Si chiude oggi, 15 ottobre, il primo censimento della popolazione della Bosnia Erzegovina dal 1991. L’indagine è stata richiesta dalla Comunità europea, nell’ambito del processo di allargamento dell’Unione - alla quale la Bosnia mira ad aderire.
Il censimento è un evento importante per il Paese, dal momento che l’ultimo rapporto di questo tipo era stato stilato prima del genocidio. Il rischio, tuttavia, è di esacerbare tensioni etniche che non si sono ancora sanate a distanza di 20 anni.
Al centro della questione sono tre domande - la 24, la 25 e la 26 - che fanno riferimento alla nazionalità e al gruppo etnico e religioso di appartenenza. Dalla fine del genocidio infatti, la Bosnia Erzegovina è divisa, costituzionalmente e amministrativamente, in tre grandi gruppi: serbi, croati e bosgnacchi. L’impianto del Paese - stabilito dalla Costituzione di Dayton - è tuttavia stato giudicato discriminatorio dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2009. La Corte ha infatti giudicato iniquo il sistema di spartizione delle cariche e degli impieghi pubblici secondo il criterio delle quote da assegnare ai tre gruppi - calcolate sulla base del censimento del 1991 - che non tiene conto della presenza nel territorio di altre minoranze, come gli ebrei, i rom e i figli di matrimoni misti che si sono rifiutati di scegliere l’appartenenza a un gruppo.
Ora, la questione va oltre un mero calcolo matematico, ma nel censimento in questione viene richiesto ai cittadini di specificare la propria appartenenza etnica, sbarrando una delle tre caselle a disposizione o scrivendo per esteso il proprio gruppo etnico in un apposito spazio. Il paradosso è che non esiste una casella che indichi la semplice cittadinanza “bosniaco erzegovese”, a dimostrazione del fatto che, ancora oggi, le forme di identificazione prevalenti nel Paese sono essenzialmente etniche e religiose.
Qualcuno ha visto nel censimento la possibilità di superare le divisioni e di avviare un processo di unità e riconciliazione. Gli attivisti per i diritti umani hanno lanciato la campagna A citizen above all (Un cittadino prima di tutto), per sensibilizzare la popolazione al tema dell’appartenenza a una nazione prima che a un gruppo etnico.
Dal lato opposto, invece, diversi leader politici e religiosi hanno difeso la classificazione etnica dei cittadini, concentrando le loro argomentazioni sul “dovere nazionale di dichiarare la propria etnia”. In realtà, il timore di questi partiti è che la nuova fotografia del Paese li possa portare a perdere posizioni, alla luce di una ridistribuzione delle quote basata sui nuovi dati del censimento.
“Con tutto quello che è accaduto negli ultimi 20 anni, non è più possibile immaginare un Paese che sia solamente dei suoi cittadini, è troppo tardi - ha spiegato Zlatko Dizdarevic, direttore di Oslobodenje - Per questo progetto avremmo bisogno dei prossimi 20 anni, ma servirebbero un sistema educativo, politico e un sistema dell’informazione completamente diversi da quelli attuali”.
Sondaggi alla mano, solo il 20% della popolazione si definisce “cittadino bosniaco”, mentre gli altri continuano a sentirsi legati all’appartenenza etnica. A causare questa divisione pesano fattori diversi, ma soprattutto elementi di politica interna. La società bosniaca è infatti frammentata in ogni settore della vita quotidiana: ci sono scuole differenziate per bambini delle varie etnie, ospedali separati, compagnie telefoniche separate, persino aziende separate. Questa frammentazione è poi aggravata dalle ferite del conflitto, ancora aperte tra la popolazione, che misura ogni decisione rapportandola ai risultati della guerra. “Con il censimento - si dice a Sarajevo - molti temono che il non identificarsi come bosgnacchi sarà visto come l’accettazione di ciò che i serbi hanno fatto ai bosgnacchi durante la guerra, e il non identificarsi come serbi sarà visto come l’accettazione di ciò che i bosgnacchi e i croati hanno fatto ai serbi”.
I risultati del censimento saranno resi noti a gennaio, e mostreranno il volto della nuova Bosnia, ancora intrappolata tra un passato sanguinoso e un futuro incerto.