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Italiani nel gulag

perseguitati e condannati senza processo

Gino De Marchi

Nel corso degli anni Venti e sino ai primi anni Trenta del Novecento, all'emigrazione tradizionale delle comunità italiane di Kerc’ e di Mariupol, in Crimea, si affiancò quella cosiddetta politica, composta da comunisti, anarchici, socialisti e antifascisti in generale. Mosca divenne meta di continui pellegrinaggi politici: vi si recavano spesso, ma per brevi periodi, i dirigenti del PCI di medio e alto livello, i militanti che venivano inviati a lavorare come funzionari negli organismi di partito e, infine, i quadri che dovevano studiare alle scuole di partito. Si può calcolare che vi fossero in URSS, all'epoca, circa 4000 italiani.

Complessivamente furono circa 1020 quelli che vi subirono qualche forma di repressione tra il 1919 e il 1951: fucilazione, internamento in un campo di lavoro forzato, confino, deportazione, privazione dei diritti civili, perdita del lavoro, emarginazione. I fucilati furono 110 e 140 i condannati al lavoro forzato, mentre una cinquantina di essi fu inviata al confino.

Prigionieri durante la costruzione del Gran Canale di Fergana, 1939.
Prigionieri ai lavori forzati nel campo correttivo di Noril'sk, in Siberia settentrionale.Il gulag di Vorkuta era uno dei più grandi campi correttivi: i prigionieri venivano impiegati nelle miniere di carbone.

L’inizio del Grande Terrore staliniano è fissato convenzionalmente al 3 marzo 1937, in coincidenza con il discorso di Stalin al Plenum del Comitato centrale del Partito. Tra il 1937 ed il 1938 vennero arrestati 204 italiani, 45 dei quali fucilati, nel periodo 1937-1938, grazie alla solerte attività dei loro compagni di partito, responsabili di una delle più spietate cacce all’uomo.
Una circolare dell’Nkvd del 9 agosto 1937 diramò la direttiva contro gli stranieri residenti in Urss, accusati in massa di attività di spionaggio. Più di 550 membri delle comunità italiane in Crimea furono deportati nel Kazakistan del Nord nel 1942.

Molte di queste persone, nonostante tutto, hanno continuato a credere nell’ideale del comunismo e chi di loro è riuscito a salvarsi, spesso è tornato alla vita civile con rassegnazione e senza speranza. Alcuni invece hanno sentito il dovere di denunciare il sistema totalitario sulla cui natura si erano illusi, soprattutto per onorare i compagni scomparsi. In questa missione hanno incontrato enormi difficoltà, hanno rischiato nuove persecuzioni e sono stati oggetto di discriminazione e di ostracismo.

Le loro storie solo da pochi anni sono cominciate a venire alla luce, con l’apertura degli archivi sovietici e l’impegno del gruppo Memorial a Mosca.