Inaugurazione virtuale quarta parte Giardino dei Giusti di Trevi

di Nerina Marzano, 15 aprile 2020

Giardini

Il 18 aprile gli studenti della scuola secondaria di I grado di Trevi avrebbero dovuto inaugurare la quarta parte del Giardino dei Giusti, sito nella splendida cornice di Villa Fabri. A causa delle misure imposte per il contenimento della diffusione del Coronavirus, la cerimonia non si potrà svolgere. I nostri ragazzi hanno, comunque, lavorato sulla biografia di 6 personaggi che hanno reputato Giusti. In questo cammino di studio, di ricerca e di scelta sono stati affiancati e supportati dal Comitato Scientifico di Gariwo, dai docenti di Lettere e da altrettanti personaggi, giornalisti, politici locali, il giardino dei Giusti di Assisi e di Perugia, che hanno proposto agli studenti le figure su cui riflettere. Questo il frutto del loro lavoro.

Classe 2A e Museo della Memoria di Assisi (Direttrice Dott.ssa Marina Rosati)

VALENTINE MÜLLER

Valentine Müller nacque nel 1891 a Zeilitzheim, nella Bassa Franconia e venne battezzato cattolico. A 13 anni frequentò il seminario vescovile a Würzburg. Nel 1911 prese la maturità e studiò medicina a Würzburg dove diventò membro attivo dell'associazione cattolica studentesca K.St.V. Normannia Würzburg. Durante gli anni di studio venne arruolato nella Prima guerra mondiale e servì al fronte. Ricevette la medaglia d'argento e venne preso prigioniero dagli inglesi.

Più tardi aprì uno studio medico e dopo la presa del potere da parte di Hitler fu l'unico medico che continuò a visitare i pazienti ebrei malati a casa, cosa proibita ad un medico ariano.

All'inizio della Seconda guerra mondiale Valentin Müller venne nominato colonnello e arruolato di nuovo. Prese parte alle campagne in Polonia, Francia e Russia dove, 1942, gli venne assegnato di erigere il primo Feldlazarett (ospedale da campo) a Stalingrado. Solamente pochi giorni prima che l'Armata Rossa accerchiasse le truppe tedesche, gli venne ordinato di spostarsi a Lourdes ad allestire una divisione per il trasporto dei feriti. Come capo di questa divisione giunse nel 1943 in Italia.

Nel settembre del 1943 Müller divenne governatore militare di Assisi.

Per Müller, convinto cattolico ed amante dell’arte, era inaccettabile la distruzione di chiese, monasteri e delle opere d'arte in essi racchiuse. Dato che sempre più feriti arrivavano dal fronte che si stava avvicinando, anche il Seminario Regionale di Assisi venne trasformato in un ospedale militare. Il colonnello Müller e il vescovo Giuseppe Placido Nicolini, vista la situazione militare, arrivarono alla conclusione che solo l'allargamento del lazzaretto e la conseguente dichiarazione ufficiale di Assisi come “città ospedale” potesse permettere di salvare la città e i rifugiati.

Müller convinse il Feldmaresciallo Albert Kesselring a far dichiarare Assisi zona franca ospedaliera, ovvero divenne proibito attaccare la città da parte di tutti gli eserciti, come stabilito dalla Convenzione dell'Aia (1907). Tutte le parti in guerra riconobbero Assisi come zona franca.

Per il suo operato Müller godette di molta stima sia da parte dei tedeschi che degli italiani. Un modo di dire degli abitanti di Assisi era: “Abbiamo tre protettori: Dio, San Francesco e il colonnello Müller“. Persino i partigiani dettero l'ordine che “nessuno doveva torcere un capello” al colonnello.

Al momento della ritirata delle truppe tedesche, Müller lasciò grandi quantità di preziose medicine e attrezzature mediche. Solamente alcune settimane dopo egli venne preso prigioniero di guerra dall'esercito americano.

Nel 1950 venne invitato ad Assisi insieme alla sua famiglia. Tutta la città lo accolse come un eroe.

Valentin Müller è stato sepolto ad Eichstätt. Sulla sua lapide sono scolpite riproduzioni della Basilica di San Francesco e del Sacro Convento di Assisi. Una targa in viale Vittorio Emanuele II ad Assisi ricorda ancora oggi il benefattore della città.

MOTIVAZIONE DELLA SCELTA

La protezione garantita a centinaia di ebrei nascosti nei conventi di Assisi; il fondamentale sostegno all’opera diplomatica condotta affinché la città ottenesse l’attestato di “zona ospedaliera”, salvata in tal modo dagli attacchi della retroguardia tedesca in ritirata e dai bombardamenti delle forze alleate.

Lo spirito umanitario del personaggio, ispirato da convinzioni cristiane sia nelle campagne militari sia nel mandato affidatogli in Assisi, dove guadagnò la fiducia dei cittadini con gesti rimasti finora disconosciuti come le cure mediche prestate ad alcune famiglie.

Nel suo silente aiuto disinteressato agli ebrei di Assisi, nel suo amore per la città e per le sue bellezze si può trovare ancora oggi il più profondo senso della parola “umano”.

Perché c’è sempre una scelta, quella giusta.

CLASSE 3A E DOTT.MASSIMO SBARDELLA, GIORNALISTA

STANISLAV EVGRAFOVIC PETROV

Non tutti gli eroi hanno un monumento che li ricordi. Spesso, infatti, nel mondo c’è gente che compie azioni di grande valore che, purtroppo, non sono riconosciute. Stesso destino ha avuto Stanislav Petrov, l’eroe dimenticato che salvò il mondo dall’apocalisse nucleare. Quest’uomo, durante la Guerra Fredda, il 26 settembre 1983 non si fidò del sistema di difesa sovietico secondo cui missili atomici lanciati dagli USA erano in arrivo. Lui stesso affermava “ero un analista, ero certo che si trattasse di un errore”, e così fu. Petrov è nato a Vladivostok, nel settembre 1939. Diventato ingegnere, dopo la laurea si è arruolato nella difesa aerea dell’Unione Sovietica ed è diventato tenente colonnello dell’Armata Rossa. Ha vissuto nell’anonimato per tutta la vita, era una persona schiva, modesta ed ha alloggiato in un misero appartamento nella periferia di Mosca fino alla sua morte, avvenuta il 19 maggio 2017 all’età di 78 anni. La notizia della sua scomparsa è trapelata solo quando qualcuno lo ha cercato nell’anniversario del 26 settembre 1983. Fu proprio in questa data che Petrov, mentre monitorava il sistema satellitare antimissilistico sovietico, pensò che i segnali che arrivavano dai radar intercettori russi fossero sbagliati, nonostante i tecnici giurassero il contrario. Secondo lui non era possibile che gli USA avessero lanciato 5 missili nucleari contro la Russia. Petrov, quindi, non seguì la procedura e non avvertì il Cremlino che in meno di 15 minuti avrebbe deciso di far partire bombe atomiche verso l’America e l’Europa. In questo modo Petrov salvò il pianeta dall’olocausto nucleare. Quando si chiarì che si era trattato di un errore del sistema, i suoi superiori non lo premiarono, anzi, ricevette un richiamo per non aver seguito la procedura standard e fu mandato anticipatamente in pensione. La sua grande azione è rimasta segreta fino al crollo dell’Unione Sovietica, ma anche dopo non si è molto parlato di lui, addirittura non ha ricevuto in patria alcun riconoscimento. Solo all’estero si sono resi conto dell’enorme fortuna che ha avuto l’umanità: di turno quella notte c’era Petrov! In realtà lui si trovava in sostituzione di un militare professionista che, senza ragionare, avrebbe controllato i segnali di arrivo e semplicemente applicato il protocollo. Petrov, che invece era un analista, reagì diversamente. Secondo lui gli americani non avrebbero lanciato così pochi missili quando a disposizione avevano ben altro arsenale. Pensò, dunque, che c’era stato un errore del sistema: così era. Infatti nessun missile colpì l’URSS. Successivamente si chiarì che il sistema di monitoraggio antimissilistico era stato ingannato da riflessi solari prodotti dalla congiunzione tra la terra, il sole e l’orbita del satellite; per questo motivo tutto fu insabbiato, perché nessuno doveva sapere che i segnali che arrivavano dal sistema di monitoraggio erano sbagliati, ma soprattutto che solo un uomo, modesto ma non ottuso e con una grande intuizione, aveva avuto ragione e aveva salvato il mondo. Se la Russia avesse reagito al falso allarme sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale: missili russi si sarebbero scontrati con quelli americani che avrebbero contrattaccato e l’Europa forse si sarebbe dissolta.

MOTIVAZONE DELLA SCELTA

Quello che ha compiuto Petrov è degno di essere ricordato. Infatti, tale episodio ci fa comprendere che la coscienza dell’uomo deve prevalere sulla fredda e talvolta errata tecnologia.

Petrov ha salvato il mondo dalla distruzione, senza compiere apparenti gesti eroici o sacrifici. Ha però, ragionato, evitando di limitarsi a seguire gli ordini, giustificazione, quest'ultima, che spesso è alla base di crimini e di atrocità. Certamente Petrov conosceva le conseguenze a cui sarebbe andato incontro non seguendo il protocollo, ma con la sua scelta coraggiosa ha salvato il mondo dalla catastrofe e la dignità umana di fronte all'ottusa burocrazia, ricordando che le tecnologie sono al servizio dell'uomo, non il contrario.

Classe 2B e Consiglio Comunale di Trevi (PG)

Primo Levi

Primo Levi nacque a Torino il 31 luglio 1919 da una famiglia di origini ebraiche. Nel 1937 si iscrisse al corso di laurea in chimica presso l'Università di Torino. Nel novembre del 1938 entrarono in vigore in Italia le leggi razziali, le quali introducevano gravi discriminazioni ai danni dei cittadini italiani considerati dal regime "di razza ebraica". Per questa ragione Primo Levi trovò numerose difficoltà a terminare gli studi, ma la sua caparbietà lo condusse alla laurea in chimica nel 1941. Poco dopo, spinto dalle difficoltà economiche della famiglia, riuscì a trovare un posto di lavoro come chimico in un'azienda. Nel 1942 si unì al partito antifascista e, dopo l'armistizio del settembre 1943, divenne partigiano e si rifugiò sulle montagne della Valle d'Aosta. Il 13 dicembre dello stesso anno, però, venne arrestato e, al momento dell'interrogatorio, preferì dichiararsi ebreo piuttosto che partigiano. Per questo venne condotto nel campo di concentramento di Fossoli, in provincia di Modena e quindi nel campo di concentramento di Auschwitz. Grazie alle sue conoscenze scientifiche, venne reclutato per lavorare alla fabbricazione di gomme presso la fabbrica tedesca di Buna, cosa che gli consentì di sopravvivere alle durissime regole del lager. Liberato dalle truppe sovietiche, riuscì a far ritorno a Torino solo dopo un lungo e travagliato viaggio attraverso l'Est Europa. Primo Levi racconta la sua cattura e la permanenza nei campi di concentramento nel libro "Se questo è un uomo", la sua opera più famosa, mentre il lungo viaggio di ritorno è narrato nell'opera intitolata "La tregua". Attraverso i suoi romanzi, egli descrive il più grande dramma della storia del Novecento, la Shoah.

MOTIVAZIONE DELLA SCELTA

Il suo intento è quello di far capire alle future generazioni il dolore e la sofferenza generati dalla cattiveria umana, perché esse comprendano che ciò che è stato non debba più ripetersi. Per questa ragione, noi ragazzi della classe 2B vogliamo che il nome di Primo Levi sia inserito tra quelli dei Giusti del nostro Giardino.

CLASSE 3B e dott.ssa STEFANIA MOCCOLI, Assessora al Turismo del comune di Trevi (PG)

DOTTOR MASSIMO DEL BENE

Massimo Del Bene è un medico di fama mondiale. A Monza, all’ospedale San Gerardo, il professor Del Bene ricostruisce la mani dei migranti devastate dalle torture dei lager libici, gratuitamente, con i fondi della Caritas per coprire le spese vive, senza chiedere nulla in cambio, a parte l’orgoglio e il diritto di restare umano.

I migranti scappano dai loro paesi di origine per le poche o quasi inesistenti opportunità di lavoro e per la povertà che affligge i loro paesi, sognando l’Europa come un paese dove troveranno lavoro e sicurezza. I migranti, per poter arrivare in Italia, devono affrontare dei lunghi ed estenuanti viaggi attraverso i deserti africani per poi arrivare in Libia. Qui vengono presi e deportati nei lager, obbligati a lavorare per la mafia libica, torturati con colpi di martello sulle dita. Le loro mani sono avvolte nel filo spinato e, per poter approdare nei porti italiani, si devono inevitabilmente indebitare. Soprattutto va evidenziata la condizione delle donne africane che, per liberarsi dai debiti, sono obbligate a prostituirsi in Europa subendo spesso e volentieri umiliazioni, privazioni, mutilazioni e minacce di qualsiasi genere. Molto spesso queste donne sono anche madri e i loro figli vengono “utilizzati” per depredare loro gli organi. Questi bambini hanno visto con i loro occhi la guerra, la fame, la povertà e molti di loro sono stati bambini soldato. Dopo averli resi inabili fanno loro riprendere il tragitto con lo scopo di farli diventare un peso per il nuovo stato che li accoglierà. Arrivati in Italia, Massimo Del Bene offre loro il suo aiuto per curare le conseguenze delle torture morali e fisiche subite e per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle brutalità della mafia e della corruzione. Il sogno più grande di Massimo Del Bene è quello di realizzare un centro per i bambini vittime di guerra. Questo centro, oltre che curarli e farli sopravvivere, dovrebbe permette loro di vivere una vita migliore.

MOTIVAZIONE DELLA SCELTA

La scelta di adottare come Giusto Massimo Del Bene è dovuta al fatto che, grazie alle sue capacità, riesce a dare una vita dignitosa ai migranti che approdano in Italia clandestinamente. Massimo Del Bene oggi potrebbe essere ovunque, se solo lo volesse, a dirigere centri di fama internazionale o reparti di chirurgia dei più prestigiosi ospedali privati del mondo. Invece se ne sta a Monza, all’ospedale San Gerardo, un piccolo “centro dei miracoli” che, gratuitamente, lavora con i fondi della Caritas. Il professor Del Bene lo fa nel modo più naturale e spontaneo, lavorando in silenzio.

CLASSE 2C e BIBLIOTECA SAN MATTEO DEGLI ARMENI di PERUGIA

Lina Berellini

La storia di Lina Berellini si intreccia con quella della famiglia di Luciano Calef e della città di Perugia, dove le norme restrittive e persecutorie imposte dal regime fascista portano persino all’isolamento forzato di ebrei professionisti e commercianti. Per la famiglia Calef si applica, però, una deroga al provvedimento secondo il quale gli appartenenti alla razza ebraica non possono avere alle proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana. E’ così che la cattolica Lina Berellini, poco più che ventenne, entra a far parte della famiglia Calef tra il 1940 e il 1941, per accudire i due bambini Fiorella e Sergio. La sua presenza e la sua normalità spezzano la tensione causata dagli eventi che, nel 1943, spingono la famiglia a rifugiarsi nella campagna viterbese, in una casa colonica. Dopo il rastrellamento del ghetto di Roma il 16 ottobre del 1943, la famiglia deve separarsi. I signori Calef affidano a Lina Berellini i due bambini; i tre fuggono verso Pitigliano, in provincia di Grosseto, città natale della signora Calef e da quel momento la giovane diventa la “zia” di Fiorella e Sergio. Vivono insieme un periodo sereno malgrado le ristrettezze e la modestia della casa che li accoglie.

Nel febbraio del 1944 la famiglia si riunisce a Trevinano, nel viterbese, dal momento che non ci sono più luoghi sicuri e le azioni di guerriglia e di rappresaglia nello scontro fra fascisti e partigiani aumentano.

I due bambini, nonostante le problematiche legate alla guerra, vivono nella casa colonica giocando e facendo lunghe passeggiate con Lina. A metà maggio, però, arriva un momento che può essere tragico e finale: la ritirata tedesca. Un gruppo di soldati tedeschi si avvicina alla casa dove sono rimasti solo i Calef, che li accolgono con cordialità e, malgrado la tensione, riescono a superare anche quella disavventura. Finalmente nel giugno del ’44 gli alleati liberano Viterbo e i combattimenti si allontanano verso nord. Scampato anche il pericolo delle bande di marocchini al seguito delle truppe francesi, tra agosto e novembre la famiglia si riunisce a Perugia.

Lina Berellini rimane ancora per qualche tempo con Fiorella e Sergio ma poi decide di vivere la propria vita.

Motivazione della scelta

Abbiamo scelto di inserire nel Giardino dei Giusti Lina Berellini, caso poco conosciuto restituito al patrimonio morale umbro, perché la vitalità, la spontaneità e la generosità dei suoi vent’anni hanno vinto la paura, il senso di esclusione e di abbandono di Fiorella e Sergio Calef e di tutti i bambini vittime della Shoah.

Classe 3C e Dott.ssa ANTONELLA MANNI, giornalista

Michele Caccamo

Michele Caccamo è nato nel 1959 a Turianova, una città in provincia di Reggio Calabria. È un'imprenditore industriale, balzato agli onori della cronaca poiché arrestato dopo che un suo ex dipendente lo aveva incolpato di avere stretti rapporti con la 'ndrangheta.

Siamo in Calabria, dove la lotta alla criminalità assume toni molto duri e non sempre a rimetterci sono i colpevoli. Il processo a Michele dura tre anni; in questo lasso di tempo egli finisce in carcere e riceve lo stesso trattamento riservato ai delinquenti e ai criminali, malgrado, però, non ci siano ancora prove della sua colpevolezza. Prove che non arriveranno mai: Michele infatti sarà pienamente assolto.

La fine del processo segna la fine di un incubo, ma non porta giustizia: il suo accusatore non è ancora stato indagato e, contro di lui, non è stato preventivamente preso alcun provvedimento cautelare.

Durante gli anni in carcere, Michele scrive poesie e opere in prosa, divenendo famoso come il "Poeta della Fratellanza". Le sue poesie raccontano la sua fedina penale, quella della sua anima pulita: l’unica colpa che ha è quella di emozionare e scuotere gli animi con i suoi scritti e le sue poesie o forse più semplicemente è colpevole di essere un onesto uomo calabrese.

Inoltre Michele Caccamo, negli anni in cui era in carcere, ha scritto molti componimenti che parlano della pace e della tolleranza religiosa, tanto che le sue opere sono state pubblicate e tradotte in Egitto, Yemen, Indonesia, Siria, Palestina, Sud Asia, Russia, Cile, Argentina, Messico, Spagna, Francia, Stati Uniti.

MOTIVAZIONE DELLA SCELTA

Nonostante le mille difficoltà affrontate, Michele non ha mai smesso di lottare contro le ingiustizie perpetrate dalla 'Ndrangheta in Calabria, neppure quando la stessa magistratura, invece di proteggerlo, sembrava voltargli le spalle. Anzi, egli è riuscito a dimostrare al mondo che bisogna sempre portare avanti i propri ideali, anche quando tutto sembra perduto. Per questa ragione, noi ragazzi della classe 3^C riteniamo che egli meriti un posto di assoluto rispetto all'interno del giardino dei Giusti della nostra città.

CONSIGLIO COMUNALE DEI RAGAZZI E DELLE RAGAZZE DI TREVI (PG)

MALALA

Il consiglio comunale dei ragazzi e delle ragazze di Trevi ha scelto di adottare Malala Yousafzai. Malala è una giovane attivista pakistana che all’età di 11 anni è diventata celebre grazie a suo blog, fatto interamente da lei per la BBC. Nel blog documentava il regime dei talebani pakistani, contrari ai diritti delle donne e l’occupazione militare del distretto dello Swat. Per questo il 9 ottobre 2012 è stata gravemente colpita alla testa da uomini armati saliti a bordo del pullman scolastico su cui lei tornava a casa da scuola. Ricoverata nell’ospedale militare di Peshawar, è sopravvissuta all’attentato, del quale si prende la piena colpa il portavoce talebano Ihsanullah Ihsan. Questo afferma che la ragazza “è il simbolo degli infedeli e dell’oscenità” e che, se fosse sopravvissuta, non le sarebbe mancato un nuovo attentato. Malala fu trasferita in un ospedale di Birmingham che si è offerto di prestarle le cure necessarie.

Il 12 luglio 2013, in occasione del suo 16° compleanno, parla al Palazzo di Vetro a New York, indossando lo scialle appartenuto a Benazir Bhutto, ex ministro del Pakistan, da dove lancia un appello all’istruzione delle bambine e dei bambini di tutto il mondo.

Il 10 ottobre 2013 le è stato dato il Premio Sacharov per la libertà di pensiero. L’anno dopo, 10 ottobre 2014, le viene assegnato il Premio Nobel per la Pace, diventando così la più giovane vincitrice di un premio Nobel.

MOTIVAZIONE DELLA SCELTA

Abbiamo scelto Malala come giusto perché la sua storia ci ha colpito subito. Fin da giovanissima combatte per i propri diritti e rischia anche la vita per difenderli. Ammiriamo molto il fatto che porti avanti un progetto davvero molto impegnativo quanto bello, che consiste nel dare un’istruzione a tutti quei bambini nel mondo che purtroppo non ne hanno una, rischiando anche la sua stessa vita pur di raggiungere il suo obbiettivo.

Malala, secondo noi, è un giusto nel senso più bello della parola, perché se tutti fossimo come lei, pieni di coraggio, di forza, di determinazione e di passione, il Mondo sarebbe certamente un posto migliore.

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L'autore/L'autrice

Nerina Marzano

Nerina Marzano
docente scuola secondaria I grado
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