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Goli Otok

L'isola della libertà

Universalmente noti sono i crimini staliniani sotto forma di processi sommari e Gulag, meno noti sono invece i "campi di lavoro socialmente utile" istituiti dal regime titino fra la fine degli anni 40 e la metà degli anni 50 del '900, dopo la rottura con l'Unione Sovietica. Uno di questi campi era situato nell'isola di Goli Otok, poco più di un ammasso di pietre in mezzo al mare nel Golfo del Quarnero. Qui viene deportato Aldo Juretich, militante comunista italiano che sceglie di vivere in Jugoslavia dopo la fine della guerra. Il "misfatto" che gli viene imputato è quello di essere una spia al servizio di Mosca, in quanto Aldo dopo l'esclusione della Yugoslavia dal Comintern si schiera dalla parte di Mosca.


La vicenda di Aldo viene ora messa in scena da Elio de Capitani e Renato Sarti al Teatro Elfo-Puccini, sulla base del libro di Giacomo Scotti, Il Gulag in mezzo al mare. Si tratta di un pregevole pezzo di teatro civile, sobrio ed essenziale, e perciò tanto più d'impatto sul pubblico. La forma comunicativa scelta è quella del dialogo fra il protagonista e il suo medico, il quale ha la sola funzione di far riattivare la memoria di Aldo con le sue domande in stile psicoanalitico. Le risposte che vengono date portano immediatamente nel cuore di quella che fu l'esperienza di annientamento psicologico subito dal protagonista. In un crescendo di orrore e disperazione vengono descritti i meccanismi perversi di disumanizzazione dei prigionieri e la loro totale sottomissione alla volontà del potere. Meccanismi che in nulla differiscono da quelli messi in atto nei campi di sterminio nazisti o dai Gulag staliniani. Ma la forma perfetta di disumanizzazione si realizzava nel trasformare i prigionieri in carnefici dei propri compagni di sventura e nel costringerli a essere corresponsabili dei crimini imposti dai carnefici stessi. Sottrarsi a un simile meccanismo per degli esseri ridotti a larve umane era impossibile. Neanche col suicidio, reso pressoché del tutto impraticabile da parte dei carcerieri. Lo scopo conclamato delle torture e delle vessazioni psicologiche era la "rieducazione" e il ravvedimento dei prigionieri, ma l'esito reale fu a un devastante complesso di colpa di tutti coloro che sopravvissero all'orrore.


Gli effetti delle torture e dei patimenti subiti sono poca cosa rispetto alle conseguenze destabilizzanti dell'essere stati costretti a chinare il capo di fronte a ordini che nel momento in cui venivano rispettati cancellavano definitivamente la fiducia in sé stessi e nei propri simili. È questo il motivo per cui la maggior parte di coloro che erano scampati alla morte, una volta usciti dal campo erano restii a testimoniare su quanto era loro accaduto. A questa reazione non sfugge neanche Aldo, che dopo la liberazione si ritrova totalmente isolato e incapace di ritrovare la fiducia non solo genericamente verso gli esseri umani ma neanche verso i più cari e fidati compagni di una volta.


Il crimine più efferato commesso dai responsabili di questo meccanismo non è solo quello di aver causato la morte di innocenti ma soprattutto quello di avere ucciso l'umanità e il rispetto di sé dei perseguitati, cosa che spesso li ha indotti al suicidio.


Per Aldo la tentazione del suicidio è stata costante, ma nel luogo i cui si trovava non si poteva mettere in atto. La sua liberazione dalla prigionia non ha purtroppo coinciso con la sua emancipazione dai fantasmi del passato.

2 aprile 2014

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