«Sono convinto che vi sia una parte dell'uomo che non si spiega né con la ragione, né con il progresso». «C'è una frase di Baudelaire che dice: il più grande successo del diavolo è di far credere agli uomini che non esiste». «Purtroppo la storia non conosce progressi lineari e non dispone di un rimedio per tutti i mali dell'umanità. Questo vale particolarmente per un secolo folle come quello che si è chiuso». Il secolo folle, il grande storico del Novecento François Fejtö lo ha percorso davvero come un passeggero. Aveva cinque anni quando scoppiò la prima guerra mondiale, e da ebreo cristianizzato ungherese imparentato con grandi famiglie friulane, amico di infanzia di Rajk e Lukács, quasi portava nella sua esistenza concreta tutti i simboli di quel multiculturalismo che l'impero austroungarico racchiudeva. L'elenco delle svolte e delle convulsioni che la sua vita ha patito da cosmopolita obbligato all'esilio (prima da Hitler, poi da Stalin), coincide perfettamente con l'elenco di tutte le tragedie, gli splendori e le svolte del secolo: dalla belle époque al crollo del muro di Berlino. Così come le lingue che, non lo studio, ma l'interesse vitale lo ha condotto a parlare, coincidono con il linguaggio che suona nelle conversazioni da un bordo dell'Europa all'altro. Inoltre, da storico di testi classici della storiografia (quali Storia delle democrazie popolari e Requiem per un impero defunto), all'esperienza vivida si aggiunge lo sguardo penetrante e circospetto dell'osservatore di professione. Il suo racconto, in queste pagine dell'intervista-biografia, scorre dunque come il quaderno del grand tour di un Voltaire del nostro tempo, che è sempre stato dalla parte giusta, dalla parte della libertà e dell'umanità, ma con le riserve e le incertezze di chi ha visto anche i mostri della ragione e s'è convinto che la ricerca del paradiso in terra resti il male inesorabile del secolo con cui ha vissuto. Il diavolo, probabilmente.
Descrizione tratta dal sito sellerio.it