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Yemen, da aprile una tregua nella “guerra dimenticata”

Il conflitto ha provocato 4 milioni di sfollati e 377 mila morti. Allarme carestia da FAO e Unicef

Dal 2 aprile scorso, dopo quasi otto anni di scontri, nello Yemen è entrata in vigore una tregua di due mesi. “Le parti hanno accettato di fermare tutte le operazioni militari offensive aeree, terrestri e marittime all’interno del paese”, ha spiegato l’inviato speciale ONU per lo Yemen Hans Grundberg. La tregua ha preso avvio in concomitanza con il primo giorno del Ramadan (il mese sacro del digiuno islamico). È la prima in tutto lo Yemen dal 2016, ed è il frutto di un accordo firmato in marzo a Riyad, in Arabia saudita, tra le parti in lotta: i ribelli sciiti filo-iraniani Houthi, le forze governative yemenite supportate dal regno della famiglia Al Saoud, e il Consiglio di Transizione del Sud (STC), sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti, principale alleato di Riyad. L’iniziativa è stata patrocinata dalle Nazioni Unite. Le forze governative yemenite sono riconosciute dalla comunità internazionale, e hanno la capitale (provvisoria) nella città portuale di Aden (a Sud del paese), affacciata all’omonimo golfo.

Il porto di Hodeidah

Ora nuovi aiuti umanitari potranno finalmente essere erogati in un paese dilaniato da fame e malattie, e parte della popolazione civile potrebbe tirare un po’ il fiato. Se la tregua reggerà, nel porto di Hodeidah (che guarda il Mar Rosso, a Ovest) in mano ai ribelli Houthi, è previsto l’arrivo di 18 petroliere che consegneranno carburante; mentre due voli al giorno sono consentiti nell’aeroporto di Sanaa, dal 1990 capitale dello Yemen riunificato, oggi capitale “de iure” del paese. Nei due mesi precedenti al cessate il fuoco le operazioni militari sul terreno si erano intensificate: gli Houthi hanno lanciato diversi attacchi con droni e missili in Arabia Saudita e negli Emirati, e la coalizione che appoggia il governo Hadi ha risposto con raid aerei.

Crisi umanitaria e profughi

Le Nazioni Unite da tempo avvertono che la guerra in Yemen ha causato la peggiore crisi umanitaria del mondo da inizio secolo. Quella che alcuni hanno chiamato una “guerra dimenticata”. Il paese arabo conta circa 30 milioni di abitanti, è vasto 528 mila Km quadrati (per avere un’idea, poco meno della Francia che misura 549 Km quadrati), ed è diviso in 21 governatorati. L’età media della popolazione è 20 anni.

I numeri che riassumono il crescente costo della guerra pagato dalla popolazione sono drammatici. Sino alla fine del 2021, secondo le Nazioni Unite, il conflitto ha provocato la morte di 377 mila persone, e dall’inizio degli scontri 24.600 attacchi aerei hanno distrutto il 40% delle abitazioni in tutte le città del paese. La guerra ha costretto oltre 4 milioni di persone (tra cui più di 2,4 milioni di bambini) a lasciare le proprie case in cerca di salvezza. Ma - data la posizione geografica dello Yemen - pochissimi hanno potuto cercare riparo oltre i confini. Secondo le Nazioni Unite, oltre 1 milione di persone al momento si trovano nel governatorato di Marib, al centro del paese, dove si contano tra 120 e 150 campi profughi, tra ufficiali e informali. Uomini, donne e bambini spesso scappati già 5 o 6 volte dai luoghi in cui avevano trovato una sistemazione. Nel paese il 75% della popolazione dipende dagli aiuti internazionali per sopravvivere, erogati in forme diverse. Aiuti urgenti servono in ambito sanitario: dal 2015 si è sviluppata una grave epidemia di colera; al di là dei dati ufficiali resi noti dall’OMS, non si conosce la quantità esatta delle vittime causate dal Covid e i vaccini sarebbero arrivati solo all’1% della popolazione. Di certo sappiamo che circa la metà degli ospedali sono stati distrutti.

Previsioni sullo stato di carestia

La ONG Oxfam comunica che al momento 17,4 milioni di yemeniti hanno problemi di malnutrizione, ma entro la fine dell’anno potrebbero diventare a 19 milioni (ossia il 62% della popolazione). Recentemente tre agenzie delle Nazioni Unite, la FAO, l’Unicef e il WFP (World Food Programme) hanno affermato che senza nuovi finanziamenti umanitari per lo Yemen, il numero di persone che vivono in uno stato di carestia nel paese raggiungerà quota 161 mila entro la fine del 2022, un aumento di cinque volte rispetto ai livelli attuali.

“Lo Yemen vive in uno stato di emergenza cronico, segnato da fame, malattie e altre miserie che stanno aumentando più rapidamente di quanto le agenzie umanitarie possano tamponare”, ha detto il 15 marzo di fronte al Consiglio di sicurezza dell’Onu Martin Griffiths, emergency relief coordinator delle Nazioni Unite. Gli aveva fatto eco pochi giorni dopo David Beasley, direttore esecutivo del WFP: “A meno di non ricevere immediatamente nuovi sostanziali finanziamenti, nello Yemen avremo fame generalizzata e la carestia. Ma se agiamo ora, c’è ancora la possibilità di evitare un disastro imminente e salvare milioni di persone”. Adesso si spera che la tregua in atto possa consentire di mitigare questo quadro catastrofico.

Otto anni di scontri (quando e perché è iniziata la guerra)

Nel paese della Penisola Arabica l’Islam è la religione di stato, praticato dalla quasi totalità della popolazione. Il 47% circa dei musulmani locali è sciita e il 53% sunnita. Il conflitto armato ha le sue radici nella Primavera araba del 2011, quando una rivolta ha costretto il presidente di lunga data, Ali Abdullah Saleh, a cedere il potere al suo vice, Abdrabbuh Mansour Hadi. Una transizione politica dolorosa. Da allora la situazione nel paese è degenerata. Il presidente Hadi ha dovuto affrontare vari attacchi da parte delle forze militari fedeli a Saleh, mentre cresceva la crisi economica e sociale. Ma i veri combattimenti sono iniziati nel settembre 2014 quando il movimento ribelle musulmano sciita Houthi (fedeli all’ex presidente Saleh e appoggiato dall’Iran) ha preso il controllo del governatorato settentrionale di Saada. Gli Houthi hanno continuato ad attaccare arrivando a prendere la capitale Sanaa, costringendo Hadi all'esilio all'estero. Poi la svolta drammatica, giunta nel marzo 2015, con l’avvio dell’operazione “Decisive Storm”, una massiccia offensiva aerea lanciata dalla coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita e altri paesi arabi, per lo più sunniti (Emirati Arabi Uniti, Sudan, Bahrain, Kuwait, Qatar, Egitto, Marocco, Giordania e Senegal) contro i ribelli Houthi sciiti e le unità militari fedeli all’ex presidente Saleh. Obiettivo dichiarato: ripristinare il governo di Hadi. Il conflitto yemenita è entrato così prepotentemente a far parte di una serie di tensioni politiche e culturali tra sciiti e sunniti in una larga porzione del Medio Oriente. Una guerra che si è svolta con alterne vicende, fino alla tregua del 2 aprile scorso.

La Spartizione territoriale ad oggi

Attualmente il governo, guidato da Abdrabbuh Mansour Hadi sembra controllare il 60% circa del territorio dello Yemen (i due governatorati più estesi, nella parte orientale del paese), dove abitano circa 12 milioni di cittadini. Mentre 15 milioni di persone vivono nelle aree sotto il controllo degli Houthi, che occupano circa il 25% del territorio totale (i governatorati occidentali). Infine l’area più piccola, nella zona meridionale del paese (l’intero governatorato di Aden), è appannaggio del Consiglio di Transizione del Sud, ed è abitata da quasi 3 milioni di persone. Il “Consiglio” è stato istituito nel 2017 per opera degli Emirati Arabi Uniti, stretti alleati di Riyad. Inoltre, porzioni molto ristrette di territorio sono in mano ad al-Qaeda nella penisola arabica (AQAP) e ad altri attori minori della regione.

Collasso economico e sociale (e riflessi della guerra in Ucraina)

Lo Yemen è diventato un paese molto povero in termini economici. Anche se ricco di tesori architettonici, artistici e culturali che la guerra ha ampiamente danneggiato. La città vecchia della capitale storica Sanaa (fondata 2.500 anni fa) è patrimonio Unesco dal 1986. Terra amata da Pier Paolo Pasolini, che nel 1971 girò un cortometraggio nella capitale yemenita dal titolo “Le mura di Sanaa”. Oggi l’ex Regno della Regina di Saba sembra appartenere ad un pianeta diverso. Secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale (2020) il PIL complessivo è di 22,6 miliardi di dollari, mentre il PIL pro capite è di 774 dollari: meno di quanto registra un paese come il Camerun (1.507 dollari procapite), oppure Haiti (1.270 dollari). La guerra è costata finora all’economia 126 miliardi di dollari, e nel periodo 2010 - 2020 l’inflazione media è stata del 18,3%. In questi anni il conflitto ha causato una grave crisi del carburante: da inizio 2019 a fine 2021 i prezzi sono aumentati del 543%, e sono quasi triplicati negli ultimi tre mesi. Gli operatori delle ONG presenti nel paese raccontano che si può stare in coda anche per tre giorni per riuscire a fare rifornimento. Con impennate di tali proporzioni sono schizzati in alto i prezzi di beni essenziali come cibo, acqua, medicinali; molti yemeniti sono costretti a bere acqua sporca e restare senza elettricità per 10 - 12 ore al giorno. La guerra in Ucraina ha ulteriormente aggravato la situazione, mettendo in crisi le già ridotte importazioni di grano e olio da cucina. Fino ad oggi infatti lo Yemen importava circa il 42% del grano direttamente dall’Ucraina; la conseguenza è stata un pesante aumento dei prezzi già a partire dalla fine di febbraio.

Vittime civili e crimini di guerra

Secondo alcune ONG che operano nel paese, in questi anni le vittime civili sono aumentate esponenzialmente, mese dopo mese, anche a causa delle mine disseminate su campi e strade. Save the Children fa sapere che tra marzo 2015 e marzo 2021 le vittime civili sono state oltre 20 mila. E secondo l’UNDP (United Nations Development Programme), il Programma delle NU per lo sviluppo, nel paese della Penisola Arabica “nel 2021 ogni 9 minuti è morto un bambino di meno di 5 anni”. Non si possono fare commenti. Sono numerosi i rapporti che - da più parti a livello mondiale - danno conto delle violazioni di diritto internazionale umanitario legate all’esportazione di armi usate nella guerra in Yemen. Tra questi, i report delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa (l’organizzazione fondata nel 1949, che conta oggi 46 stati membri, da non confondere con uno degli organi dell’UE).

Un documento di 350 pagine alla CPI

Dall’escalation del marzo 2015, l’organizzazione yemenita per i diritti umani Mwatana for Human Rights ha documentato 800 attacchi aerei e 700 offensive di terra che hanno causato la morte di oltre 3 mila civili e il ferimento di almeno altri 4 mila. Molti di questi attacchi aerei non sarebbero stati possibili senza forniture di armamenti provenienti da varie nazioni. Non solo europee. Anche dall’Italia. Si sospetta che gli armamenti arrivati nello Yemen da varie parti del globo siano stati utilizzati in potenziali crimini di guerra. Per questi motivi alcune organizzazioni, tra le quali lo European Center for Constitutional and a Human Rights (ECCHR) di Berlino, Amnesty International, la britannica Campaign Against Arms Trade, il Centro Delàs di studi della Pace di Barcellona, Mwatana for Human Rights e la Rete Italiana Pace e Disarmo nel dicembre 2019 hanno presentato una “Comunicazione” presso la Corte penale internazionale (CPI) dell’Aia, in Olanda. E’ un documento di 350 pagine che ricostruisce diversi eventi che potrebbero essere classificati come crimini di guerra. La CPI - che non si è ancora pronunciata in merito - non è un organismo dell’ONU come, invece, lo è la Corte Internazionale di Giustizia (CIG – ICJ), istituita nel 1945, anch’essa con sede all’Aia, che risolve le controversie tra gli Stati.

Ci sono possibili vie di uscita?

Alcuni analisti ritengono che la grave situazione in Ucraina contribuirà sì a far crescere la carenza di alcuni generi alimentari nello Yemen; in compenso, però, la crisi energetica causata dai tagli alle forniture di gas dalla Russia potrebbe “agevolare” un percorso negoziale sul fronte yemenita (la tregua entrata in vigore il 2 aprile sarebbe un segnale in questo senso). Soprattutto per un motivo. Il paese a Ovest ha una zona altamente strategica: Bab el-Mandeb (in italiano, porta delle lacrime), nome dello stretto che separa il Mar Rosso dal Golfo di Aden, un angusto braccio di mare che nel punto più stretto misura 18 miglia (circa 29 Km), dove transitano petroliere e navi cargo che dallo Stretto di Hormutz (Iran) raggiungono il Mediterraneo. E le parti ora in conflitto dovrebbero avere interesse a mettere in sicurezza l’area, favorendo il movimento delle navi che nei prossimi mesi transiteranno in numero superiore verso Nord.

I colloqui di Vienna

Non a caso, a metà marzo i ribelli sciiti Houthi hanno dichiarato di essere pronti a impegnarsi in colloqui di pace con la coalizione a guida saudita, a condizione che siano tenuti in un paese neutrale e non a Riyad, come propongono dal regno degli Al Saoud. Inoltre, già prima dell’inizio della guerra in Ucraina, la delegazione iraniana era tornata a Vienna per partecipare ai colloqui con Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania per rilanciare l’accordo sul nucleare siglato del 2015, poi revocato da Donald Trump tre anni dopo. Nella capitale austriaca siamo all’ottavo round di colloqui. E’ un dossier a cui Teheran tiene molto; e segnali di buona volontà nello Yemen potrebbero avere un’eco positiva a Vienna. In un negoziato dove un ruolo non secondario di mediazione spetta all’Unione Europea.

Antonio Barbangelo, giornalista

22 aprile 2022

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