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Il Burundi tra tensioni e vendette

una storia simile a quella ruandese

Il conflitto, durato dodici anni, tra la maggioranza tutsi e la minoranza hutu del Burundi, sembrava in via di stabilizzazione, finché il tentativo del Presidente Pierre Nkurunziza, lo scorso mese di aprile, di rimanere in carica alla scadenza del secondo mandato, ha riportato il Paese sul baratro della crisi etnica.

Il pensiero corre al Ruanda. Infatti il Presidente del Burundi del 1994, l'hutu Cyprien Ntaryamira, era sullo stesso aereo del suo omologo del Ruanda che fu abbattuto il 6 aprile di quell'anno, dando inizio al genocidio ruandese. Anche il Papa ha esortato a non dimenticare il Burundi, una terra che tra l'altro ospita da sempre molti profughi del Paese delle mille colline.

La crisi, scatenatasi quando un gruppo di generali è intervenuto per impedire a Nkurunziza di continuare a governare il Paese, è definita dalla BBC come una delle più "intrattabili" dell'Africa. Il Paese, dove oltre la metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà, si trova ora con le stazioni radio chiuse, arresti di veri e presunti autori del putsch o loro complici, divieto di manifestare - spesso eluso - e il riaffacciarsi della violenza etnica, che ha già mietuto 300 mila vittime.

Il Presidente dichiara che la prima volta che era entrato in carica, nel 2005, era stato nominato e non eletto, e pertanto ora sarebbe all'inizio del secondo e non terzo mandato. L'instabilità politica sta causando la fuga dal Paese di molte persone, 105.000 dal 26 aprile 2015 a oggi.

Per il New York Times occorre fermare una situazione che ha già visto la lapidazione e i roghi umani di simpatizzanti di Nkurunziza da parte di manifestanti inferociti. Al cuore della crisi la disputa sul sistema elettorale e politico - i Presidenti devono essere nominati o eletti a suffragio universale diretto? Quali sono gli articoli della Costituzione applicabili al caso? - che si traduce nella formazione di fazioni militarizzate schierate su base etnica.

La comunità internazionale e in particolare gli Stati Uniti stanno esercitando pressioni perché il Presidente rinunci al terzo mandato, ma occorre anche convincere i partiti dell'opposizione a rispettare i diritti umani. Bisogna insomma pervenire a un compromesso, a un processo di transizione verso una democrazia stabile.

Storicamente, come un tempo nel vicino Rwanda, le appartenenze etniche erano un fattore di mobilitazione ideologica. Il pericolo è che delle "autorità negative", per usare un termine caro alla fondatrice di Gariwo Sarajevo Svetlana Broz, sfruttino la situazione per imporre un conflitto tribale.

Solo sanzioni efficaci, il sostegno internazionale a chi si batte per elezioni corrette e pacifiche e per i metodi di lotta politica non violenti, e un monito del Procuratore della Corte Penale Internazionale Fatou Bensouda che chiunque sia coinvolto nelle atrocità sarà indagato e punito potranno evitare il peggio. Inoltre l'Unione Africana e la comunità dei Paesi dell'Africa orientale, che hanno condannato il tentativo di putsch, vanno sostenuti. Infine, il Burundi deve cercare di far crescere la sua economia per assicurare un futuro migliore ai suoi giovani, che oggi o aderiscono alle grandi fazioni politiche e tribali oppure emigrano. L'istruzione e la creazione di posti di lavoro devono essere una priorità sia per il governo che subentrerà a Nkurunziza, sia per la comunità internazionale.  

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