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Turchia, il fallimento della democrazia

il politologo Cengiz Aktar commenta la svolta autoritaria

Il 29 settembre in Turchia, mentre il Consiglio Nazionale per la Sicurezza decideva di prolungare di tre mesi lo stato di emergenza, 20 emittenti televisive e radiofoniche sono state oscurate ed escluse dall’utilizzo del satellite TURKSAT su decreto del Primo Ministro. “Erano canali seguiti soprattutto dai curdi e dagli aleviti e questo è un ulteriore segnale che la Turchia oggi non è più una democrazia ma un regime autoritario che non rispetta i diritti umani e la libertà di espressione”, ha detto Cengiz Aktar, scrittore e politologo turco, ospite del Festival “Internazionale a Ferrara 2016”

Tra le televisioni chiuse, una, Zarok TV, era il primo canale in curdo dedicato ai bambini, altre tre erano in lingua curda, tre erano bilingue e tre in turco ma ritenute vicine al movimento curdo. Il provvedimento rientra tra le misure repressive prese dopo il tentato colpo di stato del 15 luglio, che hanno portato al licenziamento o alla sospensione di quasi 100.000 persone nell’esercito, nei servizi pubblici, nella polizia e nella magistratura e all’arresto di quasi 32.000 persone per presunto coinvolgimento nel complotto attribuito ai seguaci del predicatore e ideologo islamico Fetullah Gülen, leader del movimento Hizmet (Il Servizio).

“L’ondata emotiva seguita al mancato golpe ha favorito il dilagare del nazionalismo tra i cittadini turchi, che hanno riempito le piazze inneggiando al Presidente Erdoğan, mentre l’opposizione è sempre più ridotta ai margini. Il partito filo-curdo HDP è l’unico movimento politico legittimato che osa sfidare il potere del Presidente, ma cosa può fare con cinque milioni di voti raccolti alle ultime elezioni? Non bastano e inoltre i deputati dell’HDP subiscono forti pressioni dopo l’abolizione dell’immunità parlamentare”, ha spiegato Aktar, che da mesi denunciava la progressiva restrizione delle libertà personali e politiche per il giro di vite imposto dal governo dopo la vittoria del partito AKP alle elezioni di novembre.

Gli attacchi si sono intensificati con il decreto del governo turco, che alla fine di luglio ha ordinato la chiusura di 45 quotidiani, 15 periodici, 16 canali televisivi, 23 stazioni radio, 3 agenzie di stampa e 29 case editrici e società di distribuzione, per un totale di 131 aziende. "Lo stato di emergenza è servito a negare il diritto di espressione ben oltre la necessità di garantire il mantenimento dell'ordine pubblico", ha denunciato l'organizzazione Human Rights Watch. Secondo l’Associazione dei Giornalisti Turchi, in carcere ci sono oltre 100 giornalisti, mentre 2.500 hanno perso il lavoro e 660 sono stati privati della tessera professionale.

"In queste condizioni non si può più vivere in Turchia", ha dichiarato Aktar intervistato da Gariwo. Il fallito colpo di stato e la successiva repressione mostrano che "il tentativo di fare coesistere democrazia e Islam è stato un fallimento. I turchi non sono stati abbastanza forti e preparati e gli europei non li hanno sostenuti. Il problema è il rapporto della religione con lo Stato, finché questo legame non è reciso, ci saranno sempre difficoltà. Nel nome dell’Islam o del Cristianesimo chi ha il potere tende a rafforzare la presa sullo Stato. Questo è il problema”.

L’Unione Europea non ha preso posizione sulla svolta autoritaria avvenuta in Turchia nelle ultime settimane, limitandosi a confermare il sostegno alle “legittime istituzioni turche”. Un atteggiamento condizionato anche dalla necessità di salvaguardare l’accordo con Ankara per trattenere in Turchia 2,7 milioni di profughi siriani (dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, UNHCR, al 26 settembre 2016) e impedire che arrivino in Europa. “La UE sta attraversando un momento di grande debolezza e non ha capito fino in fondo la reale gravità del colpo di stato turco e delle sue conseguenze”, ha commentato il giornalista francese Bernard Guetta di France Inter durante il dibattito a Ferrara.

Intanto le autorità turche continuano la caccia ai sostenitori di Gülen e sono arrivate a  sospendere dal servizio 12.800 appartenenti ai corpi di polizia, di cui 2.523 ai livelli di comando. Il Ministro della Giustizia non ha escluso nuovi arresti e non ha indicato la data di inizio dei processi alle decine di migliaia di detenuti. Ma una cosa è certa: si tratterà del più grande caso giudiziario della storia della Turchia.

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