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Ratko Mladic, confermato l'ergastolo

la sentenza definitiva del Tribunale per la ex Jugoslavia

Ventisei anni dopo il genocidio di Srebrenica dell’11 luglio 1995, a un mese dall’anniversario del massacro, Ratko Mladic ha ascoltato la sentenza di appello ai suoi danni. Sentenza che ha confermato l'ergastolo già imputatogli nel 2017 dal Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia. I giudici, rigettando l'appello del generale, hanno ritenuto Mladic responsabile di dieci capi di accusa, tra cui il genocidio di Srebrenica e l'uccisione di civili nella capitale bosniaca Sarajevo durante l'assedio della città. L'udienza si è svolta presso un tribunale delle Nazioni Unite all'Aja (all'interno del Meccanismo residuale per i Tribunali penali internazionali) che sta esaminando i ricorsi e i casi residuali del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, chiuso ufficialmente nel 2017.

I giudici hanno presentato le loro conclusioni sui crimini imputati al “macellaio di Srebrenica” - genocidio, persecuzione, sterminio, omicidio, atti disumani, trasferimenti forzati, terrorismo, presa di ostaggi e attacchi illegali a civili - per i quali Mladic era stato condannato all’ergastolo in primo grado. A questi capi di accusa, su richiesta del procuratore Serge Brammertz, si è aggiunto quello di genocidio. Già nel 2017 Mladic era stato ritenuto responsabile non solo del genocidio di Srebrenica - città della Bosnia-Erzegovina in cui l’11 luglio 1995 le truppe di Mladic uccisero 8372 uomini e ragazzi musulmani, gettandoli poi in fosse comuni -, con l'aggravante di aver sempre negato l'episodio e di aver fornito in merito false notizie ai media, ma anche dell'assedio di Sarajevo e di atti di omicidio, uccisione ingiustificata di civili, deportazione forzata nella capitale bosniaca con l'intenzione di diffondere il terrore tra la popolazione ("Non facciamoli dormire - diceva Mladic nel 1992 riferendosi ai cittadini di Sarajevo - facciamoli diventare pazzi").

La sentenza ai danni di Mladic, ormai definitiva e non più appellabile, segue quella pronunciata il 24 marzo 2016 contro Radovan Karadzic, condannato a 40 anni di carcere. Karadzic era fondatore e presidente del Partito Democratico Serbo (Srpska Demokratska Stranka, SDS) della Repubblica Socialista della Bosnia-Erzegovina. Il 13 maggio 1992 - dopo che il governo prevalentemente musulmano della capitale Sarajevo votò per l’uscita dalla Federazione Jugoslava - divenne il primo Presidente dell'amministrazione serbo-bosniaca, assumendo tra i suoi poteri anche il comando dell'esercito. Egli era quindi la massima autorità civile e militare della Republika Srpska. Mladic invece era il comandante del Secondo Distretto dell'esercito jugoslavo, che poi divenne l'esercito serbo-bosniaco. Dal 14 maggio 1992 assunse il ruolo di comandante di tale esercito e conseguentemente acquisì il potere di controllare tutte le questioni militari.
Incriminati nel 1995, Karadzic fu arrestato il 21 luglio 2008, mentre Mladic solo il 26 maggio 2011, dopo 16 anni di latitanza.

Durante la lettura della sentenza, le donne dell'associazione Mothers of Srebrenica si sono riunite al Srebrenica Memorial Center per ascoltare il verdetto finale. Come per ogni processo, si sono sostenute e hanno condiviso il loro dolore. A partire dal 1996, anno della creazione dell'associazione, le Madri hanno combattuto per ottenere verità e giustizia per figli, mariti, fratelli e amici: hanno avuto un ruolo importante nei casi contro le Nazioni Unite e i Paesi Bassi, hanno spinto il Parlamento europeo a celebrare l'11 luglio come Giornata in memoria del genocidio di Srebrenica, e hanno sempre testimoniato e manifestato durante i processi ai responsabili dei massacri. 
Oggi, col passare degli anni, le Madri stanno scomparendo, e il Srebrenica Memorial Center è sempre più vuoto. Ad ascoltare la sentenza contro Mladic non c'era ad esempio Hanifa Djogaz, scomparsa lo scorso gennaio, che vide le forze di Mladic entrare a Srebrenica e quell'11 luglio perse i figli e il marito. Per giorni dopo la sua fuga non è riuscita a parlare a causa della paura che provava; ogni volta che qualcuno le chiedeva qualcosa, si metteva a piangere. Hanifa è tornata a Srebrenica nel 2000, sperando di ritrovare la pace nel luogo in cui aveva cresciuto i suoi figli, ma ha sofferto ancora di più, poiché i corpi dei suoi cari sono stati trovati in momenti diversi, pezzo dopo pezzo, ricordo dopo ricordo. “Era come se li perdesse e li seppellisse di nuovo ogni volta. Il suo cuore si spezzava continuamente", ha ricordato la figlia.
All'Aja non c'era nemmeno la leader delle Madri, Hatidza Mehmedovic, scomparsa nel luglio 2018 - un anno dopo la sentenza di primo grado ai danni di Mladic. Assenti anche Nura Alispahic, scomparsa nell'ottobre 2020, Kada Ramic, scomparsa nel dicembre 2020, ed Emina Merdzic, che si è spenta il 7 giugno, a poche ore dalla sentenza definitiva.

Le Madri se ne stanno andando, una per una. Resta la loro battaglia ("non per vendetta, ma per la giustizia e perché ogni bambino abbia un futuro migliore, più luminoso di quello che hanno avuto i nostri figli", era solita dire Hatidza Mehmedovic), racchiusa nelle bandiere appese alla recinzione del Tribunale dell'Aja in cui si teneva il processo Mladic: bandiere della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina con i nomi dei luoghi in cui sono stati commessi crimini e atrocità di massa. Per non dimenticare, per ribadire ancora una volta la promessa del "mai più". 

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