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L'albero è un simbolo di pace e democrazia

il discorso di Wangari Maathai per il Premio Nobel per la Pace 2004

Wangari Maathai riceve il Premio Nobel per la Pace 2004

Wangari Maathai riceve il Premio Nobel per la Pace 2004

Sono qui di fronte a voi e al mondo, onorata per questo riconoscimento e per essere innalzata a vincitrice del Premio Nobel per la Pace 2004.

Come prima donna africana a ricevere questo premio, lo accetto a nome del popolo del Kenya e dell’Africa, e naturalmente del mondo. Penso innanzitutto alle donne e alle bambine, e spero che questo premio farà sentire le loro voci e creerà più spazio di potere per loro. So che questi onori inoltre conferiscono un profondo senso di orgoglio ai nostri uomini, sia vecchi che giovani. Come madre, apprezzo la fonte di ispirazione che questo rappresenta per la gioventù e invito tutti i ragazzi a perseguire i propri sogni.

Anche se questo premio viene assegnato a me, esso riconosce il lavoro di innumerevoli individui e gruppi in tutto il mondo che lavorano silenziosamente e spesso senza alcun riconoscimento per proteggere l’ambiente, promuovere la democrazia, difendere i diritti umani e garantire la parità fra donne e uomini. Ciò facendo, piantano semi di pace. Io so che anche loro sono fieri oggi. A tutti coloro che si sentono rappresentati da questo premio, io dico di utilizzarlo per fare progredire la nostra missione e soddisfare le elevate aspettative che il mondo riporrà in noi.
Questa onorificenza è anche per la mia famiglia, per gli amici, i soci e i sostenitori in tutto il mondo. Tutti loro hanno contribuito a dare forma alla nostra visione e a sostenere il nostro lavoro, che spesso è stato svolto in condizioni ostili. Sono anche grata al popolo del Kenya – che è rimasto ostinatamente fiducioso che la democrazia sia realizzabile e il suo ambiente possa essere gestito in maniera sostenibile. È grazie a tale sostegno che oggi sono qui ad accettare questo grande onore.

Ho l’immenso privilegio di essere unita idealmente ai miei compagni vincitori africani del Nobel per la Pace, i Presidenti Nelson Mandela e F.W. de Klerk, l’Arcivescovo Desmond Tutu, il compianto Leader Albert Luthuli, il compianto Anwar el-Sadat e il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan.

So che gli africani di tutto il mondo ricevono incoraggiamento da questa notizia. Cari compagni africani, mentre accogliamo questo riconoscimento, utilizziamolo per intensificare il nostro impegno per la nostra gente, per ridurre i conflitti e la povertà e quindi per migliorarne la qualità della vita. Abbracciamo lo stile di governo democratico, proteggiamo i diritti umani e l’ambiente. Sono fiduciosa che le soluzioni alla maggior parte dei nostri problemi devono venire da noi stessi.

Nel premio di quest’anno, il Comitato Norvegese per il Nobel ha voluto sottolineare la questione critica dell’ambiente e il suo legame con la democrazia e con la pace davanti al mondo. Per la loro azione lungimirante, sono loro profondamente grata. Riconoscere che lo sviluppo sostenibile, la democrazia e la pace sono indivisibili è un’idea che è giunta l’ora di sviluppare. Il nostro lavoro negli ultimi 30 anni ha sempre apprezzato e fatto propri questi nessi.

La mia ispirazione proviene in parte dalle mie esperienze e osservazioni della natura di quando ero bambina nel Kenya rurale. È stata influenzata e nutrita dall’istruzione formale che ho avuto il privilegio di ricevere in Kenya, negli Stati Uniti e in Germania. Crescendo, ho assistito allo sradicamento di foreste e alla loro sostituzione con piantagioni commerciali, che hanno distrutto la biodiversità locale e la capacità delle foreste di conservare l’acqua.

Eccellenze, signore e signori. Nel 1977, quando abbiamo avviato il Green Belt Movement, io stavo in parte rispondendo a esigenze individuate dalle donne delle aree rurali, in particolare la mancanza di legna da ardere, di acqua potabile pulita, di diete bilanciate, alloggi e redditi.
In tutta l’Africa, le donne sono le prime persone a prendersi cura della casa e della famiglia, e a loro spettano significative responsabilità per coltivare la terra e nutrire le loro famiglie. Di conseguenza, esse sono spesso le prime a rendersi conto dei danni ambientali arrecati dalla crescente scarsità delle risorse e dalla loro insufficienza a sfamare le famiglie.
Le donne con cui abbiamo lavorato ci hanno raccontato che, diversamente che in passato, non erano in grado di soddisfare i loro bisogni primari, a causa del degrado del loro ambiente immediatamente circostante, come pure dell’introduzione dell’agricoltura commerciale, che ha sostituito le coltivazioni di cibo per la famiglia. Ma il commercio internazionale controllava il prezzo delle esportazioni da quei piccoli contadini e non si poteva garantire un equo compenso. Sono giunta a capire che quando l’ambiente viene distrutto, saccheggiato o mal gestito, noi miniamo la qualità della nostra vita e di quella delle future generazioni.

Quella di piantare alberi è diventata una scelta naturale per affrontare alcuni dei bisogni primari iniziali individuate dalle donne. Inoltre, piantare alberi è semplice, si può fare sempre e ovunque e garantisce risultati buoni e rapidi in un arco di tempo ragionevole. Questo dà modo di sostenere l’interesse e l’impegno delle persone.

Così, insieme, abbiamo piantato oltre 30 milioni di alberi che forniscono combustibile, cibo, alloggio e reddito per sostenere l’istruzione dei loro figli e i fabbisogni delle famiglie. L’attività crea anche lavoro e permette di migliorare il suolo e i bacini idrici. Attraverso il loro coinvolgimento, le donne conseguono anche un certo grado di potere sulle proprie vite, specialmente per quanto riguarda la propria posizione sociale ed economica e il loro ruolo in famiglia. Questo lavoro continua.

All’inizio era difficile, perché storicamente la nostra gente è stata persuasa a credere che poiché era povera, mancava non solo del capitale, ma anche delle conoscenze e delle abilità per affrontare le sfide. Essa è stata incoraggiata a credere che le soluzioni ai suoi problemi debbano venire “dall’esterno”. Inoltre, le donne non si rendevano conto del fatto che la soddisfazione dei propri bisogni dipendeva dal fatto che l’ambiente fosse salubre e ben gestito. Erano anche inconsapevoli che un ambiente degradato porta a lotte per le risorse scarse e può culminare in povertà e perfino conflitti. Inoltre non erano consapevoli delle ingiustizie degli accordi economici internazionali.
Per poter assistere le comunità nella comprensione di questi nessi, abbiamo sviluppato un programma educativo per i cittadini, durante il quale le persone identificavano i loro problemi, le cause e le possibili soluzioni. Essi hanno quindi stabilito delle connessioni tra le loro azioni personali e i problemi che osservano nell’ambiente e nella società. Hanno imparato che il nostro mondo si trova di fronte a una litania di mali: la corruzione, la violenza contro le donne e i bambini, la disgregazione e lo scioglimento delle famiglie e la disintegrazione delle culture e delle comunità. Ma anche l’abuso delle droghe e sostanze e stupefacenti, soprattutto fra i giovani. Ci sono poi malattie devastanti che sfidano ogni cura o si propagano in dimensioni epidemiche. Particolare preoccupazione destano l’ HIV/AIDS, la malaria e le malattie associate alla malnutrizione.

Sul fronte ambientale, essi sono esposti ad attività umane che sono devastanti per la natura e per le società, come l’ampia distruzione degli ecosistemi, specialmente attraverso la deforestazione, l’instabilità climatica e la contaminazione del suolo e delle acque, tutti fattori che contribuiscono a una povertà estrema. In questo processo, i partecipanti scoprono che devono essere parte in prima persona delle soluzioni, si rendono conto del loro potenziale nascosto e acquisiscono le cognizioni e capacità necessarie a superare l’inerzia e agire. Arrivano a riconoscere che essi stessi sono i primi custodi e beneficiari dell’ambiente che sostiene le loro vite.
Intere comunità sono anche giunte a comprendere che, pur essendo necessario tenere sotto osservazione l’operato dei governi, è altrettanto importante esprimere i valori che vorrebbero veder manifestati dalla loro leadership, e soprattutto la giustizia, l’integrità e la fiducia, nei rapporti con gli altri.

Anche se inizialmente la piantumazione degli alberi da parte del Green Belt Movement non era riferita a questioni come la democrazia e la pace, presto è diventato evidente che la gestione responsabile dell’ambiente era impossibile senza uno spazio democratico. Quindi l’albero è diventato un simbolo della lotta democratica in Kenya. I cittadini si sono mobilitati contro abuso di potere, corruzione e cattiva gestione ambientale. Nel Parco Uhuru di Nairobi, nel Freedom Corner, e in molte parti del Paese, alberi di pace sono stati piantati per richiedere il rilascio di prigionieri di coscienza e una transizione pacifica alla democrazia.
Attraverso il Green Belt Movement, migliaia di cittadini comuni sono stati chiamati in causa e adeguatamente informati in modo che potessero agire e attuare i cambiamenti. Essi hanno imparato a superare la paura e si sono mossi per difendere i diritti democratici.

Con il passare del tempo, l’albero è diventato anche un simbolo di pace e democratica risoluzione dei conflitti, specialmente durante gli scontri etnici in Kenya, quando il Green Belt Movement ha utilizzato gli alberi della pace per riconciliare fra loro le comunità in lotta. Durante la riscrittura ancora in corso della Costituzione del Kenya, simili alberi della pace sono stati piantati in molte zone del Paese per promuovere una cultura di pace. Usare gli alberi come simboli di pace significa essere fedeli a una diffusa tradizione africana. Per esempio, gli anziani del Kikuyu portavano un bastone dell’albero di thigi il quale, una volta posizionato in mezzo a due parti in lotta, le portava a smettere di combattersi e a cercare la riconciliazione. Molte comunità in Africa hanno queste tradizioni.

Tali pratiche sono parte di un’eredità culturale molto estesa, che contribuisce sia alla conservazione degli habitat che a quella delle culture di pace. Con la distruzione di queste culture e l’introduzione di nuovi valori, la biodiversità non viene più valorizzata o protetta e di conseguenza si degrada rapidamente e sparisce. Per questo motivo, il Green Belt Movement esplora il concetto di biodiversità culturale, con speciale riferimento alle sementi e piante medicinali locali. A mano a mano che progredivamo nella comprensione delle cause del degrado ambientale, realizzavamo l’importanza del buon governo. Certamente, lo stato dell’ambiente in ogni Paese è in riflesso del tipo di governo che vi opera, e senza buon governo non ci potrebbe essere pace. Molti Paesi con cattivi sistemi di governo hanno anche più probabilmente conflitti e cattive leggi di protezione ambientale.

Nel 2002, il coraggio, la forza di resistere alle avversità, la pazienza e l’impegno dei membri del Green Belt Movement, di altre organizzazioni della società civile e dell’opinione pubblica kenyota sono culminate in una transizione pacifica verso un governo democratico, ponendo le basi per una società più stabile.

Eccellenze, amici, signore e signori, è da 30 anni che abbiamo iniziato il nostro progetto. Le attività che devastano l’ambiente e le società continuano imperterrite. Oggi ci confrontiamo con una sfida che richiede un cambiamento nel nostro modo di pensare, affinché l’umanità smetta di minacciare il sistema che permette la sua stessa vita. Siamo chiamati a curare la Terra, a guarire le sue ferite e così facendo anche le nostre – in verità, siamo chiamati ad abbracciare l’intera creazione in tutta la sua molteplicità, bellezza e meraviglia. Questo succederà se noi vediamo il bisogno di ravvivare il nostro senso di appartenenza a una più ampia famiglia di vita, con la quale abbiamo condiviso il nostro processo evolutivo.

Nel corso della storia, arriva un tempo in cui l’umanità è chiamata a passare a un nuovo livello di consapevolezza, per raggiungere un terreno morale più alto. Un tempo in cui dobbiamo superare la paura e darci speranza l’un l’altro. Questo tempo è adesso. Il Comitato Norvegese per il Nobel ha sfidato il mondo ad ampliare la comprensione della pace: non ci può essere pace senza sviluppo equo; e non ci può essere sviluppo senza gestione sostenibile dell’ambiente in uno spazio democratico e pacifico. Questo cambiamento è un’idea che dobbiamo realizzare adesso.

Rivolgo un appello ai leader, specialmente africani, a espandere lo spazio democratico e costruire società eque e giuste che permettano alla creatività e all’energia dei loro cittadini di fiorire. Coloro tra noi che hanno avuto il privilegio di ricevere istruzione, abilità, esperienze e perfino del potere devono fungere da modello per la prossima generazione di leader. A questo proposito, vorrei chiedere anche la liberazione della mia compagna di Nobel Aung San Suu Kyi, in modo tale che possa continuare il suo lavoro per la pace e la democrazia per il popolo della Birmania e il mondo nel suo complesso.

La cultura svolge un ruolo centrale nella vita politica, economica e sociale delle comunità. Di certo, essa può essere l’anello mancante nello sviluppo dell’Africa. La cultura è dinamica e si evolve nel tempo, portando allo scardinamento di tradizioni regressive, come le mutilazioni genitali femminili (FGM), e abbracciando aspetti buoni e utili.

Gli africani, specialmente, dovrebbero riscoprire gli aspetti positive della loro cultura. Accettandoli, si garantirebbero un senso di appartenenza, identità e fiducia in sé.

Signore e Signori, c’è anche bisogno di galvanizzare la società civile e i movimenti di base per catalizzare il cambiamento. Mi appello ai governi affinché riconoscano il ruolo di questi movimenti sociali nel costruire una massa critica di cittadini responsabili, che contribuiscano a esercitare un controllo democratico nella società. Da parte sua, la società civile dovrebbe abbracciare non solo i propri diritti, ma anche le proprie responsabilità.

Inoltre, l’industria e le istituzioni globali devono apprezzare il fatto che assicurare la giustizia economica, l’equità e l’integrità ecologica riveste un valore più alto che non i profitti a ogni costo. Le estreme ineguaglianze globali e i modelli di consumo prevalenti continuano a spese dell’ambiente e della coesistenza pacifica. Sta a noi compiere questa scelta.

Vorrei fare appello ai giovani perché si impegnino in attività capaci di contribuire al raggiungimento dei loro sogni a lungo termine. Essi possiedono l’energia e la creatività necessarie per costruire un futuro sostenibile. A questi giovani dico: “Voi siete un dono per le vostre comunità e certamente per il mondo. Siete la nostra speranza e il nostro futuro”.

L’approccio olistico allo sviluppo, così come esemplificato dal Green Belt Movement, potrebbe essere abbracciato e replicato in altre parti dell’Africa e altrove. È per questo che ho creato la Wangari Maathai Foundation, per garantire la continuazione ed espansione di tali attività. Anche se abbiamo raggiunto molti obiettivi, molto rimane ancora da fare.

Eccellenze, signore e signori, concludendo rifletto sulla mia esperienza dell’infanzia quando mi recavo presso un torrente vicino a casa nostra per attingere acqua per mia madre. Bevevo l’acqua direttamente dal fiume. Giocando in mezzo alle radici della maranta cercavo invano di raccogliere i nidi di uova di rana, pensando che fossero perline. Ma ogni volta che infilavo le mie piccole dita sotto di essi, si rompevano. Più avanti ho visto migliaia di girini: neri, pieni di energia e rotanti nell’acqua limpida sullo sfondo della terra scura. Questo è il mondo che ho ereditato dai miei genitori.

Oggi, 50 anni più tardi, il fiumiciattolo si è prosciugato, le donne camminano per lunghe distanze per l’acqua, che non è sempre pulita, e i bambini non sapranno mai che cos’hanno perso. La sfida è di ripristinare la casa dei girini e riportare ai nostri figli un mondo di bellezza e meraviglia.

Grazie di cuore. 

11 febbraio 2019

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