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Alla scoperta della dimenticata resistenza tedesca

di Riccardo Michelucci

Fino a non molti anni fa la resistenza tedesca al nazismo era ancora un fenomeno molto poco conosciuto al grande pubblico, sia in Germania che nel resto del mondo. Il tema della colpa collettiva aveva prevalso a lungo, determinando un’opera di rimozione che escludeva a priori l’esistenza di un’“altra Germania” capace di ribellarsi al Terzo Reich nei modi più disparati. Nell’immediato dopoguerra i militari tedeschi che si erano opposti alla barbarie nazista furono visti con sospetto, molti vennero accusati di “kriegsverrat” (tradimento) nei confronti del regime e in alcuni casi persino condannati dalle corti militari. 

A partire dalla metà degli anni ‘50 la percezione pubblica iniziò lentamente a cambiare ma il percorso per valorizzare la memoria degli oppositori del regime si sarebbe rivelato lungo e complesso. Un sondaggio effettuato nel 1984 tra i cittadini della Repubblica federale tedesca rilevò che il 63 percento dei giovani di età inferiore ai trent’anni non era a conoscenza di alcun atto di resistenza civile o militare al nazismo, e ignorava del tutto persino il famoso attentato del 20 luglio 1944. 

A raccontare al grande pubblico la cosiddetta “Operazione Valchiria”, ovvero il tentativo di colpo di stato organizzato da militari, politici ed esponenti della nobiltà tedesca che cercarono di assassinare il Fuhrer un anno prima della fine della guerra, ci avrebbe pensato l’omonimo film del regista statunitense Bryan Singer, uscito con successo nel 2008. Un paio d’anni prima era arrivata al cinema anche la storia di Hans e Sophie Scholl e dei loro eroici compagni della “Rosa bianca”. Ma si trattava comunque di due episodi singoli che, se presi da soli, potevano ribadire persino il loro carattere di eccezionalità. Nel frattempo, però, una storiografia più attenta aveva iniziato a riscoprire e a valorizzare la resistenza tedesca in tutte le sue diverse componenti. Una resistenza che, com’è noto, non divenne mai un fenomeno organizzato e di massa come quello italiano, sebbene siano stati tantissimi coloro che si opposero culturalmente, civilmente e militarmente al regime hitleriano.

La loro memoria è sublimata oggi in un museo che si trova a Berlino, nel quartiere del Mitte, all’interno del complesso edilizio del Bendlerblock, un edificio eretto tra il 1911 e il 1914 per ospitare il Ministero della Marina del Reich. Dopo la Prima guerra mondiale vi venne trasferita anche la direzione delle forze armate tedesche e, sotto il nazismo, parti del Ministero della difesa e degli esteri, tra cui la sede dell’Alto comando della Wehrmacht. Fu proprio qui che, nel 1944, il generale Friedrich Olbricht, il colonnello Claus Schenk Graf von Stauffenberg e i loro compagni pianificarono il famoso attentato contro Hitler. Nel cortile interno del palazzo, nel punto esatto in cui i cospiratori furono fucilati dopo il fallimento del complotto, sorge un monumento a quegli uomini che volevano cambiare la storia salvando la coscienza del loro Paese.

All’interno dell’edificio è stato aperto nel 1968 un piccolo memoriale che era all’epoca dedicato quasi esclusivamente a quel tentativo di colpo di stato ma poi è stato ampliato a partire dal 1989 - poco prima della caduta del Muro – fino ad assumere la forma di un vero e proprio museo incentrato sulle storie dei tanti che ebbero il coraggio di resistere in quegli anni anni terribili. Oggi è un sito di commemorazione, studio, documentazione e ricerca con l’obiettivo di raccontare i gruppi e i singoli individui che agirono contro la dittatura nazista tra il 1933 e il 1945. L’esposizione, organizzata su due piani, è suddivisa in una ventina di aree tematiche declinate attraverso pannelli esplicativi, fotografie e audiovisivi. Molti degli oppositori ricordati sono autori di attentati al Fuhrer e ai vertici delle SS. Solo contro Hitler ne furono organizzati almeno una ventina e già negli anni ‘90 l’autorevole storico tedesco Hans Mommsen affermò che il tentativo di colpo di stato del 20 luglio 1944 era stato un atto morale necessario per salvare il popolo tedesco dalla complicità col terrore nazista. Ciò offre anche un importante spunto di riflessione comparativo con il caso italiano, dove gli attentatori di Mussolini sono ancora poco conosciuti e fatti come l’attacco di via Rasella continuano a essere oggetto di accese polemiche politiche.

Tra i temi trattati nelle singole sale del museo berlinese spiccano la resistenza di intellettuali, scienziati e artisti, le donne nella resistenza, il tema dell’esilio e l’opposizione di cattolici e protestanti. Un posto di rilievo è riservato a figure come il beato cardinale di Münster Clemens August von Galen, autore di infuocate omelie contro Hitler, e Joannes Baptista Sproll, il “vescovo confessore di Rottenburg” che riconobbe fin da subito l’incompatibilità tra il cristianesimo e il nazionalsocialismo e si batté contro il programma nazista di eutanasia. Nel 1938 la Gestapo attaccò il palazzo vescovile e lo condannò all’esilio.

Fra i martiri della repressione non potevano ovviamente non essere messi in risalto i fratelli Scholl e gli altri del gruppo della “Rosa bianca”, i membri dell’Orchestra Rossa e quelli del Circolo di Kreisau, le donne di Rosenstrasse che nel 1943 salvarono migliaia di ebrei con un’audace protesta a Berlino; il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer e l’obiettore Franz Jägerstätter, il contadino che si ribellò a Hitler. Tutte queste figure concorrono a riabilitare il popolo tedesco di fronte all’orrore nazista. Ma forse le più toccanti sono quelle meno note. Singoli oppositori come Otto Wiedt, l’anziano fabbricante di spazzole che fece di tutto per salvare i suoi lavoratori ebrei dalla deportazione; come Helmuth Hübener, il diciassettenne che esortava i suoi connazionali a prendere posizione contro il nazismo e fu condannato a morte nonostante la giovanissima età. O come George Elser, il falegname che tentò da solo di assassinare Hitler nascondendo una bomba in una birreria di Monaco dov’era atteso un discorso del Fuhrer. Non ci riuscì per un soffio e venne arrestato mentre tentava di scappare, finendo nel campo di concentramento di Dachau, dal quale non fece mai ritorno.

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