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Polonia, "ebrei invisibili"?

Intervista a Konstanty Gebert

Pubblichiamo di seguito l'intervista di Elisabetta Rosaspina, del Corriere della Sera, a Konstanty Gebert, giornalista e scrittore. L'intervista è disponibile in versione video su Corriere.it come parte del progetto "Cento giorni in Europa". 

VARSAVIA – Konstanty Gebert, 65 anni, editorialista di “Gazeta Wyborcza”, ex inviato di guerra nei Balcani, scrittore e attivista polacco vive ancora nella stesso appartamento dello storico quartiere di Bagatela, a Varsavia, dove trent’anni fa aveva organizzato un asilo segreto per i bambini della comunità ebraica locale. Frequentato all’inizio soltanto dai figli di pochi amici, poi – con il passaparola – le stanze foderate di libri si erano riempite di una scolaresca sempre più numerosa e determinata a riannodare i fili con le proprie radici.

Dal 1994 Varsavia ha una scuola ebraica (in tutta la Polonia ce ne sono due) per i nati dopo la caduta del Muro; e Gebert avrebbe potuto dedicarsi, nella ritrovata tranquillità domestica, allo studio e alla scrittura. Ma l’uomo ha un passato di militante e un temperamento che non si assopiscono così facilmente: è stato uno dei componenti dell’Università Volante, l’istituzione clandestina di origine ottocentesca dove aveva studiato Marie Curie, e che fu riattivata a Varsavia alla fine degli anni Settanta, sotto il tallone comunista, per insegnare la storia censurata dal regime.

Il curriculum di Gebert è ancora lungo. Qualche cenno: nel 1980 è entrato nel sindacato Solidarność. Nove anni dopo è stato uno dei giornalisti accreditati alla Tavola rotonda polacca. Da quasi 30 anni fa parte del Consiglio cristiano-ebraico polacco. È stato consigliere del primo Capo del governo polacco, Tadeusz Mazowiecki , dopo l’89, e Relatore speciale della Commissione dei diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite nella ex Jugoslavia. Insomma, Konstanty Gebert, fondatore del Giardino dei Giusti a Varsavia, è un punto di riferimento imprescindibile per tentare di orientarsi nel labirinto della politica polacca, a poco più di sei mesi dalle prossime elezioni generali.

Gli ebrei non sono più invisibili, in Polonia, ma il loro numero resta imprecisato. Perché?

“Tanti documenti sono andati distrutti nel secolo scorso; e molti matrimoni tra ebrei e cattolici, in passato, erano tenuti segreti, perché non erano ben visti. Così oggi la scoperta di un antenato ebreo non è mai una possibilità da escludere. E in fondo, ogni polacco ha il diritto di pensare che ha un po’ di sangue ebreo”.

Però c’è la sensazione che anche l’antisemitismo stia crescendo.

“Alla destra dell’attuale partito di governo, il PiS, Diritto e Giustizia, (guidato dal presidente Jaroslaw Kaczyński, n.d.r.), c’è un ambiente di personaggi antisemiti. Non è soltanto la nostra ipersensibilità ebraica ad avvertirlo. È una realtà sociale”.

Proprio in Polonia? Come si spiega?

“Dopo il crollo del comunismo, per vent’anni i sondaggi hanno rilevato un indebolimento dell’antisemitismo che sembrava addirittura sparito dal panorama politico. Si rafforzavano al suo posto l’anti-antisemitismo e il progetto democratico. Quando è entrata nell’Unione Europea (nel 2004, n.d.r.), la Polonia nutriva aspettative altissime. La disillusione è arrivata con la consapevolezza che ci vorranno invece generazioni prima di raggiungere il livello economico della Germania. Si è diffusa allora l’idea che questa fosse un’ enorme ingiustizia. Il progetto che aveva dato tante speranze, era diventato di colpo un fallimento. Il governo liberale ha abbandonato l’educazione civica, come fosse un retaggio della propaganda del passato. A scuola, lo studio della storia della Polonia si fermava all’ultima guerra. In quel vuoto si è inserita l’estrema destra”.

Quali sono state le prime avvisaglie?

“Alla fine degli anni ’90 essere antisemiti è ritornata a essere una posizione accettabile, tollerata. Tempo fa, a Poznań, un amministratore locale si è rifiutato di commemorare ciò che resta di un cimitero ebraico”.

Ha fatto scandalo un sacerdote, padre Henryk Zielinski, per aver sostenuto che gli ebrei hanno “un diverso concetto della verità”.

“Trovo grave affermare che la menzogna è nella natura degli ebrei. Eppure la commissione interpellata ha risposto che non vedeva niente di male nelle parole di padre Zielinski, ma piuttosto un invito al dialogo. Per fortuna in Polonia ancora non è permesso dire che gli ebrei andrebbero tutti espulsi o rimandati ad Auschwitz”.

Che cosa pensa della nuova legge che punisce chi invece associa gli orrori di Auschwitz-Birkenau e Treblinka alla Polonia?

“Vero. Non erano campi di sterminio polacchi. E non c’è mai stata una collaborazione, intesa come cooperazione istituzionale, del governo polacco con la Germania di Hitler. Ci sono stati, anzi, oltre un milione di polacchi tra le vittime dei nazisti. Ma non si può negare che, a titolo individuale, molte migliaia di polacchi, per ragioni diverse, per paura o perché simpatizzavano con i tedeschi che non volevano gli ebrei sul loro territorio, abbiano partecipato e denunciato. Va detto anche però che il maggior numero di Giusti al mondo è polacco. Il 30% delle decorazioni dello Yad Vashem è stato attribuito a 6.800 polacchi che hanno rischiato la vita per salvare ebrei. Qui in Polonia, del resto, c’era la parte più consistente di ebrei in pericolo”.

La legge comunque è stata emendata e non prevede più tre anni di carcere per chi adombra responsabilità o corresponsabilità del popolo polacco nei crimini nazisti.

“Io credo che l’obiettivo di questa legge non sia di mettere in galera o di avviare processi a studiosi, giornalisti e ricercatori, ma di indicare quali siano gli interessi storici da non toccare. Il vero scopo è di far capire agli insegnanti di storia dei licei di provincia che ci sono questioni di cui è meglio non si occupino se vogliono restare professori. Inoltre è stata iniettata nel linguaggio legale l’idea di un popolo polacco etnicamente definito”.

Ma il nazionalismo è sempre antisemita?

“Il nazionalismo polacco è nato antisemita. Quando gli ebrei erano 3 milioni, con lingua, tradizioni e religione diverse, su una popolazione di 30 milioni, erano percepiti come un’altra nazione straniera, dopo tre successive dominazioni: la prussiana (protestante), quella russa (ortodossa) e quella austriaca che, essendo cattolica, era percepita come meno opprimente. Gli ebrei erano il nemico contro il quale si poteva resistere, mentre negli altri casi era più difficile: c’erano dietro altri stati. Gli ebrei erano presentati dai nazionalisti come una potenza economica, “la potenza anonima”. Gli ebrei, dicevano, controllano la finanza. Oggi il nazionalismo non è necessariamente antisemita. I nazional-democratici condannano l’antisemitismo, ma non fanno niente contro gli antisemiti”.

Perché?

“Perché in autunno si vota, il partito al potere non può rischiare di perdere l’appoggio dell’estrema destra se vuole continuare a governare. Perciò moltiplica i gesti di tolleranza nei confronti di quell’elettorato. E i fascisti si sono sentiti per la prima volta protetti e rassicurati: in nome della libertà d’espressione, le loro posizioni antisemite sono valide e lecite quanto qualunque altra opinione”.

Elisabetta Rosaspina, giornalista, già inviata del Corriere della Sera

15 aprile 2019

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