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La violazione dei diritti umani

L'articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, adottata a Parigi dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, recita:"Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza".

Il giorno precedente la stessa Assemblea Generale aveva approvato a New York la Convenzione sulla prevenzione e la condanna del crimine di genocidio, definito come l'intenzionale distruzione, in tutto o in parte, "di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso", con la nota esclusione dei gruppi politici per l'opposizione dei Paesi del blocco sovietico, che temevano di essere coinvolti nelle accuse per le persecuzioni degli avversari (i cosiddetti nemici del popolo condannati ai lavori forzati nei gulag).Il termine genocidio ha prodotto molti dibattiti tra gli storici, i sociologi e i teorici della politica e del diritto, con una tendenza contemporanea ad assimilarlo, al di là della definizione della Convenzione del 1948, in generale alle violenze di massa, a episodi di singoli massacri e di persecuzioni che suscitano sdegno nell'opinione pubblica. Se in questo modo se ne perde la connotazione più scientifica e peculiare, si rintraccia però un filo conduttore "morale" nella condanna di ogni persecuzione contro vittime innocenti, evocata nel modo più efficace dal richiamo al genocidio
Proprio per questo - non a caso - si associa sempre più comunemente, per descrivere nuovi massacri, al termine genocidio la locuzione di crimini contro l'Umanità come generale violazione dei diritti umani, comprendendo ogni fenomeno di violenza contro innocenti inermi nello spettro più vasto di tale definizione onnicomprensiva, senza perdere l'impatto emotivo legato all'evocazione del genocidio.

La violazione dei diritti umani non si limita alla violenza fisica e fa riferimento a ogni condizione di negazione dei diritti presenti nella definizione dell'art. 1 della Dichiarazione Universale del 1948: della libertà, uguaglianza e dignità di ogni essere umano. 
Accanto al diritto alla vita, la Dichiarazione elenca, nei suoi primi 28 articoli, le specificazioni dell'assunto generale, con riferimento alla democrazia e all'esercizio della cittadinanza nei suoi vari risvolti politici, alla libertà di pensiero, di espressione, di religione e di culto, all'istruzione, alla riservatezza, alla proprietà e alla sicurezza, a un giusto processo, all'asilo internazionale contro le persecuzioni, a condizioni di vita materiali, economico-sociali e culturali dignitose; negli ultimi due articoli, 29 e 30, la Dichiarazione ricorda che l'esercizio di ogni diritto comporta un dovere speculare, che la legge in ogni Stato deve far rispettare per il "benessere generale in una società democratica".

L'impegno internazionale per il rispetto della Dichiarazione si è concretizzato negli ultimi anni, caduti i vincoli geopolitici imposti dalla guerra fredda, nell'istituzione dei Tribunali penali internazionali per perseguire specifici crimini genocidari come quelli avvenuti negli anni '90 in Ruanda e nella ex-Jugoslavia, e della Corte penale internazionale, la cui sede fissa è all'Aja, con giurisdizione sugli Stati aderenti (più di 120).

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