli accordi di pace e di condivisione del potere vennero firmati nell'agosto 1993. La loro applicazione andò poi per le lunghe, in un clima di tensione e violenza sempre più preoccupanti. Fino a quando il presidente Habyarimana, lasciando improvvisamente i capi del suo clan, decise il 6 aprile, in un incontro dell'ultima possibilità, a Dar es Salaam, in Tanzania, di attuare gli accordi firmati otto mesi prima. Mentre tornava a Kigali, il suo aereo fu abbattuto. Iniziarono quindi le stragi sotto il governo di Bagosora, che rimase in Ruanda mentre molti dignitari lasciarono il Paese, evacuati in particolare dalla Francia. Il genocidio era già iniziato, insieme con la guerra, quando l'RPF riprese le armi e lasciò le sue roccaforti nel nord del Paese. Gli oppositori hutu non avevano i mezzi per reagire. Dalla mattina del 7 aprile, tutti i capi hutu che avrebbero potuto impedire la soluzione finale furono barbaramente assassinati. A cominciare da Agathe Uwilingiyimana, primo ministro della transizione, uccisa con i dieci caschi blu belgi responsabili della sua protezione. L'omicidio di questi soldati porterà all'immediato ritiro delle truppe belghe, lasciando solo una piccola forza guidati dal comandante del generale Dallaire, improvvisamente impotente. […] Nel 2015 la desecretazione di una nota di "difesa riservata" datata 22 settembre 1994, ha rivelato che la DGSE riteneva Bagosora uno dei responsabili dell'attentato all'aereo di Habyarimana. Riferendosi a un forte risentimento legato al suo allontanamento dall'esercito, che lo aveva privato del grado di generale e dei privilegi connessi. La nota descriveva l'attentato come un'operazione premeditata di lunga data da parte di estremisti hutu.”

Dopo il genocidio, Bagosora fuggì in esilio in Camerun. Fu arrestato lì nel 1996 e trasferito in aereo ad Arusha per affrontare il processo, nel 1997. Quest’ultimo iniziò nel 2002 e durò fino al 2007. Fu dichiarato colpevole in relazione all'uccisione di 10 caschi blu belgi e responsabile della morte del primo ministro ruandese e capo della Corte costituzionale Agathe Uwilingiyimana. Fu anche ritenuto responsabile di omicidi di tutsi a Kigali e a Gisenyi.

29 settembre 2021

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