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La strage della famiglia Einstein

un caso mai chiarito

Quando la mattina del 4 agosto 1944 gli uomini della V Armata statunitense arrivarono a Villa Il Focardo, di fronte ai loro occhi si presentò una scena apocalittica. La splendida tenuta immersa nel verde delle colline fiorentine era stata data alle fiamme dai nazisti in ritirata. Un giovane in abiti borghesi scese da una camionetta americana e chiese notizie della famiglia Einstein, che abitava lì. Un contadino lo accompagnò tra le macerie della villa mostrandogli i cadaveri di tre donne che giacevano nel salone al pianterreno. Cesarina Mazzetti e le sue figlie Annamaria e Luce, di 17 e 27 anni, erano state uccise la notte prima a colpi di mitragliatrice. L’uomo, che non riuscì a trattenere le lacrime, era il maggiore della V Armata Milton Wexler, un fisico statunitense allievo di Albert Einstein giunto in Italia al seguito delle truppe alleate nella speranza di ritrovare in vita i familiari del suo maestro. Nei mesi successivi sarà proprio lui a condurre l’inchiesta militare statunitense su quella strage, uno dei tanti eccidi compiuti dai nazifascisti nell’estate del 1944. Robert Einstein, marito e padre delle tre donne uccise, era riuscito a scampare al massacro nascondendosi nei boschi circostanti. Aveva sentito il rumore delle mitragliatrici, poi aveva visto le fiamme avvolgere un’ala della villa ma non aveva potuto fare niente per salvare i suoi cari.

Era cugino di primo grado di Albert Einstein (i loro padri erano fratelli) e gli somigliava anche nei tratti del viso. Da ragazzi avevano trascorso l’infanzia insieme in Germania e poi in Italia. In seguito le loro strade si erano separate. Albert era diventato un fisico di fama mondiale mentre Robert, poco dopo la laurea in ingegneria, era andato a lavorare a Roma dove nel 1913 aveva sposato Cesarina Mazzetti detta “Nina”, dalla quale ebbe due figlie: Luce, nata nel 1917, e Annamaria, nel 1927. I primi anni del loro matrimonio erano trascorsi serenamente, finché un evento luttuoso non aveva colpito la famiglia Mazzetti: il fratello di Nina, rimasto vedovo e impossibilitato a crescere da solo le due piccole gemelle Lorenza e Paola, aveva deciso di darle in affido agli Einstein, che le avevano accolte come figlie, facendole diventare parte integrante della loro famiglia. Alla metà degli anni ‘30 l’intero gruppo familiare si era trasferito a Firenze in un grande appartamento del centro storico, a pochi passi dalla basilica di Santa Croce. Nel 1936 Robert aveva poi acquistato Villa Il Focardo, una grande tenuta di campagna in località San Donato in Collina, a una ventina di chilometri da Firenze. Gli Einstein erano molto conosciuti e negli anni che precedettero la Seconda guerra mondiale la villa divenne meta di visite frequenti da parte di familiari e amici. Tra i più assidui c’erano Maya, sorella di Albert Einstein, e la figlia di Thomas Mann, ma anche molti personaggi di spicco del mondo della cultura come i pittori Giacomo Balla e Gino Severini, scrittori e docenti universitari. La guerra era destinata a sconvolgere per sempre quella vita di spensieratezza anche se, in un primo momento, le leggi razziali, le persecuzioni e la violenza giunsero come un’eco lontana e ci si volle illudere che non sarebbero mai arrivate in quello splendido angolo di Toscana. Ma dopo l’armistizio del 8 settembre 1943 e l’inizio dell’occupazione nazista anche la provincia di Firenze fu interessata da un’intensa attività bellica. 

Fra il 1943 e il 1944 i soldati tedeschi furono impegnati in continui rastrellamenti nelle campagne limitrofe a Rignano sull’Arno. Un giorno una divisione della Wehrmacht occupò la villa per farne il proprio quartier generale e costrinse la famiglia Einstein a ritirarsi nella vicina fattoria. Inizialmente, sebbene Robert Einstein fosse ebreo, tra la sua famiglia e gli occupanti si instaurò una convivenza fatta di diffidenza e rispetto, di paura e di speranza. Un delicato equilibrio che anni dopo è stato ricostruito magistralmente da Lorenza Mazzetti - una delle nipoti degli Einstein scampata alla strage - nel romanzo Il cielo cade, che racconta i mesi di convivenza con i nazisti visti con gli occhi di una ragazzina. Fino al tragico epilogo. Prima dell’estate 1944 in pochi sembravano aver percepito l’esistenza di un serio pericolo per gli Einstein. Soltanto nel mese di giugno, con l’avanzare delle truppe alleate nel Valdarno e i nazisti che si preparavano agli ultimi scontri prima della ritirata, donne, vecchi e bambini della zona furono costretti a rifugiarsi nei boschi intorno alla villa per sfuggire alle rappresaglie naziste. Anche Robert Einstein si convinse di essere in pericolo e decise di nascondersi. Sua moglie e le sue due figlie, non essendo ebree, erano invece convinte di non aver nulla da temere e preferirono non abbandonare la villa, ignorando gli avvertimenti dei comandanti partigiani. Per questo, il 3 agosto 1944 Robert Einstein riuscì a salvarsi mentre sua moglie, Cesarina Mazzetti, e le sue figlie Annamaria e Luce caddero sotto i colpi dei nazisti, che risparmiarono soltanto le due gemelle Mazzetti e una terza cugina ospite della famiglia in quei giorni. Robert Einstein non riuscì però a resistere al dolore per la tragica fine dei suoi familiari. Il 13 luglio dell’anno dopo, nell’anniversario del suo matrimonio con Nina Mazzetti, tornò nella villa e, in quelle stesse stanze dove si era compiuto l’eccidio, si tolse la vita ingerendo del veleno.

Ma per quale motivo i nazisti ormai in ritirata si erano macchiati di un crimine così orribile? Per anni si è ritenuto che la spiegazione più plausibile conducesse proprio ad Albert Einstein, il genio della fisica che negli anni ‘30 aveva lasciato la Germania ed era approdato negli Stati Uniti, dichiarando la sua personale guerra a Hitler. Le teorie razziali del Führer erano state platealmente smentite dalla fama e dal prestigio mondiale dell’ebreo Albert Einstein, che era diventato il simbolo dell’opposizione al regime nazista. Si credette che, non potendo accanirsi direttamente su di lui, Hitler avesse voluto colpirlo negli affetti più cari. Dopo l’inchiesta condotta dagli Alleati nei giorni successivi alla strage, la vicenda venne inghiottita in un oblio destinato a durare a lungo. “Il massacro degli Einstein è stato dimenticato per decenni anche perché, dopo la guerra, è stato oggetto di ripetuti tentativi di insabbiamento per non umiliare la Germania, ormai divenuta un alleato prezioso delle democrazie occidentali nella Guerra fredda”, spiega lo storico Carlo Gentile, esperto dell’occupazione nazista in Italia e consulente delle autorità giudiziarie in alcuni dei principali procedimenti penali per i crimini di guerra nazifascisti. In un carteggio secreto degli anni ‘50, che fu riportato alla luce soltanto molti decenni dopo, due ministri italiani dell’epoca, Gaetano Martino e Paolo Emilio Taviani, scrissero testualmente che “le prove sulla strage degli Einstein raccolte già a partire dall’autunno 1944 dalle autorità militari americane e inglesi non erano state prese in considerazione da Roma per un riguardo politico nei confronti della Germania, che era appena entrata nella Nato”.

Le ricerche storiche sull’eccidio del Focardo sarebbero riprese molti anni dopo, in seguito alla scoperta dell’Armadio della Vergogna, l’archivio ritrovato nel 1994 in uno scantinato della Procura militare di Roma, contenente i fascicoli sugli eccidi nazifascisti compiuti durante la guerra in Italia. Gli studi svolti in Germania e negli Stati Uniti da Carlo Gentile sono riusciti a far riaprire finalmente le indagini sulla strage degli Einstein. Con i suoi studi, lo storico è stato in grado di smentire quanto si era creduto fino ad allora circa le responsabilità della strage - erroneamente attribuite a reparti delle SS non identificati -, e ad affermare con certezza che a uccidere la moglie e le figlie di Robert Einstein furono in realtà uomini appartenenti al comando di un’unità della Wehrmacht, l’esercito regolare tedesco. “All’epoca nella zona non era presente più alcun battaglione di SS. Si erano già ritirati tutti oltre l’Appennino”, afferma Gentile. “A compiere la strage fu la XV divisione del 104° Reggimento di granatieri corazzati, che fu segnalata nell’area in quei giorni dopo essersi resa responsabile di altri terribili episodi di violenza contro i civili”. Lo storico esclude che l’omicidio delle tre donne sia stato una vendetta personale di Hitler nei confronti di Albert Einstein o un delitto a sfondo razziale: “fu piuttosto un episodio di violenza gratuita compiuto dall’ultimo battaglione tedesco giunto nella zona. All’epoca il fronte era distante pochi chilometri e i nazisti erano convinti che gli abitanti collaborassero con i partigiani e con gli Alleati. Più che la motivazione razziale, o quella della vendetta di Hitler contro Albert Einstein, appare dunque molto più plausibile che Cesarina Mazzetti e le figlie siano state fucilate perché sospettate di essere spie degli alleati e dei partigiani”. Ma le ricerche di Gentile – nel frattempo confermate anche dallo storico tedesco Lutz Klinkhammer – non sono bastate per individuare e perseguire i colpevoli, poiché la verità storica sulla strage del Focardo non coincide con quella giudiziaria. Nel febbraio del 2014 la Procura di Frankenthal ha infatti chiuso definitivamente l’inchiesta senza confermare il coinvolgimento del 104° Reggimento e vanificando ogni possibile procedimento a carico dei responsabili. “Hanno ipotizzato l’intervento di un altro reparto corazzato di paracadutisti del Reich, senza riuscire a stabilire quale – conclude Gentile - l’esito delle indagini appare purtroppo assai lontano dalla realtà dei fatti”.

Riccardo Michelucci, giornalista

27 agosto 2022

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