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Il salvataggio degli ebrei danesi

80 anni dopo il fallito raid nazista

Il 2 ottobre 1943, 80 anni fa, mentre la Danimarca si trovava sotto occupazione tedesca, i nazisti organizzarono un raid per catturare e deportare tutti gli ebrei presenti nel Paese. Si trattò dell’incursione nazista più fallimentare nella storia della Shoah. Racconto la vicenda danese nel libro intitolato Il nazista che salvò gli ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca, pubblicato dalla casa editrice Le Lettere con prefazione di Moni Ovadia e postfazione di Gabriele Nissim.

Rispetto agli altri salvataggi avvenuti nel corso della Shoah, quello danese rappresenta un unicum perché l’intera popolazione, dal re fino alle persone di classi sociali più umili, vi contribuì. Nonostante l’occupazione, i danesi si opposero sempre alla nazificazione della società. Sebbene le pressioni tedesche, il Governo si rifiutò sempre di considerare la “questione ebraica” e di introdurre la legislazione antisemita. Quando nei primi di settembre del 1941 Vilhelm Buhl, primo ministro ad interim, si recò dal re Cristiano X di Danimarca, e paventò la possibilità che i nazisti avrebbero potuto chiedere la consegna degli ebrei danesi, il re rispose che l’atteggiamento corretto sarebbe stato quello di indossare tutti la stella di Davide. Da lì nascerà la leggenda, che alcuni ancora oggi considerano vera, che re Cristiano X indossasse la stella gialla durante le sue passeggiate a cavallo nelle strade di una Copenaghen occupata dai tedeschi. La comunità ebraica era ben accetta all’interno della società danese. La Danimarca era infatti una delle più antiche democrazie d’Europa e, nel corso dei secoli, la discriminazione e il razzismo istituzionalizzati, non solo nei confronti degli ebrei ma verso qualsiasi altro individuo, erano sempre stati respinti dal Parlamento. La società si era evoluta all’insegna dell’empatia e della tolleranza. Gli ebrei, a differenza di quanto accadeva in Italia, non erano mai stati costretti a vivere all’interno di un ghetto, perché considerato un modo inumano di vivere. Nel 1933 mentre i nazisti prendevano il potere in Germania, gli ebrei di Copenaghen celebravano il centesimo anniversario della loro sinagoga alla presenza di re Cristiano X.

Dopo il fallimento del raid, i tedeschi proposero uno scambio: gli ebrei nascosti in cambio degli ufficiali dell’esercito e della marina danesi imprigionati. La risposta da Copenaghen fu negativa, non avrebbe avuto alcun senso scambiare un danese con un altro danese. Anche gli ebrei apolidi vennero protetti. Il vescovo luterano di Copenaghen, Hans Fuglsang-Damgaard, preparò una lettera che firmò a nome di tutti i vescovi luterani danesi e inviò, sabato 2 ottobre, agli occupanti tedeschi. Grazie agli studenti di teologia, lo scritto arrivò a tutte le chiese della diocesi nello stesso giorno, per poi essere letto, l’indomani, in ogni chiesa luterana del Paese.

La resistenza danese cominciò ad organizzarsi proprio per nascondere gli ebrei dai nazisti, e poi trasportarli in barca nella Svezia rimasta neutrale. In questo fu molto importante la partecipazione degli ospedali che nascosero centinaia di ebrei. A pagarne le spese furono gli infermieri e i medici una volta scoperti dai nazisti. Moltissimi membri della resistenza vennero catturati, imprigionati, torturati e uccisi. Molti di loro furono deportati nei campi di concentramento. La polizia danese non collaborò mai con i nazisti, e per questo 2000 poliziotti furono deportati.

In Svezia gli ebrei vennero accolti e subito integrati nella società. Tuttavia, nonostante la resistenza danese, purtroppo circa 470 di loro finirono nel campo di concentramento/ghetto di Theresienstadt. Ma il governo danese non li abbandonò al proprio destino, e avviò delle trattative diplomatiche per consentire alla croce rossa di inviare dei pacchi contenenti vestiario, in cui segretamente inserivano pillole con vitamine necessarie alla sopravvivenza. Ulteriori trattative permisero sia alla croce rossa danese sia a quella internazionale di visitare il campo il 23 giugno 1944. Per l’occasione il luogo fu abbellito e tutti i detenuti istruiti per non far sospettare nulla ai visitatori. La visita andò così bene che i nazisti decisero di far giare un documentario da usare per la propaganda. Alle trattative partecipò anche la croce rossa svedese, grazie alla quale venne permesso a tutti i prigionieri scandinavi di lasciare i campi di concentramento per recarsi in Svezia. Gli ebrei danesi lasceranno il campo di Theresienstadt il 15 aprile 1945.

Fondamentale per la riuscita del salvataggio degli ebrei danesi fu la figura di Georg Ferdinand Duckwitz nazista della prima ora. Membro dell’ufficio esteri del partito nazista, sotto Alfred Rosenberg, dal 1933 al 1935, nel 1939 entrò nell’ambasciata tedesca a Copenaghen. Quando nel settembre 1943, durante lo stato di emergenza proclamato in Danimarca dai tedeschi, Duckwitz seppe che erano cominciati i preparativi per la deportazione degli ebrei danesi, ebbe un moto di coscienza che lo spinse ad agire. Inizialmente si recò in Svezia per chiedere al governo di ospitarli, poi fece avere a tutti gli ebrei che conosceva i visti legali per fuggire in Svezia, e successivamente fece sabotare due navi adibite alla deportazione. Infine, non potendo fare altro avvisò i membri del partito socialdemocratico della data esatta in cui il raid sarebbe avvenuto. Il suo fu un contributo decisivo, perché se non fosse stata una persona del suo calibro a dare l’allarme nessuno ci avrebbe creduto. La comunità ebraica in Danimarca si sentiva al sicuro. Lui faceva parte del ministero degli esteri del Terzo Reich quindi aveva accesso alle informazioni, inoltre successivamente partecipò anche alla congiura per assassinare Hitler. Anni dopo la fine della guerra sarà riconosciuto come Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem. Duckwitz fu l’unico politico nazista di alto rango ad opporsi alla deportazione degli ebrei. In Italia nessun importante politico fascista si è opposto prima alle leggi razziali del 1938 e poi alle deportazioni cominciate nel 1943. Nella postfazione al libro, Gabriele Nissim, riferendosi sia a Duckwitz che a Dimitar Peshev, Giusto tra le Nazioni che aveva bloccato la deportazione degli ebrei bulgari, scrive: «Duckwitz e Peshev rappresentano quindi l’ambiguità del bene di quelle figure di mezzo, che fanno parte dell’élite politica ma che decidendo di cambiare idea risultano decisive per far cambiare la situazione nei rispettivi stati. Se altre figure politiche in altri paesi avessero avuto una crisi di coscienza forse si sarebbero potute fermare le deportazioni. Per questo Duckwitz e Peshev sono due figure da prendere come esempio e da far studiare, perché sono l’emblema di come le cose sarebbero potute andare in modo diverso».

In fondo al libro parlo di “Normalità del bene”, un riferimento al fatto che, siccome per i danesi aiutare gli ebrei era un’azione normale, solamente 22 di loro sono stati riconosciuti come Giusti tra le Nazioni, perché gli altri non hanno fatto pervenire il loro nome allo Yad Vashem. Questo dimostra come sia possibile costruire una società basata sull’umanesimo e sulla tolleranza in grado di accettare ogni comunità, dove aiutare gli altri è una cosa normale e giusta.

Andrea Vitello, scrittore

2 ottobre 2023

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